24/11/2003
Nel 1980, più di vent'anni fa,  c'era il democristiano Forlani al Governo e il debito pubblico era di 283.000 miliardi. Era ministro del Tesoro l'economista Andreatta mentre Ugo La Malfa era ministro del Bilancio e veniva chiamato Cassandra perché continuava a prevedere sciagure economiche se non si fosse subito ridotto l'indebitamento. Aveva iniziato, giustamente, a tuonare fin da quando il debito era di 4 mila miliardi ed aveva ragione nel dire "così chissà dove si va a finire". I nemici lo bollavano dicendo che lui l'opposizione la faceva stando nel governo e invece era una voce seria, una coscienza critica inascoltata.
Nel 1981/82 c'era il repubblicano Spadolini e il debito fu di 361.000 miliardi.
Divenne poi presidente del Consiglio Amintore Fanfani, democristiano di sinistra, seguace di Dossetti,  e  il debito salì ancora.
A dirigere il governo arrivò Craxi nel maggio del 1983 e vi rimase fino al 1987.  Intanto il debito pubblico s'impennò fino a 910.000 miliardi perché il nuovo corso socialista aveva ideato di non chiedere più alla Banca d'Italia di battere moneta a copertura, ma sostenne l'idea dei titoli di Stato che certamente drenarono liquidità del mercato, deflazionando gli eccessivi interessi bancari, però creavano interessi su interessi. Un anatocismo che è stato un lievito veloce per i nostri conti.
Con De Mita nel 1988, infatti, superò il milione di miliardi. Era, allora, Amato ministro del Tesoro e Ciampi,  che rivestiva l'incarico di Governatore della Banca d'Italia,  emise un grido d'allarme incitando a norme chiare e a sforzi più concreti sul rientro di bilancio per evitare un vero fallimento. E il rientro vi fu ? Ma nemmeno per sogno.  Anzi Ciampi stesso divenne presidente del Consiglio nel 1993 senza che il debito pubblico facesse un balzo indietro. Ma anche i comunisti e la sinistra tutta, pur insistendo sempre più sulle spese a carattere sociale, stigmatizzava l'indebitamento come un grave peccato governativo. Poi quando D'Alema stesso divenne l'inquilino di Palazzo Chigi il problema non si risolse di certo. Insomma su quel problema ci sono passati tutti e nessuno ha fatto sostanzialmente nulla.
Abbiamo poi superato i due milioni di miliardi e oggi, sinceramente, non so con esattezza  quanto sia oltre questa vetta perché la stampa non  ne parla più, come se fosse un problema inesistente. Come se l'Unione Europea l'avesse fatto proprio introducendo l'euro. Invece non è vero,  esiste eccome.
Ogni anno si promette un contenimento della spesa pubblica e poi si sfora alla grande perché tutti vogliono soldi. I ministri per i loro ministeri, le Regioni che si stanno dilatando, gli industriali e gli armatori, gli artisti e i cinematografari, teatranti ed editori, le associazioni italiane, utili e inutili, enti che dovevano essere soppressi e che invece ancora esistono, contributi nazionali e  aiuti all'estero, sprechi a più non posso. Il meridione poi non smette mai di chiedere da cinquant'anni a questa parte, e più riceve e più lamenta povertà. Dobbiamo importare mano d'opera dall'estero e a Napoli esistono "i disoccupati organizzati" che vogliono sussidi e il posto pubblico.  Un'anomalia che forse non esiste in nessun altro Paese del mondo.
Contributi, indennità, soldi per tutti e le tasse si finge di ridurle o di contenerle, ma in realtà aumentano come le tariffe pubbliche, come aumenta un'inflazione sicuramente superiore ai dati ufficiali, e lo  vediamo tutti i giorni negli acquisti.
Eppure abbiamo un articolo della Costituzione, l'81, che è fatto apposta perché non escano leggi senza copertura di spesa, voluto a suo tempo da Einaudi e da chi la pensava come lui,  perché secondo il grande economista liberale, il bilancio dello Stato doveva ogni anno essere correttamente in pareggio. Tanti soldi incassati, tanti spesi.
Ma Einaudi non aveva previsto il compatto partito della spesa trasversale, privo di colori propri e agguerritissimo, che se ne frega del proporzionale o del maggioritario, della sinistra, della destra o del centro. Vuole spendere, incurante che in economia esiste il detto secondo cui o lo Stato si mangia il debito pubblico o il debito pubblico si mangia lo Stato. Il fatto d'essere in Europa non mi pare ci possa salvare da questo destino. Abbiamo anche visto come vengono facilmente scavalcati i patti europei di contenimento del deficit. Se lord Keynes potesse sapere quanto sono state travisate le sue teorie di deficit spending, si vergognerebbe anche d'averle solo pensate.
Chissà se lassù, incontrando Einaudi, non diventa rosso di vergogna per non aver spiegato bene  che la sua ricetta economica ha una valenza transitoria, limitata ai periodi di grave stagnazione e non dura incessantemente, con validità in ogni stagione.
Ma l'Italia se ne frega davvero delle teorie Keynesiane e di quelle di Einaudi. Il partito della spesa è troppo forte e troppo trasversale.  Tremonti è arrivato al Governo con delle idee finalmente chiare e in qualche modo rivoluzionarie, ma di fronte a tale enorme partito privo di bandiera è stato costretto a cambiare rotta non appena evidenziate, per non naufragare e con tutto ciò si è procurato una consistente quantità di nemici giurati. Tenga duro ministro Tremonti, se non le hanno fatto cambiare radicalmente la rotta, almeno ogni tanto le dia un'aggiustatina e non stacchi le mani dal timone.
Cordialmente.
 
Genova, 24 nov 2003                                                                                                             Giglio Rossi