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 Subject: LETTERA AD UN EBREO CONFORMISTA 
          2-1-2004
         
          Cari amici,
         
          l'ariticolo di Giuliano
          d. Pergola offende anche me (e non solo F.
          Nierenstein,  O. Fallaci,  G. Rossella, G. Ferrara e A.
          Panebianco, e questa è la mia risposta.
         
          Buon anno a tutti.
         
          Alma
         
            Lettera
            ad un ebreo conformista
           
            Nei giorni scorsi  ROCCA
            (n. 24/2003) ha pubblicato un articolo di un suo abituale collaboratore,
            il sociologo ebreo Giuliano della Pergola, su antiebraismo,
            antisemitismo e antisionismo, che esprime perfettamente il punto di
            vista degli intellettuali "ebrei" conformisti. Della
            Pergola classifica come "interpretazioni storiche
            reazionarie" le paure di coloro che vedono con
            preoccupazione il ritorno dell'antisemitismo, non solo sotto
            forma di antisionismo, ma anche nella forma classica di
            antigiudaismo. Nel contestare i loro punti di vista, e
            segnatamente quelli di F. Nierenstein e  O. Fallaci, ma anche
            di G. Rossella, G. Ferrara e A. Panebianco, egli precisa che
            essi "non entrano nel merito dello scenario attuale, e
            interpretatano la
            storia di ieri come paradigma per capire quella odierna".
           
            Quale sarebbe la novità
            della storia odierna che i vari Ferrara,  Nierenstein ecc.
            trascurano? Secondo della Pergola questi intellettuali
            "non fanno i conti con la politica oppressiva dello Stato
            d'Israele contro i palestinesi e non fanno i conti con l'avvenuta
            assimilazione degli ebrei nel contesto sociale. In più, non fanno i
            conti con la scelta occidentale dello Stato d'Israele, con le
            coperture che all'Onu Israele ha sempre ottenuto all'ombra degli
            Stati Uniti".
           
            Le tensioni mediorientali,
            conclude Della Pergola,  sarebbero l'effetto dell'asse
            politico Bush-Sharon, fintanto che essi resteranno al governo; ma
            anche dello scenario mondiale che vede, da un lato, la folla degli
            immigrati e marginali musulmani, dall'altro lato, gli ebrei più o
            meno integrati ma economicamente consolidati e filo-occidentali. In
            tale contesto, i  palestinesi "schiacciati dagli uni e
            vessillo per gli altri", si trasformano simbolicamente in un
            popolo martire".
           
            Caro Della Pergola, ad esser
            sinceri questo tuo modo di ragionare si trova a metà
            strada tra i sofismi di Marx e quelli di Platone. Dov'è la
            "salda interpretazione analitica" che "ci mette al
            riparo da stupidaggini ed errori"? dove si trova, nel tuo
            articolo,  la ricerca delle relazioni tra i fatti e
            l'intuizione innovativa nell'interpretare ciò che accade sotto i
            nostri occhi? siamo di fronte a una piatta riproposizione delle
            ovvietà antisemite che tutti i giorni i volenterosi possono leggere
            sull'Unità, Repubblica, Il Manifesto, e via discorrendo; però,
            secondo te,  solo noi, che  condividiamo le opinioni  di
            F. Nierenstein,  O. Fallaci,  G. Rossella, G. Ferrara e A.
            Panebianco, e aggiungerei P. Ostellino e molti altri,  diamo  una
            interpretazione "reazionaria" della storia dei nostri
            giorni.
           
