| 
 IL
            PUNTO per gli amici VITTORIA
            RISICATA? UN GUAIO! n°14 5/5/01
                                                          
             Ci
            mancava ancora il periodico comunista Nouvel Observateur con il
            pezzo sul pericolo Berlusconi per l’Europa. Ma cosa volete mai che
            dica la corrispondente dal 1974, Marcelle Padovani, consorte del
            nostro Trentin? Ne ha scritto diecine di volte e, dal suo punto di
            vista, ha ragione. Un successo in Italia della Casa delle Libertà 
            aprirebbe la via ad una perdita di potere di tutte le
            sinistre europee, dai verdi esagitati ai socialisti di Jospin e di
            Schroeder. E da ciò deriverebbe un profondo mutamento della
            politica economica della Commissione e della politica del lavoro e
            previdenziale dei paesi membri. Ormai il coro “liberal” (nei
            paesi anglosassoni è sinonimo di sinistra) è al completo. Il là
            è stato dato dall’Economist, noto 
            per impartire lezioni al mondo intero che taluno gabella per
            conservatore, ma è antithatcheriano e sostenitore della non
            partecipazione della sterlina al gruppo dell’euro. Anche l’Economist,
            criticando Berlusconi, porta acqua all’establishement attuale
            italiano. Le Monde, sin dal 1968 quando i redattori presero il
            potere a Beuve Mery, suona sempre campane di sinistra ed a centinaia
            si contano i pezzi antiberlusconiani. Come pretendere che per le
            prossime elezioni italiane le Monde manchi l’occasione per sparare
            ancora un colpo? E il giudice Garzon – della stessa stoffa di un
            Di Pietro e di una Del Ponte  -
            come poteva mancare di far parlare ancora di sé? Ciò che sorprende
            è invece l’ignoranza di molti lettori italiani secondo cui la
            “stampa estera” si riassume nelle poche testate
            antiberlusconiane citate attentamente dal Biagi della RAI nonostante
            la loro bassa diffusione, guardandosi bene dal citare anche 
            quelle ben più prestigiose e soprattutto diffuse del New
            York Times, del Wall Street Journal, del Figaro, della Frankfurter
            Allgemeine Zeitung, della Neue Zurcher Zeitung, di Die Welt, del
            Pays, dell’Aftonbladet, del Washington Post ecc.               
            Ma le critiche delle sinistre straniere a Berlusconi vanno
            oltre gli  argomenti 
            politici. Non sono un complotto, ma spontanea reazione contro
            chi vorrebbe cacciare da mille poteri coloro che 
            hanno trasformato gli italiani in un popolo di pensionati  
            ed assistiti e che non riescono a suscitare la fiducia
            necessaria per attirare investimenti esteri diretti (nei green
            fields  siamo
            gli ultimi in Europa). E’ in gioco tutto lo sviluppo economico di
            Eurolandia che l’Italia ha frenato negli ultimi cinque anni e che
            oggi potrebbe invece essere stimolato 
            se l’Italia fosse messa in grado di migliorare la sua
            competitività. Basti dire che, se la Casa delle Libertà dovesse
            risultare largamente vincitrice nella tenzone elettorale,
            l’economia italiana avrebbe probabiltà di beneficiare di un
            miglioramento concorrenziale notevole 
            per effetto di una perdita di potere dei sindacati e di un
            ridimensionamento dello stato sociale. Basta vedere cosa è successo
            nel Regno Unito con la Thatcher! Agli inglesi, soprattutto, questa
            prospettiva piace poco. In molti casi, anche i business men e alcune
            imprese multinazionali aiutano con perfidia la campagna
            antiberlusconiana per inculcare negli elettori italiani più fessi
            lo spauracchio di una dittatura berlusconiana. Alla peggio, gli
            italiani dovrebbero disertare le urne. Sinora, la campagna in corso
            ha solo suscitato rigurgiti nazionalisti che non ci piacciono
            affatto. Peraltro, una vittoria solo di misura costringerà un
            debole governo del Cavaliere a cercare compromessi con
            l’opposizione di sinistra ed alla fine farsi fregare come è
            successo nel 1994. Ecco il pericolo vero per Berlusconi e,
            indirettamente, per l’Europa. Da una sua vittoria politica
            risicata, l’Europa non trarrà giovamento.                                
            Livio Magnani 
 | 
| 
 IL
            PUNTO per gli amici                                                           
            n°15 del 10 maggio 2001   FANALINO
