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 Professore,
        mi sembra molto interessante il Suo intervento su ‘il Foglio’
        relativamente alla necessità di mettere a punto un meccanismo di
        valutazione sul rischio degli investimenti sull’emergente ‘borsa
        valori Internet’ (tutti sono ‘speculativi’ altrimenti non ‘giocheremmo’
        in borsa valori). Credo
        che non dovrebbe essere difficile fissare almeno due criteri di
        valutazione sul rischio di valutazione eccessiva e di misurarne la
        grandezza sulla base di rilevazioni puramente statistiche qualora
        esistesse un ente interessato a investire in materia. I
        criteri dovrebbero definire i parametri da tenere sotto osservazione
        mentre i parametri scelti potrebbero essere organizzati in matrici di
        input output in piena analogia per intenderci con quanto portò Leontiev
        al Nobel con le sue matrici macroeconomiche.  Gli
        investimenti mobiliari di rischio infatti sono collegati a due comparti
        dell’economia: 1
        - agli aumenti di produttività realizzabili nel breve-medio termine
        grazie al valore aggiunto che può essere fornito all’industria nei
        suoi più diversi comparti da parte dei nuovi servizi in rete. Questa
        fascia di investimenti è collegata a parametri ben noti in quanto
        connessi all’attuale struttura produttiva ed alla sua reattività a
        fronte di migliorie disponibili nei servizi distributivi di materie
        prime e beni prodotti. Credo che esistano abbondanti disponibili fonti
        statistiche in ogni Paese per consentire di organizzare un insieme di
        matrici che sappiano discriminare tra quanto potrebbe credibilmente
        reagire a maggiori investimenti, in quali tempi e in che misura sul
        piano della crescita di produttività dell’attuale sistema industriale
        in via di crescente ma lenta integrazione e quanto invece non potrebbe
        in alcun modo risultare credibile e pertanto fonte di rischio sempre
        maggiore, oppure 2
        – alla reattività sul medio-lungo termine che possa derivare
        credibilmente dall’immissione di nuovi apporti finanziari nel circuito
        dei comparti più innovativi del sistema produttivo e distributivo
        (dalla ricerca applicata in materia di nuove soluzioni energetiche, in
        nuove tecnologie rurali, in gestione delle risorse primarie, in riciclo
        delle scorie industriali, ecc.). Anche in questo campo esistono
        quantità di investimento oltre le quali non è credibile attendersi un
        effetto pratico in tempi misurabili. Ciò a causa dell’impatto delle
        strutture sociali e politiche sulla concreta diffusione dell’innovazione.
        Inoltre lo spostamento geopolitico di capitali crea anche discontinuità
        traumatiche nei correnti sistemi produttivi e distributivi nel Nord
        mentre non può credibilmente essere controbilanciato da altrettanto
        affidabili ritorni sugli investimenti. In
        entrambi i comparti industriali una modellistica basata sulle matrici di
        Leontiev potrebbe risultare di semplice realizzazione ed altrettanto
        facile sarebbe acquisire i dati statistici da inserirvi per i calcoli.
        Inoltre la statistica ha il grande vantaggio di essere totalmente ‘trasparente’
        rispetto ai due comparti industriali di cui valutare le reattività ed i
        connessi eccessi di rischio. Voglio
        sperare che i maggiori istituti di credito nazionali o internazionali
        pubblici e privati abbiano già messo mano a questo tipo di valutazioni
        del rischio. Tendo ad essere realista ma di vedere sempre il bicchiere
        mezzo pieno. Forse è questa mia peculiarità caratteriale che mi ha
        fino ad oggi convinto che tali modelli esistano, da oggi ho un nuovo
        elemento su cui riflettere con ansia (si fa per dire). Per
        chiudere voglio allegarLe a questa mia lettera qualche indicazione ‘operativa’
        su come io procederei al fine di creare un ‘modello di valutazione dei
        flussi finanziari’ che siano legati alla globalizzazione ma che
        vogliano conservare credibilità e controllabilità agli associati
        processi di breve-medio termine e di medio-lungo termine. cordialmente
         
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 Caro
          professore, ho apprezzato la concisione del Suo scenario apparso su
          ‘il Foglio’ di Sabato scorso che, come al solito, dimostra come un
          professionista appassionato possa aiutare la politica nazionale (anche
          quella sui temi meno esaltanti) ad orientare la pubblica opinione e i
          produttori di reddito sui ‘vincoli esterni’ che limitano la
          ‘libertà d’azione’ di qualsiasi governo della nostra italietta. Credo
          sia il solo approccio concreto che possa suggerire all’elettorato di
          condizionare le scelte elettorali altrimenti prevaricate in modo
          sterile e partigiano ‘per default informativo’ dalle nostre ‘ubbìe
          idelogiche’ . La
          sterilità delle aspettative che si sono spesso poste in Italia circa
          le conseguenze del voto politico ha creato inevitabilmente nel corpo
          elettorale costanti dosi di frustrazione e di percezione di tradimento
          delle promesse alimentando quindi la unica fonte di mobilitazione
