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20/09/2000

Egregio Professore,
 Le invio di nuovo il messaggio precedente
 (spedito 8 sett. 00) con l'augurio che possa contribuire allo sviluppo del
 sistema di ricerca dell'Italia.
 Distinti saluti
 Giorgio Zizak

(Nota da site manager: per disguido tecnico abbiamo perso questo messaggio e
lo pubblichiamo in ritardo. Ci scusiamo con l'autore).


 Egr. Prof. Pelanda,

 Con piacevole sorpresa vedo di aver avuto l'onore di una citazione sulla
 prima pagina de Il Giornale di oggi. Grazie, non pensavo di arrivare a
 tanto. Con il  mio messaggio intendevo solo dare un contributo alla
 conoscenza del Sistema Ricerca in Italia. Comunque vista la Sua
 disponibilità ne approfitto e, tra le numerosisime  considerazioni che
 si potrebbero fare, continuo con alcune osservazioni suscitate dal Suo
 articolo di oggi "Poche risorse e spese male: così va in crisi la
 ricerca".

 Come molti, anche Lei si lamenta dei finanziamenti a pioggia che vengono
 dati ai professori universitari ed ai ricercatori, più o meno
 indistintamente. Sono pochi milioni a testa per andare a qualche
 convegno. In totale fanno miliardi persi. Ma che si dovrebbe fare? Se un
 docente vuol fare ricerca per prima cosa deve essere aggiornato,
 leggendo le pubblicazioni e andare ai convegni. Se i finanziamenti
 bastano solo per questo, questa è l'unica attività scientifica che il
 docente può fare. Non sono fondi persi. Almeno il docente potrà dare
 consigli e suggerimenti alle industrie  che vogliono investire in
 scienza e tecnologia. Saprà  anche cosa fare nel caso fortunato di
 ricevere un diluvio di finanziamenti per le sue ricerche. Senza
 l'informazione iniziale, cioè senza la lettura e lo studio delle riviste
 scientifiche e la partecipazione ai convegni per lo scambio e il
 confronto dei risultati, qualsiasi attività scientifica rimane campata
 per aria. Se sono pochi, i finanziamenti non possono che essere a
 pioggia. Questa mia è una opinione non molto "politically correct".
 L'alternativa è quella di costringere la maggioranza dei professori
 universitari ad una attività di puro insegnamento, riducendo quindi
 l'università ad un super-liceo. I finanziamenti pubblici per la ricerca
 verrebbero quindi dati solo agli Enti Pubblici di Ricerca e a qualche
 gruppo  universitario di particolare eccellenza. Non mi pare però che
 questa strada sia praticabile, nè giusta.

 Il fatto è che per troppi anni la ricerca scientifica è stata
 considerata come un optional. Ne è una prova il CNR, tanto per
 continuare a parlare della realtà che conosco meglio. Prendo a prestito
 le parole del mio carissimo collega dr. Francesco Cignoli che,
 confrontando i vari Enti di ricerca pubblica nei vari paesi (ad esempio
 il CNRS francese), ha definito il nostro un "CNR Bonsai". E' così
 piccolo, con pochi ricercatori, quasi tutti di buona fama, che fanno
 tante pubblicazioni scientifiche, spesso tenuti in ambienti nuovi e ben
 puliti. E' un CNR di facciata, bello da vedere, con cui ci si riempie la
 bocca parlando di scienza e tecnologia, ma che non dà frutti o molto
 pochi,  che è praticamente inutile per un vero progresso tecnologico del
 sistema industriale italiano. Questo non per colpa o demeriti dei
 dipendenti CNR, ma perchè l'Ente è sempre stato mantenuto
 sottodimensionato e diretto da persone non provenienti dal CNR stesso.

 Ora è in atto una profonda riforma e trasformazione degli Enti Pubblici
 di Ricerca, e quindi anche del CNR. Il vecchio sistema non esiste più,
 ma nessuno sa con certezza come sarà il nuovo. L'impressione comune è
 che per parecchi anni la confusione regnerà sovrana. Come  tutti i miei
 colleghi ricercatori, continuerò comunque a studiare tranquillamente e a
 fare ricerca nel mio Istituto con i mezzi che ho a disposizione, sicuro
 di poter contribuire, in un modo o in un altro, a "futurizzare"
 l'Italia.

 Distinti saluti,

 Giorgio Zizak
 Dirigente di Ricerca, CNR




 

 
19/09/2000

(Nota di CAP): Zizak risponde ad un mio messaggio che chiedeva
chiarimenti su sua posizione in contrasto con l'ottimismo generale sulla
possibilita' di sostituire con buona velocita' ed efficacia il petroliocon
l'idrogeno
.

 Egr. Professore,
 non sono un esperto di fuel cells, anche se ne conosco il funzionamento.
Non nego che ci siano automobili alimentate ad idrogeno od anche,
apparentemente, ad acqua. Il problema è che occorre produrre l'idrogeno, che non si
trova in natura. I processi classici prevedono l'utilizzo di idrocarburi (tipo
benzina, alcool, gas naturale ed anche gasolio) che mediante opportuni
catalizzatori portano alla formazione di CO ed altri idrocarburi e la liberazione
contemporanea di idrogeno. Dopo la separazione dell'idrogeno si possono
 alimentare le celle a combustibile dove avviene la reazione con
l'ossigeno dell'aria e la produzione diretta di energia elettrica. E' chiaro però
che nell'intero processo si consumano idrocarburi non rinnovabili. Ci può
 essere un guadagno in termini di rendimento, in quanto il processo di
produzione industriale di idrogeno e conversione diretta ad alta efficenza nelle
celle a combustibile può essere migliore della combustione a basso rendimento in
 un motore a combustione interna. Come dicevo nel mio precedente messaggio
la scelta delle fuel cells ad idrogeno per autotrazione è fatta per motivi
 politici di lotta all'inquinamento nelle grandi aree urbane. Meglio
 sarebbe la conversione diretta dell'energia partendo dagli stessi idrocarburi. Si
 studiano fuel cells alimentate a metanolo che si può ottenere dalle
 biomasse.
 Tali celle hanno anche la possibilità di poter essere utilizzate in modo
 rigenerativo, utilizzando l'energia solare possono fissare la CO2 in
alcol metilico e suoi derivati. E' una tecnologia estremamente d'avanguardia,
 importante, ma che non sposta di tanto il drammatico problema del
 provvigionamento energetico mondiale.

 Distinti saluti

 Giorgio Zizak