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Egr. prof. Pelanda,

ho letto con interesse il Suo articolo "La Micro Italia" pubblicato ieri
su Il Giornale. Lo condivido in tutto eccetto su un punto della Sua
ricetta per "futurizzare" l'Italia. Non sono d'accordo sul punto 3)
Concentrazione delle risorse pubbliche in pochi programmi strategici di
ricerca e sviluppo.

Come Lei sa bene le risorse che l'Italia investe in ricerca sono
estremanente modeste. Sono anni che l'Italia spende in ricerca meno
della metà della media europea. Ciò significa meno di un  terzo di
quanto i paesi più avanzati (USA, Giappone, Germania ) investano in
ricerca e tecnologia. Ciò è vero per i fondi pubblici. Peggio avviene
per la ricerca finanziata con fondi privati. L'industria italiana
semplicemente non investe in ricerca e tecnologia.

Gravissimo è il problema del personale addetto alla ricerca. Ad esempio
il CNR, che è il maggior organo di ricerca pubblica in Italia, non ha
mai affrontato in modo adeguato lo sviluppo dei suoi organi di ricerca
con una politica di assunzioni continue e graduali, con una
qualificazione e vere prospettive di carriera per i suoi dipendenti. Per
far funzionare un centro di ricerca  occorre un durissimo lavoro per
anni. Bisogna essere sempre aggiornati con lo studio delle pubblicazioni
scientifiche, il fare effettivamente ricerca e non solo parlarne, la
possibilità quindi di disporre continuamente delle strumentazioni più
avanzate. Non ci si improvvisa ricercatori.  Nel campo privato poi chi
fa ricerca rimane, in genere,  lontano dai vertici aziendali e il
management guarda con scarso interesse agli sviluppi tecnologici e di
ricerca; sono troppo costosi, lontani e di incerto conseguimento. Questa
situazione si protrae da decenni ed ha creato quella situazione di
arretratezza tecnologica che  giustamente Lei sottolinea. Tutto questo
Lei lo sa benissimo.

Mi pare quindi che il punto 3) da Lei proposto non possa che peggiorare
la situazione. Sottrarre ancora fondi a qualche area scientifica di
ricerca significa farla morire definitivamente senza peraltro garantire
il pieno sviluppo ad altri programmi strategici. E poi quali programmi
privilegiare e quali far morire? Forse che l'Italia può rinunciare a
ricerche sulle biotecnologie, l'avionica e lo spazio, i nuovi materiali,
l'energia, le telecomunicazioni, i nuovi farmaci, la medicina ecc. per
non dimenticare le ricerche sulla conservazione e tutela dei beni
culturali ed ambientali di cui l'Italia è ricca? Le varie aree di
ricerca scientifica e tecnologica sono tutte interconnesse. Non si sa
mai a priori da dove arriverà l'idea buona, da quale nuovo campo
interdisciplinare arriverà il nuovo "brevetto". Un paese che vuole
essere avanzato, non può rinunciare a nessua area di ricerca scientifica
e tecnologica.

La proposta da fare è più drastica. Occorre investire pesantemente in
ricerca pubblica, almeno il raddoppio dei fondi stanziati ed il
raddoppio del personale in tempi brevissimi. I fondi ? Bisogna tagliare
da qualche altra parte, non certamente fare risparmi sulla ricerca in
momenti di crisi. Oltre agli altri punti da Lei menzionati, occorre
anche detassare maggiormente le imprese italiane che si avvalgono di
laboratori pubblici, incentivando l'interazione tra industria privata e
ricerca pubblica. Le piccole e medie imprese italiane non hanno
personale, attrezzature e fondi sufficienti per iniziare un serio
programma di ricerca e sviluppo tecnologico. Come dicevo prima, non ci
si improvvisa ricercatori. I laboratori di ricerca pubblica hanno
(pochi) ma ottimi ricercatori che possono fornire un servizio "pubblico"
per tutte le aziende che lo richiedano. Solo dopo aver garantito una
stabile seppure modesta crescita della ricerca pubblica (il raddoppio
del personale e dei fondi pubblici è cosa modesta, visti i numeri finora
messi in gioco)  sarà possibile puntare su alcuni selezionati progetti
strategici, come ad esempio biotecnologie e nanomateriali, per far
diventare l'Italia uno dei paesi leader in qualche particolare settore
di alta tecnologia.

Grazie per l'attenzione. Distinti saluti,

Giorgio Zizak
Dirigente di ricerca del CNR