| 
 Egregio dottor Carlo Pelanda, 
          ho letto con attenzione il Suo intervento
          su "Il Giornale" del 21.5.,2006 "Il referendum,
          battaglia per la libertà" e ne condivido ampiamente i
          contenuti. Tuttavia, al di là delle conseguenze sui risultati del
          "Si" e del "No", che consentirebbero nel primo
          caso una vittoria ed un progetto della Cdl e nel secondo un successo
          del Governo appena insediato, non mi pare siano descritte motivazioni
          convincenti sul perché della devoluzione. Non credo siano sufficienti
          solo motivazioni di bandiera verso le quali il cittadino potrebbe
          rimanere più o meno indifferente con conseguenze non auspicabili.
         
          Senza scomodare i numerosi opinionisti del
          Risorgimento, credo che a questo bisogna risalire per spiegare
          gli inconvenienti ed i disagi che serpeggiano sempre più insistenti
          nel nostro Paese.
         E’
          una realtà questa che trae origini dall’Unità d’Italia, da
          quando il Piemonte, percorrendo la politica delle annessioni, -
          l’unità è altra cosa! -  stabilì
          con Liguria e Sardegna una politica di controllo ed egemonia sulle
          regioni centromeridionali, alle quali concesse statalismo,
          assistenzialismo e consociativismo per finalità proprie – vedi la
          storia della Fiat ad esempio -  contribuendo
          al loro degrado ed alla loro arretratezza. Dalla
          tela del ragno la Lombardia, ed in parte anche il Veneto ne sono state
          sempre escluse per DNA e storia differenti.  Basta
          dare uno sguardo ai 60 anni della Repubblica per rendersene conto. Fra
          i 10 Presidenti della Repubblica 3 piemontesi, 3 campani, 2
          sardi, 2 toscani ed 1 ligure. Nessun lombardo! Mai! Dei numerosi Presidenti del Consiglio, a parte il primo, Alcide De Gasperi di Trento,3 furono piemontesi, 4 toscani, 3 sardi, 2 campani, 2 emiliani, 2 laziali, 2 marchigiani, 1 pugliese (Aldo Moro), 1 della Basilicata (Emilio Colombo), 1 siciliano. Dei due unici lombardi, il primo, Bettino Craxi fu costretto all’esilio da Mani Pulite, da quei magistrati che stranamente non furono altrettanto giustizialisti con il governo Leone (scandalo Lockhed) o con certe amministrazioni campane tuttora operanti. Il secondo, Silvio Berlusconi è stato investito da odio ed intolleranza senza precedenti, perché aveva configurato con la sua operosità ed il suo pragmatismo un’Italia diversa Ma
          procediamo con ordine. La
          storia della Presidenza della Camera, a parte la breve parentesi della
          lombarda Pivetti, è stata scritta da 2 emiliani, da un laziale (P.Ingrao),
          da un campano (G. Napolitano) e da Violante, nato in Etiopia. E’
          vero, da pochi giorni c’è Bertinotti, un milanese, ma è vissuto e
          si è plasmato per anni nel sindacato torinese! Per
          i Presidenti del Senato il discorso cambia poco: gli emiliani, i
          toscani, i campani sono prevalenti. Ma
          ciò che più stupisce, o non ha mai stupito, 
          è che dei 28 Giudici della Corte Costituzionale, nominati dal
          Parlamento dal 1956, ben 5 sono napoletani, 3 di Catanzaro, 3 di Roma,
          2 di Torino, 2 di Taranto, 2 di Perugia, 2 della Sicilia, 1 per altre
          città, tutte del centro-sud. Come avrebbero potuto questi alti
          magistrati farsi interpreti della politica di questo centro-destra
          fuori regola? Alla
          luce di tali dati, appare evidente che dopo la parentesi di un Governo
          lombardo, il potere, a conduzione della "repubblica sabauda"
          - doveva ritornare nelle mani del centro-sud attraverso quella
          sinistra statalista, che più efficacemente rappresenta gli interessi individuali
          dell’Italia peninsulare, e perché quindi il berlusconismo non
          poteva essere tollerato oltre, a qualsiasi costo. La distinzione geopolitica fra Italia continentale ed Italia peninsulare è sempre esistita, ma le storiche “esigenze” l’hanno resa manifesta con il bipolarismo. Non c'è da stupirsi quindi se nuovamente due dicasteri importanti siano stati affidati ad Amato ed alla Turco, piemontesi. Se
          così non fosse, dai dati citati non si spiegherebbe perché una
          Regione quale la Lombardia, la più grande per pil pro capite e per
          densità di popolazione, sia stata sempre esclusa dalla gestione della
          res pubblica, quasi emarginata nella sua efficace produttività.
          Casualità? Incapacità? E’ da escludere. Dissenso della Repubblica
          di Piemonte e Sardegna e dei loro sudditi? E’ probabile. La Lega e FI in particolare avevano ben recepito questa realtà promuovendo la riforma costituzionale di un federalismo vero, - del quale Miglio fu il grande ideologo - allo scopo di favorire nell’autodeterminazione regionale una nuova dignità ed un vero sviluppo sociale, culturale ed economico nazionale. Andrebbe detto a chiare lettere che la politica delle noccioline con la distribuzione di assistenzialismo, di dicasteri, di segretari, di sottosegretari e quant'altro è da sempre deleterio per lo sviluppo del Mezzogiorno, bisognoso di integralismo socio-culturale, realizzabile non con i flussi migratori continui dal sud verso il nord ma con investimenti produttivi, formativi ed educativi in quelle regioni. Se
          un errore, forse inevitabile per perseguire il consenso almeno
          iniziale, è stato fatto da Bossi, è stato quello di ridurre 
          questo grande progetto, che avrebbe dovuto coinvolgere
          l’intero Paese, ad una politica provinciale e separatista di corto
          respiro con la conseguenza di non unire e progredire insieme nel
          federalismo, ma di dividere per interessi particolari. E ciò non
          poteva non creare diffidenze nelle regioni dell'Italia peninsulare.
          Sarebbe una sciagura se all'antipiemontesismo post 1861 succedesse ora l'antilombardismo! E'
          tardi. Ma un'operazione culturale di convincimento va attuata
          comunque per raggiungere un risultato positivo. Proprio perché la
          devolution appare in antitesi con l’assistenzialismo …sinistro,
          con il posto a tempo indeterminato nelle poste, nelle scuole, nelle
          ferrovie, ecc. ecc.,  -- da
          sempre perseguito e diffuso dalla borghesia piemontese e dai suoi
          sindacati - il compito sarà molto arduo e c’è da
          temere che i risultati del referendum del 25 – 26 giugno
          saranno in sintonia con quelli delle elezioni politiche recenti, con
          conseguenze a distanza imprevedibili, perché tutta l’Italia
          esige presto un vero Risorgimento - attraverso la
          rottura con la storia -  non più rinviabile.e non certo
          riconoscibile in un eventuale separatismo lombardo-veneto: 
 La ringrazio per l'attenzione. Cordiali saluti. 
 Beppe Ciccone - Lodi 
 
 |