12/11/2001

Ho apprezzato il suo stile nelle risposte agli ascoltatori di Prima Pagina
 su Rai3, e soprattutto la sua raccomandazione ad evitare i "moralismi" e
 rimanere legato ai fatti economici.
 Nella trasmissione odierna ha parlato anche di brevetti farmaceutici e dei
 problemi correlati per il terzo mondo.
 Non sia stato toccato un punto che ritengo fondamentale: il brevetto (ed
il copyright analogamente) servono per proteggere l'opera di ingegno e gli
 investimenti in ricerca, in modo che chi investe (risorse economiche nel
 caso dei brevetti, le proprie risorse umane nel caso dei copyright) ne
 abbia un giusto ritorno. La motivazione di questo (non dimentichiamoci che
 si tratta di "invezioni" relativamente moderne, credo che risalgano ad
 epoche successive all'invezione della stampa) è principalmente di
 massimizzazione del bene comune: se non c'è nessuna protezione, allora
 nessuno ha interesse ad investire, e quindi nessuno inventa e la società
 nel suo insieme viene danneggiata.
 Io credo che questo assunto prima o poi verrà messo in discussione e sarà
 necessario riformularlo diversamennte (penso soprattutto ai copyright ed
 alle nuove sfide di Napster&c, ma questo mi porta rapidamente fuori
 tema...).
 Impostando in termini strettamente economici la questione io proverei ad
 esplicitare il punto di vista dell'azienda che investe: esiste una soglia
 minina, un numero di utilizzatori potenziali al di sotto del quale non è
 interessante economicamente fare investiment di ricerca (ci sono stati
 episodi di cronaca qualche mese fa che lo hanno esemplificato); dall'altra
 parte, non credo che un'azienda investa in ricerca pensando di avere un
 ritorno economico adeguato solo nel caso in cui centinaia di milioni di
 individui (di paesi poveri) utilizzeranno il loro prodotto: io credo che
 chi ha investito in ricerca sui medicinali anti-AIDS avesse un "business
 plan" con ritorno economico sulla base di qualche milione di utilizzatori
 (e di paesi ricchi). Se questo è lo scenario, togliere i diritti di
 brevetto su un prodotto distribuito a milioni di persone non
 contravverrebbe il "principio del bene comune" sopra enunciato.
 Secondo lei, avrebbe senso inventare regole che impongano un limite
 superiore alle royalties che ogni anno possono essere ottenute per un dato
 brevetto farmaceutico? Dopotutto si tratta di prodotti soggetti a
scadenza, per cui una volta messi in commercio i primi (ad es.) 10 milioni di
 confezioni con royalties, il resto della produzione potrebbe essere
imposto essere a prezzo royalty-free. Espresso in altri termini, invece di avere
un vincolo temporale di durata del brevetto (come è oggi) ci sarebbe un
 vincolo di "remunerazione" dell'investimento, che sarebbe comunque congruo
 ed adeguato a stimolare la ricerca.
 Non sarebbe necessario imporre una una restrizione geografica alla
 distribuzione: di fatto i paesi ricchi avrebbero disponibilità prima dei
 prodotti più avanzati, ma in caso di epidemie su larghissima scala sarebbe
 comunuqe possibile arrivare rapidamente alla condizione senza royalties.

 Provo a banalizzare con un esempio: se la Bayer ha inventato un vaccino
 contro l'antrace, sicuramente ha messo in conto di averne un ritorno
 economico adeguato sulla base della morbosità mondiale all'antrace
 "naturale" negli anni '80-'90. Se un pazzo terrorista alza di 10'000 o più
volte questa morbosità, perché la Bayern deve averne un enorme ritorno
economico?

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 Joy Marino