09/03/2006

Professore, mi sembra molto interessante il Suo intervento su ‘il Foglio’ relativamente alla necessità di mettere a punto un meccanismo di valutazione sul rischio degli investimenti sull’emergente ‘borsa valori Internet’ (tutti sono ‘speculativi’ altrimenti non ‘giocheremmo’ in borsa valori).

Credo che non dovrebbe essere difficile fissare almeno due criteri di valutazione sul rischio di valutazione eccessiva e di misurarne la grandezza sulla base di rilevazioni puramente statistiche qualora esistesse un ente interessato a investire in materia.

I criteri dovrebbero definire i parametri da tenere sotto osservazione mentre i parametri scelti potrebbero essere organizzati in matrici di input output in piena analogia per intenderci con quanto portò Leontiev al Nobel con le sue matrici macroeconomiche.

Gli investimenti mobiliari di rischio infatti sono collegati a due comparti dell’economia:

1 - agli aumenti di produttività realizzabili nel breve-medio termine grazie al valore aggiunto che può essere fornito all’industria nei suoi più diversi comparti da parte dei nuovi servizi in rete. Questa fascia di investimenti è collegata a parametri ben noti in quanto connessi all’attuale struttura produttiva ed alla sua reattività a fronte di migliorie disponibili nei servizi distributivi di materie prime e beni prodotti. Credo che esistano abbondanti disponibili fonti statistiche in ogni Paese per consentire di organizzare un insieme di matrici che sappiano discriminare tra quanto potrebbe credibilmente reagire a maggiori investimenti, in quali tempi e in che misura sul piano della crescita di produttività dell’attuale sistema industriale in via di crescente ma lenta integrazione e quanto invece non potrebbe in alcun modo risultare credibile e pertanto fonte di rischio sempre maggiore, oppure

2 – alla reattività sul medio-lungo termine che possa derivare credibilmente dall’immissione di nuovi apporti finanziari nel circuito dei comparti più innovativi del sistema produttivo e distributivo (dalla ricerca applicata in materia di nuove soluzioni energetiche, in nuove tecnologie rurali, in gestione delle risorse primarie, in riciclo delle scorie industriali, ecc.). Anche in questo campo esistono quantità di investimento oltre le quali non è credibile attendersi un effetto pratico in tempi misurabili. Ciò a causa dell’impatto delle strutture sociali e politiche sulla concreta diffusione dell’innovazione. Inoltre lo spostamento geopolitico di capitali crea anche discontinuità traumatiche nei correnti sistemi produttivi e distributivi nel Nord mentre non può credibilmente essere controbilanciato da altrettanto affidabili ritorni sugli investimenti.

In entrambi i comparti industriali una modellistica basata sulle matrici di Leontiev potrebbe risultare di semplice realizzazione ed altrettanto facile sarebbe acquisire i dati statistici da inserirvi per i calcoli. Inoltre la statistica ha il grande vantaggio di essere totalmente ‘trasparente’ rispetto ai due comparti industriali di cui valutare le reattività ed i connessi eccessi di rischio.

Voglio sperare che i maggiori istituti di credito nazionali o internazionali pubblici e privati abbiano già messo mano a questo tipo di valutazioni del rischio. Tendo ad essere realista ma di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Forse è questa mia peculiarità caratteriale che mi ha fino ad oggi convinto che tali modelli esistano, da oggi ho un nuovo elemento su cui riflettere con ansia (si fa per dire).

Per chiudere voglio allegarLe a questa mia lettera qualche indicazione ‘operativa’ su come io procederei al fine di creare un ‘modello di valutazione dei flussi finanziari’ che siano legati alla globalizzazione ma che vogliano conservare credibilità e controllabilità agli associati processi di breve-medio termine e di medio-lungo termine.

cordialmente Carlo Vitali

 

25/03/2006

Caro professore, ho apprezzato la concisione del Suo scenario apparso su ‘il Foglio’ di Sabato scorso che, come al solito, dimostra come un professionista appassionato possa aiutare la politica nazionale (anche quella sui temi meno esaltanti) ad orientare la pubblica opinione e i produttori di reddito sui ‘vincoli esterni’ che limitano la ‘libertà d’azione’ di qualsiasi governo della nostra italietta.

Credo sia il solo approccio concreto che possa suggerire all’elettorato di condizionare le scelte elettorali altrimenti prevaricate in modo sterile e partigiano ‘per default informativo’ dalle nostre ‘ubbìe idelogiche’ .

La sterilità delle aspettative che si sono spesso poste in Italia circa le conseguenze del voto politico ha creato inevitabilmente nel corpo elettorale costanti dosi di frustrazione e di percezione di tradimento delle promesse alimentando quindi la unica fonte di mobilitazione elettorale (quella tifoso-partigiana cui ancora siamo costretti a ricorrere in campagna elettorale) per sollecitare alla massiccia partecipazione ben oltre la soglia dell’80%. Soglia che convincendo la fascia più moderata e meno informata a recarsi alle urne costituisce l’unico elemento di ‘oggettività’ del voto e di salvaguardia da pericolose svolte ideologico-intellettualistiche.

