| Egregio Professore buongiorno.
 Parliamo di TFR e di previdenza integrativa, tema tanto di moda oggi.
 Noi vediamo oggi come le organizzazioni sindacali e  la sinistra in
 generale (e un pò tutti, a dire la verità) sono attivi  nel
        caldeggiare e
 nello spingere la benedetta riforma del TFR: evidentemente fa gola la
        cifra
 enorme accumulata dalle aziende  che si renderebbe disponibile. Si
 renderebbe disponibile  in teoria, sempre ammesso che i titolari
        dello
 stesso TFR ci caschino.  Disponibile,dicevo, alle sgrinfie di
        assicurazioni
 e parti sociali in generale. Non che le altre assicurazioni non siano
 interessate, ma che i sindacati  e le assicurazioni Diessine
        UNI-ficate in
 POoL siano così assatanate, bè è un pò sospetto.
 Il sospetto nasce innanzi tutto quando si vogliono creare nuovi centri
        di
 gestione, in mano al sindacato , delegati ad impastare tale torta.
 
 Le domande che continuo a farmi sono le seguenti:
 
 1) Che bisogno hanno i sindacati di creare altre burocrazie per la
        gestione
 della previdenza aggiuntiva, quando hanno già l'INPS? Non sarebbe
 sufficiente creare la DIVISIONE PENSIONE INTEGRATIVA nell'ambito dello
 stesso INPS? Hanno bisogno di distribuire altri stipendi?
 
 2) Quale veste giuridica hanno i sindacati per proporsi come finanzieri?
 Forse che oggi non è più di moda finanziare il partito, ma bisogna che
        il
 partito DIVENGA LA FINANZA? Già con le COOP e  certe scalate a
        S.p.A.
 bancarie, e con le acquisizioni di aziende e strutture private fatte
        dagli
 enti locali gestiti dalla sinistra si costituisce di fatto una 
        FINANZA DI
 PARTITO  a spese del denaro pubblico. E' questa moda coerente con
        la
 missione della politica?
 NO! La missione dell'ente pubblico sarebbe casomai di creare delle
 strutture e poi VENDERLE proficuamente ai privati  (L'allusione
        alla
 faccenda Milano-Serravalle NON è casuale).
 
 3) Quale sindacato sarebbe quello che gestisce la più grossa somma di
 denaro liquido mai messa insieme nella storia della Repubblica? Le
        sembra
 una cosa sensata questa?
 
 Ebbene, davanti ai soldi non si fà gli schizzinosi: chi rampa per primo
 rampa di più!
 
 Veniamo al conteggio del conquibus.
 Posto che un dipendente guadagni mille euro al mese, l'accantonamento
        per
 TFR corrisponde, al netto a corrispondenti 1000 euro circa. Il che vuol
 dire che dopo quarant'anni di lavoro si sono accumulati quarantamila
        euro.
 Mettiamo che il costo della gestione (stipendi ai gestori) controbilanci
 il rendimento e che l'inflazione sia nulla, due ipotesi ampiamente
 ottimistiche, dopo quarant'anni c'è un capitale di quarantamila euro da
 spalmare su un'aspettativa di vita di venti anni, cioè duecentoquaranta
 mesi.
 Sempre ritenute valide le ipotesi inflazione/costi di gestione/
        rendimento
 di cui sopra, il reddito derivante sarebbe di 167 euro al mese.
 L'entrata in vigore contemporanea della riforma DINI, con cui il calcolo
 della pensione sarà fatto su base CONTRIBUTIVA e non più sulla base
        della
 retribuzione media degli ultimi anni, la pensione dello stesso
        dipendente
 passerà da circa 780 euro mensili a meno di 500 euro mensili ( credo
        che
 questa sia la previsione) .
 Sommando le due cifre 500+ 167 , la pensione totale risultante, a
        regime,
 sarebbe 667 euro , un buon centinaio di euro in meno di prima.
 
 In conclusione, LA SOTTRAZIONE DI UNA MENSILITA' ALL'ANNO E DI UN
 IMPORTANTE AUTOFINANZIAMENTO ALLE IMPRESE DARA' COME FRUTTO LA
        DIMINUZIONE
 NETTA DELLA PENSIONE.
 
 Questo si chiama  latrocinio.
 
 In definitiva l'unico metodo per lasciare alla gente la sua bella
 liquidazione, alle aziende l'autofinanziamento col TFR ed all'anziano
        una
 pensione decorosa è quello di compensare la maggiore aspettativa di
        vita
 (che ben venga) con un periodo lavorativo più lungo.
 
 Chi dice altro inganna la gente e basta. Speriamo che il Berlusca ci
        pensi.
 
 Scusi la lunghezza della lettera.
 Cordialmente - Pinciroli
 
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      | Egregio professore buongiorno.
 Ricerca e ritrova.
 Premesso che appoggio pienamente la riforma della scuola introdotta
 dall'ottima signora Moratti, vorrei dire un paio di ovvietà da sempre
 taciute nei discorsi sulla ricerca universitaria italiana.
 
 A questo punto della storia del C.N.R.  sarebbe il caso di fare un
        piccolo
 bilancio e confrontare il costo della ricerca alla contropartita del
        valore
 della "ritrova", il che è come rispondere alla domanda :
        "Quanto ha
 prodotto mezzo secolo di ricerca pubblica italiana?" oppure alla
        domanda
 "Quale proporzione c'è tra  prodotto ed il costo della
        ricerca italiana
 rispetto a quella di un paese dove la ricerca si fa per davvero come gli
 U.S.A. ?" .
 Se rispondessimo onestamente a questa domanda, credo, si dovrebbe
 concludere che la ricerca italiana altro non è che una forma di
        pubblico
 impiego, e mi fermo qui.
 
 Vero è che in condizioni normali di ricerca propriamente detta, ricerca
 fatta cioè in presa diretta con l'industria , essa genera guadagno.
        Allo
 stesso modo è il guadagno che stimola e finanzia la ricerca. Così
        succede
 dove l'economia è correttamente intesa, cioè dove esiste una
        condizione
 POLITICA fondamentale da cui nasce lo stimolo alla ricerca vera, e
        questa
 condizione politica è l'aspettativa di guadagno per l'industria.
 In una situazione come la nostra, dove più della metà del valore
        aggiunto
 nazionale è fagocitata dai bisogni dello Stato l'aspettativa di
        guadagno
 per l'industria è praticamente nulla. Da qui l'azzeramento delle voci
        di
 spesa dedicate alla ricerca.
 
 Mi piacerebbe conoscere il sua parere.
 
 Cordialità
 G. Pinciroli
 
 
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