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 IL PUNTO per gli amici n°21 del 6 luglio 2001NUOVA MORALE E GLOBALIZZAZIONEUn
            punto ben chiaro da metterci in testa e soprattutto nella testa di
            chi si lascia adescare dagli argomenti suadenti degli antigiottini
            meno violenti, è che l’antitesi
            della “globalizzazione” dell’economia mondiale è la
            “parcellizzazione” dell’economia, quale quella che
            si è realizzata tra la crisi di Wall Street del 1929 e la seconda
            guerra mondiale del 1939. Se si vogliono costrire tra i paesi nuovi
            muri finanziari, si deve anche volerne il corollario, ossia il
            sorgere delle dittature naziste, comuniste e fasciste che possono
            vivere solo in mercato chiusi da protezioni economiche. Ne consegue
            un ragionamento irreprensibile. I paesi che non vogliono o non
            riescono ad adeguarsi alla globalizzazione dei mercati che le
            telecomunicazioni hanno accelerato (e che mantengono così divieti e
            controlli economici con obiettivi autarchici e protezionistici) sono
            destinati ad un progressivo impoverimento. I paesi invece che
            spalancano le porte e le finestre ai capitali stranieri - senza
            pregiudizi contro le multinazionali e gli altri demoni accusati
            delle peggiori nefandezze dagli ecoteppisti e, purtroppo, da molti
            cattoguevaristi - vedranno aprirsi le prospettive di un
            arricchimento materiale e poi anche culturale e spirituale che
            meritano il sacrificio di gruppi e ceti parassitari sin qui
            indebitamente protetti. Gli esempi ormai sono innumerevoli ed alle
            cinque tigri del sud-est asiatico, si vanno aggiungendo, dopo il
            Cile,  molti paesi
            dell’est europeo. Comunque, l’unificazione graduale dei mercati
            di questo pianeta è una tendenza irreversibile. Chi non ne tiene
            conto, chi non si adegua  pagherà
            lo scotto di un minor benessere.  In
            quest’ottica si evidenzia la malafede degli antigiottini di
            qualsiasi colore che tentano di far credere ai buoni cattolici
            nostrani (i protestanti non sono critici del profitto), ai vescovi
            liguri  ed allo stesso
            cardinal Piovanelli  che
            la “globalizzazione” crea e diffonde la miseria nel mondo, donde
            la reiterazione dello slogan “i molti sempre più poveri ed i
            pochi sempre più ricchi”. Cade il muro di Berlino, ma l’egualitarismo
            materialista fondato sull’invidia anziché l’amore del prossimo,
            purtroppo continua a far proseliti. Non basta che noi si
            sia tutti uguali davanti a Dio, non basta che si sia tutti uguali
            davanti alla legge. Nel Manifesto di un organo della Conferenza
            Episcopale Italiana  abbiamo
            letto: “Nessuna persona può essere considerata soggetto passivo
            il cui valore può essere commisurato alla sua capacità d’acquisto.”. 
            Se la CEI ha qui voluto far propria la tesi 
            marxista della retribuzione proporzionata al bisogno (laddove
            il capitalismo pretende che ognuno sia pagato in rapporto al nuovo
            valore che crea) è chiaro che la CEI rifiuta la globalizzazione
            solo perché rafforza il capitalismo e l’applicazione delle leggi
            di mercato. E allora, potrebbe dirlo più chiaramente.   Secondo
            il neomodernismo cattolico  la
            carità del ricco verso il povero non è più un atto d’amore, ma
            frutto dell’individualismo ed offensivo della dignità del
            beneficiato. La solidarietà, dicono i nuovi teologi della
            liberazione, è un dovere collettivo e deve essere imposta con le
            leggi. Si considera persino contrario alla dignità della persona
            umana che il sapere sia privilegio di pochi e che il potere sia
            monopolio di pochi, pur avendo Iddio distribuito in modo diseguale
            la forza di volontà su noi stessi, primo ingrediente del successo.
            Le differenze clamorose  tra
            donne belle e donne brutte, tra furbi ed idioti, tra muscolosi e
            deboli che generano le maggiori sofferenze nell’umanità sono
            insite nella natura come le diseguaglianze di doti e comportamenti
            che generano ricchi e poveri,  nè
            debbono suscitare scandalo, dato che la giustizia non è
            realizzabile in questo mondo. Scandaloso
            è invece che milioni di oziosi parassiti possano vivere alle spalle
            di contribuenti che lavorano, grazie alle ideologie di ieri recepite
            dall’ecomorale di oggi con il risultanto di ritardare lo sviluppo
            e con esso il maggior benessere di tutti.                                   
