09/07/2001

Qualche verità su Kyoto

La "ritrattazione" di Bush

La decisione del presidente americano Bush di rigettare il protocollo di Kyoto è stata presentata dalla stampa europea come un inammissibile venir meno all’impegno solennemente preso a Kyoto. In realtà, il comportamento scorretto non è quello attuale di Bush ma quello di Gore a Kyoto. Il vicepresidente americano, infatti, firmò il protocollo nonostante che, pochi mesi prima, il Senato americano avesse approvato all’unanimità una risoluzione nella quale si dichiarava: "a meno che non vengano imposte riduzioni delle emissioni anche ai paesi in via di sviluppo e che il Governo non dimostri l’assenza di ricadute negative sull’economia americana, il Senato non ratificherà alcun trattato sul riscaldamento globale".

 

Petrolieri e sindacalisti

E’ stato più volte sottolineato che la decisione di Bush sarebbe stata influenzata da industriali e petrolieri. Non si è però ricordato che contrarietà alla ratifica di Kyoto è stata espressa in America non solo dai grandi industriali ma anche dai sindacati e dalle associazioni dei piccoli imprenditori, consapevoli degli effetti negativi sull’economia (e sull’occupazione) che deriverebbero dall’adozione di misure di riduzione delle emissioni.

 

Il Ministro dell’ambiente ed il suo ministero

Come noto, nel 1997 il Ministro dell’ambiente italiano firmò il protocollo di Kyoto. E’ forse meno noto che, nel 1998, il ministero dell’Ambiente realizzò la VIA relativa al progetto MOSE (costruzione di barriere mobili per la protezione della città di Venezia). In tale documento si legge (parte III, pag. 8): "nonostante il sicuro e misurabile accumulo di gas-serra nell’atmosfera, è necessario precisare che al momento non vi è alcuna certezza se sia in atto un fenomeno di cambiamento climatico… I ricercatori concordano che le prime certezze si potranno avere nel prossimo ventennio… Sono scientificamente basate anche altre ipotesi di segno totalmente opposto, quali, un raffreddamento globale per effetto delle correnti profonde degli oceani". Sapeva il Ministro cosa pensava il suo ministero a proposito dell’effetto serra? Il Ministro ha deciso di firmare pur in assenza di qualsiasi certezza scientifica e sapendo che sono scientificamente basate ipotesi di segno opposto?

Il clima influenza gli scienziati?

Non sappiamo se l’uomo influenzi il clima del pianeta. Vi sono però alcuni indizi di possibile influenza del clima sugli scienziati. Il problema del riscaldamento globale è divenuto oggetto di dibattito pubblico a partire dalla fine degli anni ’80. Nei precedenti venti anni (secondo i rilevamenti terrestri) si era registrato un incremento della temperatura. Uno degli scienziati in prima linea nel sostenere la necessità di un intervento immediato per contrastare il riscaldamento globale è, oggi, l’americano Stephen Schneider. All’inizio degli anni ’70 - fra il 1940 ed il 1970 la temperatura era diminuita - lo stesso Schneider ed altri scienziati avevano un’opinione diametralmente opposta. Sostenevano, infatti, che fosse in atto un raffreddamento globale indotto dall’uomo e richiedevano immediate azioni dei governi. Inoltre, in un articolo pubblicato sulla rivista Science nel 1971, Schneider scriveva che "un incremento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera di un fattore pari a otto, causerebbe un incremento della temperatura minore di 2 °C". (Secondo le più recenti stime, la concentrazione di CO2 al 2100 sarà pari a due volte rispetto a quella del periodo pre-industriale).

Disastri: ipotesi e realtà

E’ stato più volte ripetuto che a subire gli effetti più devastanti di un eventuale cambiamento climatico indotto dall’uomo sarebbero i paesi più poveri. Non ne siamo certi ma probabilmente è così. Il problema prioritario dei paesi poveri non è però rappresentato da ipotetici disastri ambientali futuri ma dagli attuali fenomeni estremi naturali. L’Olanda è in grado di far fronte ai rischi di inondazione (anzi, vive "sott’acqua") ma il Bangladesh no. Un uragano in Florida non provoca vittime (grazie alle loro auto, i cittadini americani si possono spostare in poche ore di centinaia di chilometri), in Nicaragua sì. Un terremoto in Turchia provoca migliaia di morti, in Giappone no. Non dobbiamo rallentare lo sviluppo dei paesi occidentali ma piuttosto accelerare quello dei paesi più poveri.

