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18/08/2000

 

Preg.mo dott. Pelanda,

Ho avuto modo di leggere con interesse il Suo recente articolo su
progresso
ed ecologia, pubblicato su Il Giornale, di cui sono assiduo lettore.
Ho pensato di raccogliere il Suo invito all'apertura di un dibattito
inviandoLe alcune mie riflessioni sull'argomento.
Ovviamente ritengo che il tema non sia esaurito con queste brevi note,
tuttavia mi farebbe molto piacere avere un suo commento su quanto le invio
in allegato.

 Federico Reggio

venerdì 18 agosto 2000

Preg.mo sig. Pelanda,

 

Riflettere su quale sia la giusta e possibile difesa dell'ambiente è un tema che abbraccia problematiche così vaste e complesse da far sorgere la tentazione di ritenere la lotta per l'ambiente una battaglia già persa.

Per forma mentis e forse anche per la mia giovane età non amo ritenere un problema irresolvibile; anzi penso che spesso affermare  affermare l'impossibilità di un miglioramento costituisca un comodo pretesto per giustificare la propria inadeguatezza o la manzanza di coraggio e di determinazione nei confronti di un problema.

Mi trovo pienamente d'accordo con Lei su un'affermazione centrale dell' articolo, comparso sul Giornale di qualche giorno fa, con il titolo " Il progresso alleato della giusta ecologia ecologia": è possibile, anzi è doveroso mirare ad una sintesi tra progresso tecnologico ed ecologia; è possibile, io penso, nella misura in cui, assieme ad un ripensamento sul concetto di ecologia si saprà parallelamente affrontare un ripensamento sul capitalismo.

Certamente il primo passo è quello di rendersi e far rendere conto che la politica dei Verdi  in Italia ed in Europa non è quella giusta: come Lei ha ben evidenziato, sotto il nome di "Verdi" si sono coagulati pensieri politici tanto eterogenei quanto parimenti dannosi (se non addirittura antitetici) al conseguimento di una corretta ed efficace tutela dell'ambiente.

In Germania la radicalità e l'assurdità delle proposte dei "Fundis", corrente "integralista", ha portato all'affermazione politica dei "Realos" che, più che gli ambientalisti, rappresentano una fascia radical-marx-progressista che ben si avvicina a quella rappresentata, anche se in modo certo meno consistente, dai Verdi italiani. A fianco della loro "noluntas" politica che, a partire dall'assurda campagna antinucleare, non fa che allontanare le possibilità di incontro e di reciproco controllo che ecologia e progresso devono avere, vorrei evidenziare un altro importante motivo per censurare la politica verde: l'assoluta contradditorietà in cui essi incorrono ogni qual volta il problema si sposta dal piano biologico a quello bioetico: i Verdi, che tanto gridano contro la clonazione dei pomodori e le alterazioni genetiche della soja, come si schierano in tema di clonazione umana, fecondazione eterologa, aborto? "Salvaguardiamo l'ambiente ma guardiamoci bene dall'includere, in questo immenso zoo, l'uomo", è forse questo il loro pensiero di fondo?

Alla Sua riflessione, pienamente condivisibile, sulla necessità di pensare una nuova ecologia a tutela dell'ambiente, vorrei affiancare qualche pensiero sulla parallela necessità di pensare anche un nuovo e più attento capitalismo, ritenendo che ecologia e progresso economico debbano correre lungo la stessa strada con pari dignità e peso dialettico. L'incubo di un colossale disastro ecologico che sempre più pressantemente bussa alla nostra porta fonda le sue preoccupanti (e ahimè realistiche) prospettive su quella mentalità scientista e tecnocratica, dominante nei secoli che vanno dal XV a metà del '900, e che va sotto il nome di modernità, una delle cui più efficaci e lampanti manifestazioni è rappresentata dal capitalismo. Il suicidio ecologico a cui ci esponiamo sempre di più affonda le sue radici su un presupposto antropoligico di homo faber, non custode ma dominatore e trasformatore della natura secondo un disegno volto a perseguire la massima utilità individuale. Non è banale, anche lampante, affermare che non saremmo arrivati a questo punto se non ci fosse sempre stato un motivo che ha portato a mettere in secondo piano il problema ecologico: il business. Il motore al alcool (combustibile poco inquinante ed ottenibile dal riciclaggio di rifiuti organici), già realtà nei primi anni '80, sarebbe universalmente diffuso se non fossero invece prevalsi i giochi e gli interessi delle potentissime lobbies dell'oro nero. Potrei citare moltissimi altri esempi di soluzioni ecologiche che sono state accantonate vuoi perché troppo costose, vuoi perché in conflitto con altri, più immediatamente tangibili, benefici. Tutto ciò non cambierà mai se non si riuscirà a mitigare l'onnipresente egemonia dei criteri del "profit" o dell'asettica "analisi costi-benefici" nel determinare scelte politiche. Capitalismo e ambiente, tecnologia ed ecologia possono coesistere solo se si mette al centro la persona umana e la sua posizione dialogica, non dominativa, nei confronti della natura. Credo che ciò sia possibile: innanzitutto grazie alla cultura, all'affermazione di nuove e più concrete istanze ecologiche, in secondo luogo grazie al ricorso ad una più efficace ed attuale tutela normativa. Non è né in forza del buonsenso, né di un vago umanitarismo che il progresso tecnologico può salvarsi dalla sua corsa spesso distruttiva e suicida, ma grazie alla traduzione dei valori in principi di legge che possano agire da confine e da indirizzo allo sviluppo dell'economia capitalistica in armonia con l'ambiente e con le prerogative di sopravvivenza.

Sarà necessario giungere, a mio avviso, ad una costituzionalizzazione della tutela dell'ambiente restituendo alla legge il suo più nobile e principale ruolo: quello di limite e guida delle attività umane.

 

 

Federico Reggio

 

21 anni, studente di Giurisprudenza,

collaboratore esterno del settimanale diocesano Verona Fedele