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             Egr.
            Professor Pelanda Già
            nel lontano 1967 Paolo VI avvertiva che si andava "verso un
            aggravamento e non verso un'attenuazione delle disparità dei
            livelli di vita" e rivolgeva agli uomini
            di buona volontà  un appello per "lo sviluppo dei popoli
            ... che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria,
            delle malattie endemiche...". Oggi,
            a distanza di oltre 30 anni, ogni mese che passa continua a portare
            il suo corteo di notizie sconcertanti o addirittura raccapriccianti.
            Il divario fra ricchi e poveri cresce inesorabilmente, anche
            all’interno degli stessi Paesi più "avanzati". Constatazione
            fuori tempo in un'Italia rinvigorita dall'ultimo risultato
            elettorale? Forse non del tutto, in quanto la sorte dei vari Stati
            è interdipendente. Anche dando per scontato che il Buongoverno non
            solo raggiunga tutti i suoi obiettivi ma abbia addirittura un
            effetto trainante, in meglio, sul funzionamento di molti altri
            Paesi, ci vorrà una spinta più profonda, proveniente dalla base,
            dalla cosiddetta "società civile", per suscitare
            un'inversione di tendenza su ampio raggio. A
            rischio di sembrare semplicistici, si può dire che la chiave di
            lettura dell'economia di mercato di questo inizio secolo sta in una
            parola sola, "saturazione", il relativo rimedio in
            un'altra, "infrastrutture". Tento
            di spiegarmi partendo da un aspetto basilare: nella logica
            manageriale, l'unico mercato che conta è quello in grado di pagare
            i prodotti e servizi offerti dalle imprese. Per quanto riguarda i
            beni di consumo, ultimo ma decisivo anello della catena economica, i
            potenziali acquirenti si trovano prevalentemente nei Paesi
            sviluppati. I cui abitanti, nella stragrande maggioranza, non hanno
            più i bisogni primari che hanno scatenato la formidabile espansione
            degli anni cinquanta e sessanta quando tutte le famiglie sognavano
            il televisore, gli elettrodomestici, l'automobile... Adesso hanno
            anche il cellulare, il computer... Si
            è quindi innescata, da parte delle aziende, sin dagli anni 70, una
            gigantesca corsa al meglio, allo specialistico, al tecnicismo, alla
            sofisticazione dei prodotti e servizi, onde stimolare il riflesso
            all'acquisto, suscitando nuovi bisogni... Ma anche questo ha un suo
            limite fisiologico poiché le persone che si sentono "a
            posto", in termini di comodità materiali, cercano altro, forse
            solo il poter vivere tranquille. Pertanto
            il semplice buon senso, l'osservare il comportamento della gente
            "ragionevole", che per fortuna è la maggioranza, fa
            intuire che il rallentamento dell'economia americana, la prolungata
            stagnazione di quella giapponese, il continuo martellamento dei
            messaggi commerciali, le recenti riduzioni di organico di alcune
            multinazionali rappresentative (Ericsson, Nokia, Motorola, Siemens,
            Dell ...), il probabile tonfo del tanto incensato UMTS non sono
            manifestazioni contingenti bensì l'espressione inequivocabile di
            una saturazione dei mercati tradizionali, di una contrazione, del
            tutto "normale", delle loro capacità di assorbimento. Servono
            quindi altri sbocchi commerciali. Le aziende dinamiche, le
            multinazionali puntano sulla Cina, mercato nel contempo appetibile
            (gigantesco serbatoio di consumatori) e "tranquillo"
            (ferrea stabilità politica). Ma quanti agenti economici del mondo
            occidentale potranno agganciarsi al carro Cina, cioè approfittarne
            in termini di maggiori opportunità di lavoro? Pochissimi, per il
            semplice motivo che si produrrà sì per i Cinesi, ma in Cina, e che
            i riflessi positivi, legati ai trasferimenti di tecnologie,
            interessano una minoranza. So
            di far sorridere i venditori di orologi status symbol, di
            videogiochi, di polizze assicurative per chi cerca il rischio zero.
            Però, se solo una minima parte delle energie sprecate in attività
            sterili fosse convogliata su progetti di infrastrutture, premessa
            indispensabile allo sviluppo per tutti anziché per pochi,
            l'auspicio di Paolo VI si potrebbe finalmente avverare. Ma ciò
            implica uno sforzo soprattutto da parte della società civile, non
            solamente dello Stato. Forse
            questo sito può diventare un concreto punto di riferimento per
            coloro che s'interessano, in un modo o l'altro, ad iniziative,
            piccole o grandi, ma comunque
            utili per il futuro della
            società. Cordiali saluti. Max Ramstein, mmrams@bluewin.ch, viale Villa Foresta 7, 6850 Mendrisio/ CH |