          elettorale (quella tifoso-partigiana cui ancora siamo costretti a
          ricorrere in campagna elettorale) per sollecitare alla massiccia
          partecipazione ben oltre la soglia dell’80%. Soglia che convincendo
          la fascia più moderata e meno informata a recarsi alle urne
          costituisce l’unico elemento di ‘oggettività’ del voto e di
          salvaguardia da pericolose svolte ideologico-intellettualistiche.  Mi
          scusi la lunga ‘tirata iniziale’ che costituisce uno dei pochi ed
          irrinunciabili appagamenti di esternazione delle mie convinzioni ed
          impegno politico. Gli
          elementi di contorno attorno all’esigenza di qualsiasi nuovo governo
          di reperire immediatamente i 20 miliardi ‘strutturali’, da Lei
          rappresentati in modo così efficace, compongono infatti la parte di
          gran lunga prioritaria della dura realtà che si oppone alle
          aspettative più rosee che i politici tentano di suggerire
          all’elettorato e meritano quindi sia di essere portati
          all’attenzione del vasto pubblico (come Ella ha fatto in modo
          ‘ficcante’ e comprensibilissimo) sia di essere approfonditi nelle
          conseguenze (cosa che tento con la presente di suggerirLe di fare in
          altro breve ‘scenario’ su ‘il Foglio’ stesso magari
          addirittura nel corso della settimana entrante). Mi
          sembra infatti che tutti i potenziali elettori in Italia abbiano
          chiaro che Tremonti sia il più idoneo a condurre una ulteriore
          operazione di ‘finanzia creativa’ che possa evitare di
          ‘dirottare’ la linea politica del possibile, futuro governo
          ‘Berlusconi ter’ invece di affidarsi alle scelte dei potenziali
          Visco nell’altrettanto possibile governo ‘Prodi bis’ su linee di
          fiscalità ideologicamente orientata alla ‘redistribuzione’ di un
          reddito nazionale impegnato al recupero del debito dell’era del
          consociativismo (altrimenti non si riesce a definire con chiarezza
          quel periodo che chiamiamo in modo mistificante la ‘prima
          repubblica’ che fu invece suddiviso in almeno tre periodi tutti
          dipendenti dal contesto globale di allora: governo Parri e fino
          all’espulsione del ‘fronte popolare’, governi del ‘miracolo
          economico’ con garante De Gasperi fino al primo ‘centro
          sinistra’ con Gronchi e il consociativismo DC-PCI sostenuto
          dall’arco costituzionale e dal patto tra ‘poteri
          forti-Confindustria-CGIL-CISL-UIL’ fino al crollo del muro di
          Berlino). Credo che questo riepilogo possa essere poco contestato
          nelle sue linee essenziali e che quindi nessun elettore né
          conservatore (di destra o di sinistra) né progressista (di destra o
          di sinistra) che sia potrebbe ragionevolmente negare un secondo
          mandato a Berlusconi (indipendentemente da simpatie o avversioni
          dettate da birignao di casta). Come
          detto non credo sia quello il messaggio da illustrare anche se come
          Ella ha fatto in modo così efficace. Occorrerebbe infatti
          approfondire le possibilità che si offrono all’Italia nei decenni
          futuri ‘dopo’ avere messo in carica il nuovo governo. Ciò
          traspare in modo chiaro ma solo accennato nel Suo scenario e mi muove
          a chiederLe un ulteriore immediato contributo. Qualora
          si dovesse scegliere in concreto di ottenere in campo internazionale
          appoggio per condurre le nostre politiche di rilancio economico ci
          troveremmo infatti immersi in una tenaglia di pressioni di interessi
          esteri non ancora (per nostra fortuna) pienamente stabilizzati: quelli
          dei ‘paesi forti’ europei che ci vedono come un prezioso
          ‘tributario’ e vassallo delle loro politiche di ‘terzietà’
          tra USA e Asia (qualsiasi cosa ciò voglia dire data la ancora
          indefinita dimensione degli interessi di questo primo blocco di
          potenze regionali – Francia e, forse, Germania-Russia) e quelli
          USA-UK che potrebbero affidarci un ruolo meno ‘vassallo’ grazie
          alla utilità propria della struttura interna del nostro sistema
          produttivo e politico (alludo al fatto che politicamente siamo quasi
          assenti e quindi accettati all’Est e al Sud tramite sinergie con i
          forti gruppi multinazionali USA-UK e con la Chiesa di Roma ed i suoi
          ordini caritatevoli impegnati nella ‘cooperazione allo sviluppo’
          fino alla CdO e al San Raffaele di Don Verzè).  Tali
          scelte di collocazione alternativa non sarebbero indolori ma
          offrirebbero comunque prospettive di rilancio di una nostra capacità
          d’azione globale di maggiore o minore decoro (a seconda del gusto di
          ‘sinistra’ anti-americana anti-israeliana o di quello dettate
          dalle aspirazioni diffuse di assomigliare sempre più alla
          ‘democrazia anglosassone’ USA-UK ormai su posizioni saldamente
          ‘di destra’ economica – e quindi di concreta ispirazione
          liberal-democratica). Mi
          scusi la lunghezza e valuti Lei se soddisfare questa nostra richiesta
          di maggiori lumi nel Suo eventuale ‘scenario’ integrativo, cordialmente
           Carlo
          Vitali 
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