| Carissimo dott. Pelanda,
 appena sono venuto a sapere della proposta, partita dall'on.
 Storace, di mettere sotto verifica alcuni libri di testo, mi sono
      quasi
 sentito vendicato delle non certo piacevoli discussioni che ho
      dovuto,
 fin dalle medie, affrontare con i miei insegnanti. Sui libri di
      testo
 leggevo dell'Europa Orientale, per non parlare dell'Unione
      Sovietica,
 come se fosse il paese di Bengodi, e quando
 alzavo discretamente la mano per dire all'insegnante che le mie
      dirette
 esperienze oltrecortina ( mio padre ha lavorato per lungo tempo con
      i
 paesi del blocco sovietico ) non erano del tutto conformi a queste
      tesi,
 nel migliore dei casi mi si rispondeva con un sorriso di
      sufficienza.
 Talvolta mi davano del fascista, sullo stile di Peppone a
      Montecitorio (
 cfr. Don Camillo Monsignore, ma non troppo ), altre volte dicevano
      che
 semplicemente mi inventavo tutto.
 
 Non credevano che per battere a macchina fosse necessaria una
      patente (
 la macchina per scrivere poteva essere utilizzata con la carta
      carbone,
 ergo fino a sei, sette copie ergo strumento utile per la propaganda
 sovversiva ) o che le macchine fotocopiatrici fossero disponibili
      solo a
 Mosca, ma soprattutto non credevano alle situazioni di miseria di
      cui
 parlavo.
 
 Per non parlare poi delle sfrenate apologie propagandistiche quando
      si
 avvicinava il 25 aprile. Il che, essendo stato mio nonno materno
      ucciso
 dai partigiani nel maggio 1945, per me non erano certo piacevoli.
 Fortunatamente il giorno della liberazione era però vacanza, sennò
      avrei
 rischiato di sfilare a fianco degli assassini di mio nonno. La qual
      cosa
 in un certo senso accadeva il 2 giugno, quando mi mettevano la
 bandierina in mano per festeggiare la Repubblica.
 
 Che dire poi di quando, già al liceo, leggevo La Voce e Il
      Giornale. Non
 frequentavo il Parini o il Berchet, ma un collegio arcivescovile, e
      se i
 miei genitori andavano a parlare con i professori questi ultimi
 definivano i quotidiani, allora diretti rispettivamente  da
      Feltri e
 Montanelli, una lettura pericolosa. Saranno state educative le
 encicliche del cardinal Martini che ero costretto a studiare durante
      le
 vacanze invernali. Primi esempi del buonismo tuttora imperante.
      Nella
 stessa scuola, un paio di anni prima, alle medie, durante le
      giornate
 della Guerra del Golfo, avevo portato in classe una copia del
      Reader's
 Digest. Il professore di italiano voleva farci discutere, sulla base
 della carta stampata, gli avvenimenti più recenti, ma il Reader's
      Digest
 ( senza parlare de Il Giornale ) era considerata fonte inattendibile
 perchè pubblicata negli USA.
 Del resto mi è andata anche peggio compreso un cinque in italiano
      con la
 scusa di essere andato fuori tema. Il fatto che l'argomento era la
 Resistenza e, a detta della mia insegnante, l'eccidio di passo
      Porzus
 non rientrava nell'argomento.
 
 Cordialmente,
 
 Matteo Sommaruga
 
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