Bravo !
La ringrazio per il contributo allo sforzo di salvare l' Impresa
in
Italia, in Europa, attraverso l' articolo di fondo di lunedì 22 u.s. de
L' Arena.
Desidero integrare le Sue proposte con alcuni pensieri che, da
tempo,
rimugino nella mia testa di imprenditore tessile.
Concordo sulle soluzioni che pure Lei ha evidenziato: la necessità
di
svalutare il super Euro e la necessità di rilanciare l' economia
attraverso una più
flessibile politica di spesa dello stato. Purtroppo
queste due cure
-indispensabili- sono osteggiate dagli attuali padroni d' Europa:
i
finanzieri.
Oggi la finanza comanda su tutto; non è più un mezzo per
facilitare la
creazione di ricchezza, ma è divenuta il fine della creazione
della ricchezza.
Dal mio punto di vista è chiaro che l' Europa non può
permettersi di porre
la finanza prima della manifattura: 400 milioni di Europei non
possono
permettersi di vivere di finanza, nè tantomeno di nanotecnologia!;
devono anzi
rimboccarsi le maniche e farsi tornare voglia di lavorare. E
devono sperare di far
tornare la voglia di investire ai loro imprenditori che, oggi, non
riescono più a
remunerare i loro investimenti in capitali e, a loro volta,
trovano più
facile e sicuro spostare le loro diponibilità nel mattone.
Proprio dei brutti ingredienti, non c'è che dire. Dai quali
non ne potrà
uscire che un piatto che si chiama recessione.
La manifattura europea, non il tessile italiano, la manifattura europea
non può competere con possibilità di successo contro la Cina perchè,
ad esempio,
nel mio settore ...
... il renmimbi è sottovalutato del ca. 30 % sul
dollaro, che a sua
volta vale nei confronti dell' Euro un ca. 20 % in
meno della logica.
... perchè quando una società tessile europea cerca
di vendere in Cina
deve pagare il 34 % di dazio, mentre quando una
azienda cinese viene in
europa paga solo l' 8 % ottenendo però, adl suo
governo, un ristorno all'
esportazione del 17 %. Non si spiegano
altrimenti dei prezzi di
prodotti finiti inferiori alle stesse materie
prime.
... perchè la Cina continua a finanziare imprese che
provocano
occupazione e le ricapitalizza quando queste,
vendendo sottocosto, provocano delle
perdite.
E qui mi fermo, senza parlare di minor costo della manod'opera, di
inesistenti costi di rispetto dell' ambiente o dell' Uomo sul
posto del lavoro, di un
ambiente favorevole allo sviluppo dell' impresa perchè ad essa è
riconosciuto un ruolo indispensabile . Vantaggi che
potrebbero certo esssere affrontati,
e spesso sconfitti, dall' efficienza e dalla innovazione europea.
Lei ha ragione quando parla di recupero di competitività come di
un passo
indispensabile per mantenere la nostra ricchezza.
Come poter incementare la competitività del nostro sistema???
La mia
proposta è certo più facile a dirsi che a realizzarsi,
soprattutto perchè necessita
di una presa di coscieza europea e non italiana: del resto però
il problema
dell' occupazione è un problema europeo e va risolto a quel
livello ...
... io propongo di non far più gravare i costi dello stato
sociale sulla
testa che lavora, oggi sempre in numero inferiore, ma di tagliarli
sulla testa
che consuma.
In sostanza credo sia indispensabile rendere più competitivo
il lavoro
europeo sgravandolo di tutti i contributi e destinare alla loro
raccolta una nuova
IVA,
applicata al prodotto consumato. In tal modo i nostri
costi sociali, che
non cambierebbero ... non entro nella polemica pensionistica,
anche se è e
sarà un tema sempre più attuale, sarebbero pagati dal consumo: più un
paese è
ricco e consuma e più è in grado di contribuire al proprio stato
sociale.
Inoltre gli stessi costi sarebbero spalmati sia sulle merci prodotte in
occidente, sia
sulle merci importate dal meno caro oriente. Le prime
diverrebbero un pò più
competitive a scapito delle seconde che subiranno un nuovo onere.
Questa soluzione portebbe un ulteriore conseguenza positiva verso il
rispetto
delle leggi: mi riferisco alla guerra al lavoro sommerso, al
"nero". Infatti
il consumatore che decidesse di acquistare dei prodotti in nero, sarebbe
consapevole di evadere pure la provvista che servirà, un domani,
a
finanziare la
propria pensione.
Sono un uomo fortunato perchè domenica scorsa sono tornato da una
missione
da S. Francisco, California. Massimo Calearo,
illuminato Presidente dell'
associazione degli industriali vicentini, ha portato l' intera
Giunta a
visitare due tra le più famose università, Berkley e Stanford,
le maggiori imprese
gestite da italiani nella famosa Silicon Valley ed altre grandi
imprese
che sono solite condividere progetti, ricerche, start up con le nominate
università.
Per nove giorni abbiamo approfondito la storia e gli eventi che
hanno
sviluppato il più grande ed influente distretto del silicio e
delle nuove tecnologie
nel mondo. Abbiamo parlato con professori,
imprenditori, ventur capitalist,
scienziati, ricercatori, giornalisti, storici; abbiamo partecipato
a
seminari, convegni. L' obiettivo del viaggio, che sono
certo avrà una
significativa influnza su molte aziende vicentine e quindi nella vita di
migliaia di
cittadini!, è stato soprattutto l' approfondimento di come
funzionano i
collegamenti tra sistema universitario ed impresa. Una
esperienza
davvero ricca, per la quale il mio senso di debito nei confronti l'
associazione
di Vicenza è forte. Nel visitare i laboratori di
Stanford finanziati dal
privato cittadino, Mr. Packard (socio fondatore di HP),
abbiamo riflettuto a
quanto fosse diversa la cultura dei nostri capitani d' impresa italiani
che,
invece di investire in attività filantropiche che certamente darebbero
sviluppo e
successo al nostro paese, spendono centinaia di miliardi nelle
sposorizzazioni di
squadre calcistiche. > Gentile Dottor Pelanda,
è chiaro che parlare di ciò, magari dandoci ragione a vicenda,
serve
proprio a poco !
Credo sia tempo di agitarsi e per questo i direttori della
associazioni di
Vicenza e Verona mi leggono in copia.
Con cordialità
Antonio B. imprenditore tessile |