Carissimo professore,
dopo la lettura del suo articolo di fondo su "il
Giornale" di oggi (14.9.2003), pur d'accordo sugli strumenti
proposti per
risolvere rapidamente le crisi economiche e psicologiche degli
Stati, mi
sono chiesto se mai Lei illustri sempre ai suoi allievi-studenti
l'entità
e l'origine del deficit pubblico americano e come mai a tale deficit non
venga mai posto fine.
E' vero che allargare i cordoni della borsa è - per gli Stati -
una
necessità quasi inderogabile in certi momenti storici, ma risulta
tanto
più facile quando lo strumento di transazione economica internazionale
è il
dollaro, quando le tecnologie più avanzate provengono dall'area
del
dollaro, quando anche la conflittualità internazionale può essere
perfino
utilizzata per rimuovere le "incrostazioni economiche" interne
di uno Stato.
L'esportazione del proprio ineliminabile (ma contenibile) deficit
e della
propria inflazione è divenuta forse privilegio di un solo Stato?
Qual è il senso del limite che uno Stato in simili condizioni
deve porsi,
sia in termini politici (di globale-equilibrio) sia in termini
ambientali
(di socio/eco-equilibrio) per non essere tacciato di imperialismo
e di
sopraffazione?
Potrà essere solo la "concorrenza" europea, nipponica o
asiatica (quella
afro-asiatica sembra ancora di là da venire) a riproporre
attraverso nuovi
termini di raffronto - oro permettendo - un contenuto e saggio
rapporto
tra reddito e spese in ogni macro aggregato statale (Continente), o
necessiterà piuttosto una concomitante crescita della coscienza
collettiva, avvertita
delle diversità strutturali e caratteriali di ogni aggregazione e
magari
anche sostenuta dal timore di nuovi termini di raffronto?
Prevarrà cioè il solo dato numerico economico contro
l'antropologia
psicologica e la morale a fronte delle diversità culturali di due
popolazioni?
E ancora, se è forse vero che la fiducia sta alla libertà come
la
stabilità sta all'uguaglianza, allora non emergono già ben delineati
due Continenti
(purtroppo entrambi storicamente vocati alla lenta decadenza), uno
ateniese-americano (tendenzialmente laico) e l'altro
spartano-europeo
(tendenzialmente vocazionale), ormai incapaci di conciliare nel
loro seno
culturale la vera e dinamica triadicità del reale?
Cordialmente
franco treccani.
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