11/06/2001

IL POPOLO DI SEATTLE

 

Il vocabolario della politica si è arricchito recentemente di un nuovo slogan, “il popolo di Seattle”, di cui abbiamo avuto ennesima immagine nei disordini di Napoli nel marzo scorso e che sta preparando il pandemonio per il G8 di luglio.

Intervistati a caldo o anche a freddo, i giovani protagonisti motivano la propria azione con argomenti di sconfortante banalità e primitivismo. Accusano il dio denaro, “il dio Pil”, la logica di mercato, la globalizzazione, il liberismo o neoliberismo. Additano tali disvalori come se fossero un’invenzione recente, una diabolica evoluzione del male, soprattutto parlano come se efficaci antidoti fossero disponibili facilmente.

Siccome su tali monumentali demagogie ed equivoci si sta consolidando una nuova mitologia sociologica, oltre che politica, la commissione cultura di Alleanza Nazionale di Perugia, sente il dovere di intervenire, e in particolare di avvisare i giovani delle trappole mentali preparate contro di loro, dagli eterni strateghi del pessimismo, della decadenza e della guerra civile.

 

Il dio denaro esiste da quando gli umani calpestano la terra, ed incarna l’istinto ad assicurarsi la sussistenza, per sé e i propri figli, peraltro in modo non molto dissimile dagli altri animali. Naturalmente ciò non basta a giustificare egoismi e violenze, ma gioverebbe molto ricordare ai giovani intervistati che per qualche lira in più lottano anche i loro genitori, si fanno “piattaforme” e contratti, scioperi... Giova ricordare che senza un buon Pil non si mantengono quattro milioni di impiegati pubblici. Ogni pagina di storia inoltre (di tutte le epoche e regioni del mondo) ci narra di lotte per la ricchezza e il potere ben più feroci dei meccanismi sociali consolidatisi nel mondo occidentale a capitalismo maturo.

 

Il libero mercato e il capitalismo -con tutti i difetti che ben conosciamo- sono il più formidabile strumento di diffusione del benessere, finora conosciuto, a livello popolare e di massa; se le oligarchie locali non intercettassero gli aiuti e le energie nazionali, anche i paesi del terzo e quarto mondo potrebbero giovarsene molto di più. In ogni caso è riconosciuto che i paesi poveri potranno uscire dal binomio Oligarchie/Diseredati solo con lo sviluppo di un ceto medio sufficientemente forte (che sostanzi e difenda la democrazia), fatto di imprenditoria diffusa e popolare.

Il capitalismo in verità è una forma naturale di rapporti economici, scaturita dal profondo della storia europea.

E’ una delle formulette demagogiche più letali quella che vuole contrapporre la ricchezza alla cultura ed alla socialità. In verità questi valori vanno insieme: senza i mercanti e capitalisti del medioevo mai Giotto o Brunelleschi avrebbero potuto fare quello che hanno fatto, né i conventi avrebbero potuto fare assistenza di massa.

 

La tendenza alla globalizzazione esiste in natura e si manifesta da molto prima di Marco Polo in Cina (i romani commerciavano anche con gli indiani, i norvegesi approdarono in nord America prima di Colombo…). Strade e canali, treni ed aerei, idee e tecniche (oltre al più recente internet) hanno portato ad un mondo fortemente interdipendente, o se più piace, globalizzato. Chi può fermare o addirittura controvertere la globalizzazione? Non era la sinistra a teorizzare l’internazionalismo?

 

Il liberismo è l’evoluzione più recente del capitalismo; siccome quest’ultimo piace a tutti i popoli che lo toccano, succede che ormai la concorrenza sia spietata per moltissime merci e servizi in tutto il mondo: ciò provoca -per rimanere a galla- che le imprese aumentino la produttività. E’ innegabile che tutto ciò comporti riccorrenti ingiustizie e sfruttamento (stipendi più bassi, aumento di lavoro, stress…), ma è evidente che non esiste alcuna autorità in grado di imporre a tutto il mondo contemporaneamente un ordine economico più umano e sensato: quell’impresa che smettesse di correre sarebbe immediatamente sostituita da un’altra giapponese o australiana… Tanto è vero che già dagli anni ‘50 anche il più focoso assessore comunista non può che programmare sviluppo, sostegno, agevolazioni, etc. alle imprese del proprio territorio.

E’ dunque certo che un valido orizzonte della politica contemporanea sia quello di riuscire a contemperare i due corni del problema (competitività e socialità), ma è letteralmente ridicolo prendersela con la globalizzazione.

 

E’ indispensabile tagliare subito l’erba sotto i piedi a favole metropolitane come questa del “popolo di Seattle”. E’ innegabile ravvisare in codeste manifestazioni i germi della moda, della intelligenza stupida e della stupidità intelligente, resi più credibili dall’origine nordamericana: esse peraltro si connotano invariabilmente con lo scontro fisico coi poliziotti, vero atto fondativo e psicologicamente forte della manifestazione del dicembre 1999 nella città di Seattle. Le misere parole, le stracche formulette, le improbabili facce da eterni adolescenti arrabbiati con la mamma e col mondo, non diventerebbero un nuovo mito (“popolo di Seattle”) senza l’ingrediente forte (unico) della violenza (e di certa compiacenza mass-mediologica).

 

Alleanza Nazionale di Perugia ha sentito il bisogno di questo intervento poiché anche nelle realtà di provincia, come fu per il ’68 o per il mito della “resistenza tradita”, possono radicarsi inculture ed equivoci molto dannosi, che potrebbero portare ancora una volta molti ragazzi e ragazze sulla strada della sterile disper/azione.

Al contrario, desideriamo invitare i giovani ad un approccio serio alle questioni del mondo: studiando, riflettendo, chiedendo, documentandosi, viaggiando, confrontando luoghi, culture e periodi della storia d’Italia, d’Europa e del mondo. La cultura infatti non è certo un anestetico, essa può anche indurre a scelte radicali di vita, ma preserva dalle strumentalizzazioni, specie le più odiose, quelle del politicume fallito.

 

Perugia, Giugno 2001

                                                                  per Alleanza Nazionale

 (commissione cultura):

 Luigi Fressoia archifress@tiscalinet.it

Claudio Cecconi