Spettabile Carlo Pelanda,
intanto le auguro buone feste con la speranza che si
ritiri un po' dagli eccessi del lavoro e si dedichi alla sua famiglia,
che comprende ormai anche una buona parte di noi, lettori partecipi di
codesto spazio pubblico. Sapendo del suo ruolo di consulente per la
Difesa, vorrei rivolgerle una domanda che spero stimoli un suo
intervento. Recentemente, su Il Foglio del 14 dicembre, l'editoriale
di Ferrara sui disaccordi europei per i progetti militari ha messo in
luce la possibilità che l'Europa costituisca una sua difesa
staccandosi dal ruolo dipendente verso l'America (o la Nato, che per
me rappresenta poi la stessa cosa) anche per mezzo del satellite di
navigazione che prende il nome di Galileo. Ora, l'articolo fa
risaltare ancora una volta le difficoltà di un'intesa comune tra i
politici europei, che, sebbene comprensibile in qualunque ordinamento
parlamentare, mi sembra di non poca gravità quando si tratta di un
progetto importante e comunitario come la Difesa. La mia impressione
è che manchino proprio una coscienza e una cultura europeista non
solo agli abitanti dell'Aspromonte, del Monferrato o della Barbagia
(per limitarsi al territorio italiano), ma anche agli stessi politici,
i quali, più che amministratori dell'Europa appaiono amministratori
dell'Euro. La mancanza di questa cultura non si può pensare di
colmare solo con gli sforzi individualistici di pochi ma con un
progetto politico che ci faccia finalmente sentire che Strasburgo e
Bruxelles non sono due puntini sulla carta geografica, tanto lontani
dalle nostre teste e dai nostri cuori quanto vicini alle nostre
tasche. E la domanda che volevo rivolgerle è questa: come
ritiene si debba operare per aumentare il tasso di europeismo nel
sangue degli europei e che suggerimenti ha da dare agli euroscettici
come me? Grazie di cuore.
Suo Stefano Jelo.
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Spettabile Professore, la radiosveglia mi ha svegliato l'altra mattina con la notizia che mai avrei voluto ascoltare: la dimissioni sollecitate di Ruggiero. Ho subito pensato ad un grave disastro per il governo in carica ma oggi, dopo un paio di giorni, mi sembra che in realtà non sia così grave come avevo temuto. Ho letto le dichiarazioni dei soliti noti e tutto mi è parso come da copione: Michel che ci pone alla berlina, la sinistra - poverina - in piazza a farsi vedere, ormai che sta diventando sempre più invisibile, l'Avvocato sponsor che avverte il Governo, ecc.
Lascio da parte le ragioni naives di questo divorzio.
Come può un ministro dimettersi perchè il Governo di cui è parte
non esulta al momento del lancio dell'euro? Roba da mass-media: ora
Tremonti è un antieuropeista, il nostro governo una banda di
provinciali che causerà all'Italia un ruolo da provincia delle
banane, anzi dei fichi d'india. Ho ascoltato una trasmissione su Radio
Uno dove si rilanciava una tesi diversa, del tutto opposta. I nostri
connazionali trenta anni fa andavano a pulire i cessi in Germania, ora
siedono all'Europarlamento tecnici e politici come Monti e Prodi,
Padoa Schioppa, capaci di far pesare il ruolo dell'Italia sulla triade
Francia-GB-Germania. Mi sembra che l'orgoglio italiano (non solo di
Berlusconi) ma anche l'emergere di nuove realtà economiche del bacino
del Mediterraneo stiano scalzando le vecchie regole centroeuropee del
potere. E siccome noi del popolo non sappiamo che cosa si dica
veramente nelle stanze del potere, e nemmeno i giornalisti, ammesso
che lo sappiano, possono dirlo ce non in codice, Le chiedo, ovviamente
in forma privata e informale, se dietro questo divorzio all'italiana
non ci siano ragioni politico-economiche più complesse (veda per
esempio la netta distanza di Martino e Berlusconi rispetto a Ruggiero
sull'affare Airbus). Grazie per la cortesia. Suo Stefano Jelo.
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