IL POPOLO DI SEATTLE Il vocabolario della politica si è arricchito recentemente di un nuovo slogan, “il popolo di Seattle”, di cui abbiamo avuto ennesima immagine nei disordini di Napoli nel marzo scorso e che sta preparando il pandemonio per il G8 di luglio. Intervistati
a caldo o anche a freddo, i giovani protagonisti motivano la propria
azione con argomenti di sconfortante banalità e primitivismo.
Accusano il dio denaro, “il dio Pil”, la logica di mercato, la
globalizzazione, il liberismo o neoliberismo. Additano tali disvalori
come se fossero un’invenzione recente, una diabolica evoluzione del
male, soprattutto parlano come se efficaci antidoti fossero
disponibili facilmente. Siccome
su tali monumentali demagogie ed equivoci si sta consolidando una
nuova mitologia sociologica, oltre che politica, la commissione
cultura di Alleanza Nazionale di Perugia, sente il dovere di
intervenire, e in particolare di avvisare i giovani delle trappole
mentali preparate contro di loro, dagli eterni strateghi del
pessimismo, della decadenza e della guerra civile. Il
dio denaro esiste da quando gli umani calpestano la terra, ed incarna
l’istinto ad assicurarsi la sussistenza, per sé e i propri figli,
peraltro in modo non molto dissimile dagli altri animali. Naturalmente
ciò non basta a giustificare egoismi e violenze, ma gioverebbe molto
ricordare ai giovani intervistati che per qualche lira in più lottano
anche i loro genitori, si fanno “piattaforme” e contratti,
scioperi... Giova ricordare che senza un buon Pil non si mantengono
quattro milioni di impiegati pubblici. Ogni pagina di storia inoltre
(di tutte le epoche e regioni del mondo) ci narra di lotte per la
ricchezza e il potere ben più feroci dei meccanismi sociali
consolidatisi nel mondo occidentale a capitalismo maturo. Il
libero mercato e il capitalismo -con tutti i difetti che ben
conosciamo- sono il più formidabile strumento di diffusione del
benessere, finora conosciuto, a livello popolare e di massa; se le
oligarchie locali non intercettassero gli aiuti e le energie
nazionali, anche i paesi del terzo e quarto mondo potrebbero
giovarsene molto di più. In ogni caso è riconosciuto che i paesi
poveri potranno uscire dal binomio Oligarchie/Diseredati solo con lo
sviluppo di un ceto medio sufficientemente forte (che sostanzi e
difenda la democrazia), fatto di imprenditoria diffusa e popolare. Il
capitalismo in verità è una forma naturale di rapporti economici,
scaturita dal profondo della storia europea. E’
una delle formulette demagogiche più letali quella che vuole
contrapporre la ricchezza alla cultura ed alla socialità. In verità
questi valori vanno insieme: senza i mercanti e capitalisti del
medioevo mai Giotto o Brunelleschi avrebbero potuto fare quello che
hanno fatto, né i conventi avrebbero potuto fare assistenza di massa. La tendenza alla globalizzazione esiste in natura e si manifesta da molto prima di Marco Polo in Cina (i romani commerciavano anche con gli indiani, i norvegesi approdarono in nord America prima di Colombo…). Strade e canali, treni ed aerei, idee e tecniche (oltre al più recente internet) hanno portato ad un mondo fortemente interdipendente, o se più piace, globalizzato. Chi può fermare o addirittura controvertere la globalizzazione? Non era la sinistra a teorizzare l’internazionalismo? Il
liberismo è l’evoluzione più recente del capitalismo; siccome
quest’ultimo piace a tutti i popoli che lo toccano, succede che
ormai la concorrenza sia spietata per moltissime merci e servizi in
tutto il mondo: ciò provoca -per rimanere a galla- che le imprese
aumentino la produttività. E’ innegabile che tutto ciò comporti
riccorrenti ingiustizie e sfruttamento (stipendi più bassi, aumento
di lavoro, stress…), ma è evidente che non esiste alcuna autorità
in grado di imporre a tutto il mondo contemporaneamente un ordine
economico più umano e sensato: quell’impresa che smettesse di
correre sarebbe immediatamente sostituita da un’altra giapponese o
australiana… Tanto è vero che già dagli anni ‘50 anche il più
focoso assessore comunista non può che programmare sviluppo,
sostegno, agevolazioni, etc. alle imprese del proprio territorio. E’
dunque certo che un valido orizzonte della politica contemporanea sia
quello di riuscire a contemperare i due corni del problema
(competitività e socialità), ma è letteralmente ridicolo
prendersela con la globalizzazione. E’
indispensabile tagliare subito l’erba sotto i piedi a favole
metropolitane come questa del “popolo di Seattle”. E’ innegabile
ravvisare in codeste manifestazioni i germi della moda, della
intelligenza stupida e della stupidità intelligente, resi più
credibili dall’origine nordamericana: esse peraltro si connotano
invariabilmente con lo scontro fisico coi poliziotti, vero atto
fondativo e psicologicamente forte della manifestazione del dicembre
1999 nella città di Seattle. Le misere parole, le stracche formulette,
le improbabili facce da eterni adolescenti arrabbiati con la mamma e
col mondo, non diventerebbero un nuovo mito (“popolo di Seattle”)
senza l’ingrediente forte (unico) della violenza (e di certa
compiacenza mass-mediologica). Alleanza
Nazionale di Perugia ha sentito il bisogno di questo intervento poiché
anche nelle realtà di provincia, come fu per il ’68 o per il mito
della “resistenza tradita”, possono radicarsi inculture ed
equivoci molto dannosi, che potrebbero portare ancora una volta molti
ragazzi e ragazze sulla strada della sterile disper/azione. Al
contrario, desideriamo invitare i giovani ad un approccio serio alle
questioni del mondo: studiando, riflettendo, chiedendo,
documentandosi, viaggiando, confrontando luoghi, culture e periodi
della storia d’Italia, d’Europa e del mondo. La cultura infatti
non è certo un anestetico, essa può anche indurre a scelte radicali
di vita, ma preserva dalle strumentalizzazioni, specie le più odiose,
quelle del politicume fallito. Perugia,
Giugno 2001
per Alleanza Nazionale (commissione
cultura): Luigi
Fressoia archifress@tiscalinet.it Claudio
Cecconi
|