19/03/2004

Egregio prof. Pelanda,

come tutti i componenti della mia famiglia, sono un lettore assiduo de “Il Giornale”; tutti apprezziamo i suoi articoli, spesso volti a denunciare la situazione catastrofica in cui versano le nostre istituzioni universitarie e culturali. La mia situazione odierna conferma appieno le sue idee!

Sono un Dottore di Ricerca in Storia Antica: mi sono laureato nel 1995 (110/110 e lode, senza andare fuori corso). Nel 1997 ho partecipato a un concorso per l’assegnazione di un posto di Dottorato di Ricerca in Storia Antica, vincendolo; dopo tre anni di ricerca e assistenza universitaria, nel maggio 2001 ho discusso la mia dissertazione ottenendo il PhD. Nel giugno 2001 ho partecipato a un concorso per una borsa di studio post-dottorato, vincendolo; la mia borsa di studio è terminata a fine maggio 2003. Da allora ho continuato a rimanere “operativo” nella mia sede abituale di ricerca (in modo assolutamente gratuito), continuando le mie attività, producendo alcuni scritti e revisionando (in lingua inglese) la dissertazione di dottorato, ora pronta per la pubblicazione. La mobilità non costituisce per me alcun problema, ed ho tentato anche la via estera, facendo domanda per una borsa di studio in Germania (purtroppo, nessun finanziamento è stato concesso a studiosi dell’area umanistica, e ho avuto credibili garanzie che il mio progetto di ricerca non avrebbe avuto difficoltà ad aggiudicarsi un eventuale contributo), e una domanda per una “Lectureship” a due università del Regno Unito (anche in questi due casi, però, nessun risultato).

Lo scorso agosto 2003 ho preparato un progetto per ottenere un assegno di ricerca che il responsabile scientifico (nonché mio professore “di riferimento”) voleva richiedere specificamente per me; l’assegno è stato finanziato, il bando è stato emesso, ma il responsabile mi ha chiesto di farmi da parte; anzi, la richiesta è stata quella di partecipare al concorso, arrivando però secondo e lasciando vincere una “particolare” studentessa, da sempre sua favorita. Davanti alle mie rimostranze, ad una serie di cogenti argomentazioni scientifiche (incompetenza sull’argomento dell’assegno da parte della studiosa) ed umane (divento padre fra due mesi, e sono a piedi con il lavoro da un anno), mi è stato risposto che avevo ragione al 100%, ma che lui non aveva altra via d’uscita che “farmi fuori”!

A questo punto, devo considerare conclusa la mia esperienza universitaria, ma questo mi pesa in modo tremendo, perché ciò che ho fatto fino ad oggi è stato realmente la mia vita. Ma ho quasi 33 anni, una famiglia e un figlio che sta per arrivare, e non posso permettermi di attendere ancora (sapendo, inoltre, che di fronte a qualsiasi altra “favorita” verrò nuovamente scannato sull’altare del sacrificio); inizio ora a vivere un’ulteriore difficoltà, quella di riciclarsi e trovare un altro impiego.

Mi farà un immenso piacere se troverà il modo e un attimo per rispondermi. Con viva cordialità,

 

dr. Efrem Zambon