            E' un giornalista e
            scrittore islamico Joseph Farah*  a smentirti col
            sostenere (cosa che fa, peraltro, da anni)  che le
            vere radici del conflitto arabo-ebraico non sono né 'una terra
            per i palestinesi', né  il controllo sui luoghi  santi da
            parte dell'Islam. "Queste
            due richieste, precisa Farah,  non sono niente di più che
            inganni strategici, imprese di propaganda. Non sono altro che espedienti
            verbali e razionalizzazioni per il terrorismo e per assassinare
            gli ebrei. Il vero obiettivo di coloro che fanno queste richieste è
            la distruzione dello Stato d'Israele".  Ma Farah, al
            contrario di ciò che pensi,  non è affatto in imbarazzo nel riconoscere
            per vero ciò tutti gli studi storici sostengono, e cioè che
            "la  Palestina
            è non più reale della Terra-che-non-esiste ( Never-Never
            Land)" nel suo Intervento tenuto al Christian Coalition
            Symposium sull' Islam il 15 febbraio 2003 di
            Washington, D.C. Perché infatti, secondo gli studiosi della
            materia, gli arabi di Gaza o di Nazareth non sono distinguibili
            per cultura, per lingua né per alcun altro criterio dagli
            arabi di Siria, di Giordania o dell'Iraq. La sola distinzione
            possibile è tra sedentari e beduini, tra sciiti e sunniti.  Ee
            è ancora Farah a ricordare che "la prima volta il nome venne
            usato nel  70 A.D. quando i romani attuarono il genocidio
            contro gli ebrei, distrussero il tempio e dichiararono che la terra
            d'Israele non avrebbe più avuto un'esistenza. Il nome proviene...
            dai Filistini, popolo conquistato dagli ebrei secoli prima.
            Contrariamente a ciò che Arafat vi racconta, i Filistini sono
            estinti da quell'epoca. Ad Arafat piace sostenere che la sua gente
            discenda dai Filistini. Realmente, il nome era il modo più semplice
            per i romani di aggiungere insulto all'ingiuria patita dagli ebrei -
            non solo essi furono annientati, ma la loro terra fu ridenominata
            col nome di un popolo che essi avevano conquistato. La Palestina non
            è mai esistita - né prima né poi - come stato-nazione. Essa venne
            governata alternativamente da Roma, dall'Islam, dai crociati
            cristiani, dall'Impero Ottomano e, per breve tempo, dagli inglesi
            dopo la I Guerra Mondiale. Gli inglesi erano d'accordo per affidare
            almeno una parte della terra al popolo ebraico come loro propria
            patria. Chi rifiutò l'idea? Gli arabi. Gli ebrei non avrebbero
            avuto posto nel Medio Oriente. Nessuno. Zero. Zip. Nada".
           
            Se la Palestina è
            un'invenzione storico-politica, ne deriva -come conseguenza logica -
            che tutta questa faccenda della 'resistenza palestinese', dei
            'poveri palestinesi' e del 'popolo martire' è un bluff creato dai
            convergenti interessi di cattolici, comunisti e islamici
            reazionari per inchiodare Israele, unica sociatà democratica
            in Medio-Oriente,  in una situazione di stallo con la
            prospettiva di una sua definitiva fine, o per abbandono da
            parte degli stessi ebrei, oppure per distruzione dello Stato da
            parte degli arabi.  Sono questi interessi convergenti ad
            aver fatto di un mafioso trafficante d'armi e di droga,  e
            per di più vile assassino, ladro e ricattatore quale è Arafat
            un capo 'politically correct'  ben accettato in Vaticano e
            nella buona società della sinistra.  Cosa c'entra in
            tutto ciò "la politica oppressiva dello Stato d'Israele contro
            i palestinesi"?  Non è forse oppressiva la politica dei
            cinesi contro il Tibet? eppure non ricordo nessuno, a parte qualche
            radicale o 'liberal', che se ne occupi.
           
            Caro della Pergola, solo chi
            interpreta i fatti in un'ottica conformista, nel senso di
            'conforme al modello esegetico stabilito da  Marx e dai
            suoi seguaci', può continuare a a illudersi  -contro la storia
            e l'evidenza oggettiva - che antisionismo e antisemitismo non siano
            coincidenti e neppure  parenti stretti. Se vi è una
            qualche differenza tra chi ha praticato lo sterminio
            ieri e chi oggi sogna di praticarlo, questa consiste nel
            fatto che Arafat non ha le potenzialità e capacità
            organizzative e tecnologiche che Hitler possedeva.   
           
             Ma vi è un altro
            aspetto del tuo articolo che mi infastidisce personalmente, ed è lo
            stile dell'invettiva. Essa fa parte del bagaglio culturale di quegli
            "intellettuali" che considerano se stessi i soli portatori
            della verità; si incomincia con l'invettiva (in questo caso, col
            classificare gli altri come reazionari) e si finisce con i roghi,  i
            gulag e le fosse comuni.  Uno stile che i marxisti condividono
            con buona parte dei cattolici e degli islamici.  Ma
            per considerare se stessi portatori di verità, occorre aver
            prima concepito che l'altro non ha i nostri stessi
            diritti. In una parola,  lo stile dell'invettiva  è
            la esplicitazione formale di quell'orientamento mentale e
            politico che possiamo definire 'totalitario' e che ha per
            suoi modelli, non già la civiltà greca e il mondo classico, ma i
            vari esempi di dispotimo orientale antico e moderno.
           
            Perciò, se proprio vogliamo
            procedere per classificazioni, sono ben orgogliosa di non far parte
            di quella folta schiera di intellettuali che portano senza
            vergogna la bandiera dei loro  'idola theatri' lasciando
            la ragione al suo sonno.
           
            Alma Cocco, Cagliari
           
              *
            Joseph Farah's
            nationally syndicated column originates at WorldNetDaily, where he
            serves as editor and chief executive officer. If you would like to
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