            Livio Magnani     
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 IL PUNTO per gli amici 
          UN PATRIMONIO DI CREDIBILITA’  
           n°22 27/7/01                
           Ogni anno, largamente inascoltato dal Governo in
          carica, Fazio è andato criticando l’insufficiente sviluppo
          produttivo e l’investimento estero diretto quasi nullo a causa della
          rigidità della regolamentazione garantista sul lavoro. Mille volte ha
          ripetuto la necessità di ridurre la spesa pubblica corrente
          attraverso riforme strutturali di pensioni e della sanità e non
          soltanto con interventi correttivi di breve periodo. Ha persino
          preconizzato livelli salariali ridotti nel Mezzogiorno per adeguarli
          alla produttività (donde il premio Tarantelli) e troppe volte
          lamentato il minor sviluppo del pil italiano rispetto a quello
          europeo. Ma martedì scorso Fazio ha osato dire che la politica di
          centro-sinistra ha portato ad una crescita più bassa della media
          europea. Apriti cielo! Pier Luigi Bersani ha parlato di dichiarazioni
          stupefacenti, perchè il centrosinistra è riuscito ad arrivare
          l’anno scorso e quest’anno a risultati nella media europea. Eppure
          in dieci anni la crescita media è stata dell’1,5% soltanto e
          l’Italia ha perso almeno 10 punti percentuali di crescita. Il
          linguaggio di Fazio era sempre stato ovattato, ma non ha mai taciuto.
          Eppure  Enzo Biagi, che
          non conoscevamo attento lettore delle Considerazioni finali dei
          Governatori, ha scritto che  
          se la politica del centro-sinistra non ha fatto crescere
          l’Italia ciò è avvenuto con la “silenziosa complicità” di
          Fazio.  Lo stesso
          ex-consigliere economico di D’Alema e poi di Visco – ottimo
          economista – ha dichiarato in un intervista che fino alla creazione
          della BCE, la politica economica, assieme al Governo, la faceva la
          Banca d’Italia. Ma noi sappiamo che da troppi anni la politica
          economica è imposta al Governo dai sindacati e dai loro diktat,
          sindacati che oggi nessuno tocca per non ricompattarne il fronte.               
          E’ un peccato che il cartello elettorale del centro-sinistra
          sia incapace di critiche costruttive. Gli attacchi attuali a Fazio
          rischiano di distruggere il patrimonio di credibilità costruito dalla
          Banca d’Italia in questi anni, senza averne nulla in cambio: solo un
          danno al paese! Di critiche costruttive ce ne sarebbero parecchie. Tra
          esse, la piccola furbizia di raccontare che l’Italia manterrà
          l’impegno di un indebitamento netto allo 0,8% del pil per il 2001,
          quando tutti sanno che si chiuderà 
          con l’1,7% o peggio, perché manca il tempo per tagli ad
          effetto immediato e c’è per di più la volontà politica di non
          mettere sul tappeto i grandi problemi della riforma pensionistica e
          della sanità prima dell’autunno per non inasprire le parti sociali.
          Si aspetta di ammettere l’ inadempienza italiana senza perdere la
          faccia, ossia di farlo solo quando lo dichiareranno anche la Francia e
          la Germania sia pur per “buchi” meno ampi. Ma questi paesi stanno
          già manovrando per modificare l’interpretazione dei parametri
          dell’accordo di stabilità (rapporti medi nella fase del ciclo e non
          tassativi anno per anno) prima di aver azzerato la media del rapporto
          deficit/pil. Questo trucco farebbe spazio alle spese demagogiche
          prelettorali dei socialisti francesi e tedeschi. Il pericolo che loro
          vogliono sventare è che l’esempio italiano di una nuova politica
          economica (meno tasse e meno sprechi) possa aver successo e quindi
          faccia scuola.   Fabius
          ed Eichel  tendono quindi
          ad un rilancio attraverso il deficit spending “temporaneo”. Se
          l’Italia si affianca agli altri due nell’annuncio del non rispetto
          dei parametri attuali, rischia di essere coinvolta non solo nei fatti,
          ma  forse persino nei
          passi  successivi, perché
          un deficit spending non è temporaneo se si consolida in maggiore
          inflazione e in un euro ancora più debole. In questo clima, la
          formula tremontiana rischia di tramontare.                                         
          Livio Magnani     
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