L’ambiguità dei governi mina la credibilità dell’euro
Di Carlo Pelanda (12-5-2000)
Il mercato, appena reso noto
il comunicato congiunto degli euro-11, ha segnalato il proprio disappunto
facendo scendere in pochi minuti l’euro sotto i 90 centesimi per un dollaro e
lasciandolo oscillare attorno a questo imbarazzante livello per il resto della
giornata.. Questa è la prova che esiste una (solo iniziale, spero) crisi di
fiducia nei confronti degli eurogoverni
e della Bce. Ed è un fatto ben più grave che non la crisi del cambio. La
seconda, infatti, è come un’influenza che genera danni (fuga dei capitali di
investimento e aumento dell’inflazione importata) non necessariamente
strutturali se dura poco. La prima, invece, mina la credibilità di base di
un’area monetaria con conseguenze prolungate e devastanti. Sarebbe il caso che
gli eurogoverni cominciassero ad agire con molta più consistenza per evitare
tale rischio.
Il comunicato dell’euro-11 è
stato francamente inadeguato e controproducente in relazione allo scopo
dichiarato di dare dei segnali utili ad invertire il deprezzamento del cambio.
Analizziamone tre punti critici. Primo: “Condividiamo la preoccupazione comune
sull’attuale livello dell’euro che non riflette i fondamentali economici di
eurolandia”. Nel dire così hanno ammesso che nei mesi scorsi, quando
dichiaravano che tutto andava bene, o avevano raccontato bugie oppure non si
erano accorti del problema. Molti
commentatori hanno rilevato che è la prima volta che gli euro-11 si dicono
preoccupati della caduta del cambio e che ciò è un segnale positivo in quanto
preannuncia interventi a difesa. In realtà tale comunicazione ha confermato
l’inaffidabilità delle istituzioni che governano l’euro. E se si voleva
difendere veramente il cambio sarebbe bastato che la Bce si fosse messa a
vendere dollari, irrilevanti le parole.
Secondo: “ I ministri sono determinati ad accelerare il risanamento dei
bilanci e le riforme strutturali verso un’economia basata sulla conoscenza e
sul pieno impiego”. Qui c’è un errore persino buffo. Da una parte si dichiara
sorpresa perché l’euro è sottovalutato nonostante i suoi ottimi fondamentali
(la crescita economica in atto). Dall’altra, i governi si impegnano a
migliorare i fondamentali stessi, riconoscendo con questo che l’Europa è molto
indietro in termini di rivoluzione tecnologica nell’economia e confermando che
la disoccupazione è ancora una piaga strutturale. Ammetterete che è un
messaggio notevolmente contraddittorio. Va detto che gli euroministri hanno
tentato, con quelle parole, di comunicare che riconoscevano – grande sforzo per
ministri prevalentemente di sinistra – che si arrendevano alla verità: l’euro è
basso per colpa dell’inefficienza sistemica, di causa politica, dell’economia
continentale. Ma il fatto di non dirlo chiaro e semplice, di rifugiarsi nel
futuro remoto dell’economia della conoscenza (mentre l’Europa deve ancora
passare dall’economia industriale a quella dei servizi, cioè dall’età della
pietra a quella del bronzo prima di arrivare al ferro) ha creato un risibile autogoal. Il terzo errore è stato quello di inserire
nel comunicato la seguente dichiarazione: “ La Bce è impegnata ad assicurare
che questa crescita rimanga non inflazionistica”. Ciò ha comunicato più ambiguità
che certezza al mercato. E’ ovvio che la Bce combatta l’inflazione, ci
mancherebbe altro. Il ripeterlo senza particolare motivo ha dato la sensazione
che ci potrebbe essere un ulteriore rialzo dei tassi a breve. Cosa che forse
pregiudicherebbe la crescita e quindi il valore dell’euro. Certamente un altro
rialzo ravvicinato segnalerebbe che la Bce ha sbagliato nel calcolare l’entità
di quello precedente. Fatto non molto rassicurante se ci fosse veramente una decisione sui tassi nei
prossimi giorni. In sintesi, è raro
rilevare in un comunicato così importante ed atteso dal mercato una serie di
errori tanto clamorosi. E - qui il punto - il mercato comincia a chiedersi se i
governi e la Bce sappiano veramente fare il loro mestiere. Appunto, crisi di
fiducia.
Cosa avrebbero dovuto fare
per evitarla? Intanto non bisognava dare un appuntamento al mercato
enfatizzando che la riunione degli euro-11 si sarebbe occupata della situazione
della moneta unica. Se si crea un’attesa bisogna soddisfarla. Ed il mercato
aspetta segnali forti. Per esempio: creazione
del primo nucleo di un vero governo europeo dell’economia (proposta
interessante del ministro francese Fabius, ma respinta); comunicato in cui la
Bce dichiara di avere la piena disponibilità operativa e discrezionale di tutte
le riserve valutarie giacenti nelle banche centrali nazionali (cosa che resta
ancora vaga); varo di un piano di armonizzazione fiscale europea verso il
basso, con date ed obiettivi precisi. Fino a che non sarà possibile annunciare
qualcosa del genere è meglio stare zitti. E per la crisi contingente di cambio?
Non occorrono comunicati, ma basta mostrare che si vendono dollari per dare
all’euro un valore di “pavimento” oltre il quale non dovrà scendere. Cosa da
farsi, ovviamente, solo quando si sarà sicuri che la speculazione non potrà
sfondarlo al ribasso. In conclusione, quando c’è il rischio di perdere la
propria credibilità non si usano le parole, ma solo i fatti. Quando i secondi
saranno stati convincenti, allora si potranno ricominciare ad usare le
dichiarazioni per orientare il mercato. Regoletta semplice, da appendere nella
sala riunioni dell’euro-11 piuttosto in fretta.