27/01/2006

Caro professore,

le recenti elezioni pienamente democratiche per la prima volta veramente nel Medio Oriente mussulmano (anche Lauro comprava come Hamas i voti con forme di clientelismo meno serie dell’assistenza caritatevole di Hamas ai suoi ‘clientes’) mi offrono l’occasione di segnalarLe che, contrariamente alla generalità delle reazioni che ho sinora potuto leggere anche sulla stampa più ‘intellettualmente qualificata’, mi sembra di vedere un prevalere di segni positivi dal fatto che Hamas abbia raccolto la maggioranza assoluta dei seggi al primo parlamento palestinese globalmente riconosciuto come democraticamente eletto.

Intanto mi sembra doveroso dichiarare che la mia posizione è quella di un totale sostegno alla crescita della liberal-democrazia ovunque e d’una lotta spietata a tutte le forme di terrorismo senza concedere alcuna scusante né ideologica né economica.

Ciò detto mi sembra che ora Hamas dovrà gestire il consenso elettorale raccolto. E dovrà gestirlo secondo le regole di una democrazia che ne ha legittimato il potere. Questo impegno sarà ovviamente sotto l’attenzione mondiale e non potrà che ‘negoziare’ ulteriori diritti ai palestinesi da una sede istituzionale che trova una collocazione sia geografica (i territori in suo possesso) che giuridica (un parlamento eletto e riconosciuto globalmente) che mi sembra essere pienamente compatibile con i nostri concetti di Stato liberal-democratico.

Ergo: Hamas con questa sua vittoria si trovi in mano due risultati che ne condizioneranno le possibili tattiche: un’opportunità (per i suoi uomini di potere) ed una ‘castagna calda’ (la scelta della linea politica da tenere).

Le due cose, combinate tra loro, la condurranno a due esiti strategici: o la sua frammentazione tra moderati e radicali e discredito verso chi li ha eletti, oppure al suo consolidamento elettorale e la sua necessità di aprirsi a chi potrà finanziarne le scelte politiche.

Possiamo comunque dedurne che Hamas ormai dovrà chiudere i finanziamenti esteri che la legano ai movimenti mussulmani più integralisti per la crescente impraticabilità dei ‘canali ufficiali’ e per il ruolo di ‘controllo’ che Al Fatah non potrà che abbracciare come suo unico strumento di visibilità politica per criticare ogni sospetto di connivenza col terrorismo della maggioranza di governo.

La ‘vittoria’ di Al Fatah avrebbe invece costretto a proseguire nel logorante impegno occidentale (filo-israeliano – unico stato democratico nella regione) a sostenere dall’esterno un movimento accreditato d’un’immagine di profonda corruzione che si riverbera su chi è costretto a sostenerlo (le liberal-democrazie occidentali) ed avrebbe continuato a consolidare la crescita di Hamas non gravata dalla responsabilità di governare.

Strategia tanto obbligata quanto sterile (o addirittura deteriore) per tutto l’occidente e per Israele.

Invece gli sviluppi che ora si aprono sono molto favorevoli a nuove prospettive di cooperazione internazionale che ho potuto maturare nel tempo e di cui ho potuto farLe seppur vagamente cenno. Cooperazione auto-finanziata a sostegno di un autonomo (e quindi meno corruttibile) sviluppo di PMI locali grazie a joint venture imprenditoriali che si basino sulle capacità professionali del popolo palestinese. Unica popolazione araba della regione che ha dato segni di possedere attitudini industriali. Tranne forse il Libano (molto diverso come storia, religioni ed etnie) e l’Egitto (fortemente influenzato dalla sua storia molto particolare e dagli stretti rapporti di lunga tradizione con Francia ed UK).

Sono molto fiducioso e sereno sul futuro che grazie alla ‘follia’ di Dubye si sta costantemente aprendo a beneficio di migliori e più stretti rapporti col mondo arabo proprio grazie ai risultati emersi (non ostante le preoccupazioni espresse perfino da Gianfranco Fini ).

Credo che l’amico Dan Segre potrebbe esprimerLe una sua autorevole opinione in merito qualora Ella ritenesse di chiederGli lumi a proposito,

cordialmente

Carlo Vitali