Ho apprezzato il suo stile nelle risposte agli ascoltatori di Prima Pagina
su Rai3, e soprattutto la sua raccomandazione ad evitare i
"moralismi" e
rimanere legato ai fatti economici.
Nella trasmissione odierna ha parlato anche di brevetti farmaceutici e
dei
problemi correlati per il terzo mondo.
Non sia stato toccato un punto che ritengo fondamentale: il brevetto (ed
il copyright analogamente) servono per proteggere l'opera di ingegno e gli
investimenti in ricerca, in modo che chi investe (risorse economiche nel
caso dei brevetti, le proprie risorse umane nel caso dei copyright) ne
abbia un giusto ritorno. La motivazione di questo (non dimentichiamoci
che
si tratta di "invezioni" relativamente moderne, credo che
risalgano ad
epoche successive all'invezione della stampa) è principalmente di
massimizzazione del bene comune: se non c'è nessuna protezione, allora
nessuno ha interesse ad investire, e quindi nessuno inventa e la società
nel suo insieme viene danneggiata.
Io credo che questo assunto prima o poi verrà messo in discussione e sarà
necessario riformularlo diversamennte (penso soprattutto ai copyright ed
alle nuove sfide di Napster&c, ma questo mi porta rapidamente fuori
tema...).
Impostando in termini strettamente economici la questione io proverei ad
esplicitare il punto di vista dell'azienda che investe: esiste una soglia
minina, un numero di utilizzatori potenziali al di sotto del quale non è
interessante economicamente fare investiment di ricerca (ci sono stati
episodi di cronaca qualche mese fa che lo hanno esemplificato);
dall'altra
parte, non credo che un'azienda investa in ricerca pensando di avere un
ritorno economico adeguato solo nel caso in cui centinaia di milioni di
individui (di paesi poveri) utilizzeranno il loro prodotto: io credo che
chi ha investito in ricerca sui medicinali anti-AIDS avesse un
"business
plan" con ritorno economico sulla base di qualche milione di
utilizzatori
(e di paesi ricchi). Se questo è lo scenario, togliere i diritti di
brevetto su un prodotto distribuito a milioni di persone non
contravverrebbe il "principio del bene comune" sopra enunciato.
Secondo lei, avrebbe senso inventare regole che impongano un limite
superiore alle royalties che ogni anno possono essere ottenute per un
dato
brevetto farmaceutico? Dopotutto si tratta di prodotti soggetti a
scadenza, per cui una volta messi in commercio i primi (ad es.) 10 milioni di
confezioni con royalties, il resto della produzione potrebbe essere
imposto essere a prezzo royalty-free. Espresso in altri termini, invece di
avere
un vincolo temporale di durata del brevetto (come è oggi) ci sarebbe un
vincolo di "remunerazione" dell'investimento, che sarebbe
comunque congruo
ed adeguato a stimolare la ricerca.
Non sarebbe necessario imporre una una restrizione geografica alla
distribuzione: di fatto i paesi ricchi avrebbero disponibilità prima dei
prodotti più avanzati, ma in caso di epidemie su larghissima scala
sarebbe
comunuqe possibile arrivare rapidamente alla condizione senza royalties.
Provo a banalizzare con un esempio: se la Bayer ha inventato un vaccino
contro l'antrace, sicuramente ha messo in conto di averne un ritorno
economico adeguato sulla base della morbosità mondiale all'antrace
"naturale" negli anni '80-'90. Se un pazzo terrorista alza di
10'000 o più
volte questa morbosità, perché la Bayern deve averne un enorme ritorno
economico?
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Joy Marino
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