Le
point international
pefirapp@hotmail.com
n°16
du 22 oct 2003 Edition
italienne , «per gli amici»
36,
Ch. des Crêts des Champel, 1206
GENEVE
RIMEDI SGRADEVOLI ALLA SCARSA COMPETITIVITA’ dI Livio Magnani Nell’ultimo Bollettino Economico, impopolare appare la diagnosi del Servizio Studi della Banca d’Italia sulla capacità competitiva italiana. Vi si legge che: “Nel primo semestre 2003 le componenti estere hanno nel complesso frenato l’espansione del pil per 2,3 punti percentuali…..La competitività dell’Italia ha risentito, oltre che dell’apprezzamento nominale effettivo dell’euro …..di una dinamica sostenuta del costo del lavoro per unità di prodotto nell’industria, a sua volta riconducibile alla diminuzione della produttività.”. Roba da far sbavare i vari Epifani, tanto più che è esattamente l’opposto di quanto accade negli USA dove il dollaro si indebolisce e la produttività aumenta! Chi si lamenta del minor sviluppo italiano cerchi di immaginare un’economia guidata soprattutto dall’esportazione ed ora stretta dalla morsa di un cambio sempre più sfavorevole e di un costo del lavoro che cresce a senso unico senza mai poter diminuire, ossia adeguarsi alla congiuntura sfavorevole. La regola in base alla quale le retribuzioni, le pensioni ecc. non possono mai flettere continua a restare un ciquantennale tabù sindacale, talchè le nostre piccole e medie imprese reagiscono al calo della domanda riducendo utili e produzioni e poi, se non sanno od osano riconvertirsi per produrre diverso, chiudendo i battenti. Secondo un sondaggio congiunturale della BI le imprese avrebbero intensificato gli sforzi per sostenere i fattori di competitività diversi dal prezzo: in particolare attraverso interventi sulla gamma dei prodotti offerti sui mercati esteri. A parte la fiammata dell’esportazione di ottobre (+6.3%), sinora i risultati sono stati modestissimi. La rivalutazione dell’euro ed il deprezzamento del dollaro sono stati subiti piuttosto passivamente dalle imprese esportatrici italiane, laddove sarebbero stati necessari cospicui investimenti di pubblicità per creare nuovi bisogni e di riconversione per produrre articoli nuovi e migliori. Se oggi, con la ripresa americana, non constateremo un rilancio delle nostre vendite in quel paese 8-13,2% nei primi dieci mesi), davvero sarà il caso di proporre una generale revisione del sistema dei contratti collettivi di lavoro. Questo bisogno è oggi sentito più di prima, perché l’esportazione italiana si dirige per quasi il 50% extra-euro talchè taluno ha proposto di legare parte dei salari al cambio euro-dollaro. Per chi ha sempre combattuto la scala mobile questi automatismi paiono assurdi. E’ necessario invece consentire un graduale passaggio a contratti di lavoro individuali più elastici come premessa ad un sistema che abbandoni gradualmente l’egualitarismo per premiare i rendimenti non con nuove norme, ma a libito dei datori di lavoro, quale premio alla collaborazione tra capitale e lavoro. E’ una scelta antitetica ai canoni della lotta di classe e già mi sembra di sentire gli ululati e gli improperi dei sindacalisti che fondano il loro potere sui contrattti collettivi. Ma sarebbe una scelta coerente all’obiettivo di massimizzare lo sviluppo economico, anziché mangiare il fieno quando è ancora in erba.
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