Mi scusi la lunga ‘tirata iniziale’ che costituisce uno dei pochi ed irrinunciabili appagamenti di esternazione delle mie convinzioni ed impegno politico.

 

Gli elementi di contorno attorno all’esigenza di qualsiasi nuovo governo di reperire immediatamente i 20 miliardi ‘strutturali’, da Lei rappresentati in modo così efficace, compongono infatti la parte di gran lunga prioritaria della dura realtà che si oppone alle aspettative più rosee che i politici tentano di suggerire all’elettorato e meritano quindi sia di essere portati all’attenzione del vasto pubblico (come Ella ha fatto in modo ‘ficcante’ e comprensibilissimo) sia di essere approfonditi nelle conseguenze (cosa che tento con la presente di suggerirLe di fare in altro breve ‘scenario’ su ‘il Foglio’ stesso magari addirittura nel corso della settimana entrante).

 

Mi sembra infatti che tutti i potenziali elettori in Italia abbiano chiaro che Tremonti sia il più idoneo a condurre una ulteriore operazione di ‘finanzia creativa’ che possa evitare di ‘dirottare’ la linea politica del possibile, futuro governo ‘Berlusconi ter’ invece di affidarsi alle scelte dei potenziali Visco nell’altrettanto possibile governo ‘Prodi bis’ su linee di fiscalità ideologicamente orientata alla ‘redistribuzione’ di un reddito nazionale impegnato al recupero del debito dell’era del consociativismo (altrimenti non si riesce a definire con chiarezza quel periodo che chiamiamo in modo mistificante la ‘prima repubblica’ che fu invece suddiviso in almeno tre periodi tutti dipendenti dal contesto globale di allora: governo Parri e fino all’espulsione del ‘fronte popolare’, governi del ‘miracolo economico’ con garante De Gasperi fino al primo ‘centro sinistra’ con Gronchi e il consociativismo DC-PCI sostenuto dall’arco costituzionale e dal patto tra ‘poteri forti-Confindustria-CGIL-CISL-UIL’ fino al crollo del muro di Berlino). Credo che questo riepilogo possa essere poco contestato nelle sue linee essenziali e che quindi nessun elettore né conservatore (di destra o di sinistra) né progressista (di destra o di sinistra) che sia potrebbe ragionevolmente negare un secondo mandato a Berlusconi (indipendentemente da simpatie o avversioni dettate da birignao di casta).

 

Come detto non credo sia quello il messaggio da illustrare anche se come Ella ha fatto in modo così efficace. Occorrerebbe infatti approfondire le possibilità che si offrono all’Italia nei decenni futuri ‘dopo’ avere messo in carica il nuovo governo. Ciò traspare in modo chiaro ma solo accennato nel Suo scenario e mi muove a chiederLe un ulteriore immediato contributo.

Qualora si dovesse scegliere in concreto di ottenere in campo internazionale appoggio per condurre le nostre politiche di rilancio economico ci troveremmo infatti immersi in una tenaglia di pressioni di interessi esteri non ancora (per nostra fortuna) pienamente stabilizzati: quelli dei ‘paesi forti’ europei che ci vedono come un prezioso ‘tributario’ e vassallo delle loro politiche di ‘terzietà’ tra USA e Asia (qualsiasi cosa ciò voglia dire data la ancora indefinita dimensione degli interessi di questo primo blocco di potenze regionali – Francia e, forse, Germania-Russia) e quelli USA-UK che potrebbero affidarci un ruolo meno ‘vassallo’ grazie alla utilità propria della struttura interna del nostro sistema produttivo e politico (alludo al fatto che politicamente siamo quasi assenti e quindi accettati all’Est e al Sud tramite sinergie con i forti gruppi multinazionali USA-UK e con la Chiesa di Roma ed i suoi ordini caritatevoli impegnati nella ‘cooperazione allo sviluppo’ fino alla CdO e al San Raffaele di Don Verzè).

Tali scelte di collocazione alternativa non sarebbero indolori ma offrirebbero comunque prospettive di rilancio di una nostra capacità d’azione globale di maggiore o minore decoro (a seconda del gusto di ‘sinistra’ anti-americana anti-israeliana o di quello dettate dalle aspirazioni diffuse di assomigliare sempre più alla ‘democrazia anglosassone’ USA-UK ormai su posizioni saldamente ‘di destra’ economica – e quindi di concreta ispirazione liberal-democratica).

Mi scusi la lunghezza e valuti Lei se soddisfare questa nostra richiesta di maggiori lumi nel Suo eventuale ‘scenario’ integrativo,

cordialmente

Carlo Vitali