            DI CODA: LA CONFERMA DELLE CIFRE   “Con il programma Berlusconi, in mezzora saremmo fuori dall’Europa”. ha affermato Rutelli a “Rai 3”. L’uomo che pulisce le scale nella palazzina dove abito mi chiede preoccupato: “davvero, dotto’?”. Rispondo: “Non vede che è una battuta?”. Poi rifletto che il taglio delle tasse di cui si parla tanto non sarà realizzabile senza il taglio degli sperperi sociali di cui si parla poco. Anche le destre hanno le loro reticenze prelettorali! Nella fattispecie è innegabile che, per contribuire allo sviluppo dell’Europa, dovremo fare grossi sacrifici e superare gli ostacoli che saranno frapposti dai burocrati di recente promozione. Negli ultimi cinque anni, coi governi di centro-sinistra, siamo divenuti una palla al piede dell’Europa. Basti ricordare che l’Italia è il paese che ha attirato meno investimenti diretti dall’esterno di Eurolandia e da cui è fuggito il maggior volume d’investimenti finanziari (negli USA, in Svizzera e nel Regno Unito). La sola consolazione è che se gli stranieri (e gli italiani) torneranno ad avere maggiore fiducia nei reggitori dell’economia italiana, il balzo innanzi – come è successo per l’Irlanda – potrebbe essere imponente. Ecco perché l’opinione degli investitori stranieri sull’Italia è importante. Palla al piede di Eurolandia? Basta un piccolo raffronto nella variazione dal 1995 al 2000 tra i dati di contabilità nazionale di Eurolandia e quelli che risultano deducendo i dati dell’Italia (che pesa per poco più del 21% del totale). Forse è bene enumerarli: 1°) l’aumento reale del pil procapite degli eurolandesi, senza gli italiani, sarebbe risultato dello 0,9% superiore a quello effettivo; 2°) l’indice della produttività si sarebbe accresciuto di mezzo punto di più; 3°) i consumi privati sarebbero stati dello 0,2% soltanto superiori a quelli con l’Italia, ma gli investimenti privati fissi lordi avrebbero mostrato un maggior sviluppo di 0,9 punti; 4°) molto migliori sarebbero stati i dati della bilancia commerciale: più 2,1% l’esportazione e meno 1,3% l’importazione; 5°) nel campo del lavoro, l’impiego totale si sarebbe accresciuto dello 0,4% di più e la disoccupazione avrebbe subito un maggior decremento del 2,4%; 6°) i prezzi al consumo in Eurolandia senza l’Italia sarebbero aumentati di 0,8 punti percentuali di meno; 7°) la spesa governativa in Eurolandia compresi gli ineteressi) è aumentata tra il ’95 ed il 2000 dell’11,3% e senza l’Italia sarebbe invece diminuita del 14,5%; 8°) infine, le entrate governative, per la mancata flessione della pressione tributaria italiana, sono aumentate nel quinquennio dell’1,5%, laddove senza l’Italia avrebbero segnato una diminuzione del 5,4%. Questi confronti per tutte le principali grandezze macroeconomiche sono un semplice esercizio logico, non una realtà. Se l’Italia non avesse partecipato all’euro forse avrebbe rinunciato a sacrifici e forse avrebbe svalutato la lire per cui i risultati dell’insieme degli altri paesi sarebbero stati diversi e forse meno buoni di quelli risultanti dalla contabilità nazionale rettificata dalla sola sottrazione italiana. Certo è che siamo stati, se non palla al piede, almeno il fanalino di coda di Eurolandia, soprattutto a causa del rallentamento provocato dalla politica fiscale. Con essa si è voluto soprattutto determinare una redistribuzione dei redditi, anzichè il massimo sviluppo. Da questa politica, che da destra viene definita anticapitalistica, è derivata una riduzione degli investimenti pubblici produttivi (per evitare di ridurre la spesa sociale e, contemporaneamente, per rispettare i vincoli finanziari europei) e si sono rallentati gli investimenti privati per effetto della scarsa fiducia che i governanti hanno saputo suscitare nel risparmio defluito all’esterno, anziché impiegarsi in Italia e soprattutto del Mezzogiorno.   Livio Magnani | 
| 
 Caro Carlo, 
                    il conflitto di interessi
            è una bufala colossale. L'interesse di un capo, quale che sia, può
            sempre confliggere con quello del Paese, se del potere il capo fà
            uso perverso ed a vantaggio proprio e dei "nepoti",
            indipendentemente dai quattrini di cui dispone quando giunge al
            potere. Anzi più ne ha, meno è tentato di rubare per non mettere a
            rischio il potere acquisito. Finalmente si può scrivere al
            riguardo senza farsi accusare di "far politica". Le
            scrrvo questo perchè mi pare che Lei ne abbia già scritto. Ma
            nel sito "Carlo Pelanda" non ho trovato nulla. Chi ne ha 
            scritto?
           
                      Grato per una
            risposta e felicitazioni per il franc parler dei suoi scritti sempre
            originali-.
           
                         
            Livio Magnani  (livmag@tin.it)
           |