Con o senza gli Stati Uniti: non c’è differenza

L’Europa ha ribadito in questi giorni di voler andare avanti su Kyoto anche senza gli Stati Uniti. E’ stato da più parti avanzato il problema della ragionevolezza di tale posizione. Il problema è mal posto. Con o senza gli Stati Uniti non c’è alcuna differenza di rilievo. Le emissioni di CO2 continueranno a crescere: il trend sarà dominato dall’evoluzione delle emissioni di Cina e India, non soggette a limitazioni. Anche se Kyoto venisse applicato integralmente, l’effetto sulla temperatura al 2100 sarebbe inferiore a 0,1 °C.

Il business dell’effetto serra

L’eventuale applicazione del protocollo di Kyoto, come detto, avrà effetti negativi sull’occupazione. Kyoto è però anche un business. Fino a pochi anni fa, la climatologia era un settore scientifico scarsamente praticato. Oggi, si stima che a livello mondiale i finanziamenti pubblici per la ricerca sui cambiamenti climatici ammontino a 4.000 miliardi di lire (il governo italiano ha di recente stanziato oltre 100 miliardi per questo filone di ricerca). In America, molti ricercatori un tempo impegnati nel settore militare, che ha visto i finanziamenti drasticamente tagliati con la fine della guerra fredda, oggi si occupano di ricerche sul clima.

I catastrofisti

L’ipotesi di un disastro climatico causato dall’uomo non è che l’ultima di una serie di catastrofiche previsioni portate avanti da autorevoli scienziati e poi regolarmente smentite dalla realtà. A partire dalle previsioni del Club di Roma, ci era stato detto che le risorse naturali erano in via di esaurimento e mai le risorse sono state abbondanti come oggi (come testimoniato dal costante declino del prezzo delle materie prime), che il mondo non avrebbe potuto reggere alla crescita della popolazione, dimenticando che ogni uomo in più è sì una bocca in più da sfamare ma sono anche due braccia in più che lavorano ed un cervello in più in grado di risolvere i problemi, che le condizioni dell’inquinamento avrebbero continuato a peggiorare mentre è un fatto che, dopo una prima fase dello sviluppo in cui si assiste ad un reale peggioramento delle condizioni ambientali, oltre una certa soglia di reddito, le condizioni dell’ambiente migliorano progressivamente (lo ha spesso ripetuto, inascoltato, il fondatore dell’ecologia, James Lovelock, secondo il quale l’ambiente è meglio protetto nelle società industrializzate di quanto lo sia nelle economie primitive).

Per concludere

Ha scritto qualche tempo fa Antonio Martino a proposito di differenze fra liberalismo e socialismo: "Sia i liberali che i socialisti ritengono necessario un certo livello di protezione ambientale. La differenza tra le due posizioni è data dal livello di protezione considerato desiderabile e dagli strumenti adottati per conseguirlo: i socialisti fanno affidamento sulla regolazione imposta dai governi, i liberali sui meccanismi di mercato. La minaccia dell’ambientalismo socialista è sottile e mortale. La sua plausibilità lo rende accettabile anche a persone ragionevoli che credono nella libertà. Il suo appeal nei confronti delle persone non informate è enorme; le mezze verità scientifiche usate per giustificare qualsiasi tipo di intervento pubblico per il bene dell’ambiente fanno sì che le persone desiderose di criticare tali interventi siano costrette a raccogliere un’enorme quantità di informazioni. Potenzialmente, l’ambientalismo è un rischio per il futuro della libertà altrettanto serio di quello che nel passato è stato rappresentato dal socialismo". Tali parole descrivono perfettamente il caso Kyoto.

Non è malato l’ambiente. Siamo noi malati di ambientalismo.

Francesco Ramella

francesco.ramella@libero.it