08/01/2001

Spettabile Carlo Pelanda,

 
intanto le auguro buone feste con la speranza che si ritiri un po' dagli eccessi del lavoro e si dedichi alla sua famiglia, che comprende ormai anche una buona parte di noi, lettori partecipi di codesto spazio pubblico. Sapendo del suo ruolo di consulente per la Difesa, vorrei rivolgerle una domanda che spero stimoli un suo intervento. Recentemente, su Il Foglio del 14 dicembre, l'editoriale di Ferrara sui disaccordi europei per i progetti militari ha messo in luce la possibilità che l'Europa costituisca una sua difesa staccandosi dal ruolo dipendente verso l'America (o la Nato, che per me rappresenta poi la stessa cosa) anche per mezzo del satellite di navigazione che prende il nome di Galileo. Ora, l'articolo fa risaltare ancora una volta le difficoltà di un'intesa comune tra i politici europei, che, sebbene comprensibile in qualunque ordinamento parlamentare, mi sembra di non poca gravità quando si tratta di un progetto importante e comunitario come la Difesa. La mia impressione è che manchino proprio una coscienza e una cultura europeista non solo agli abitanti dell'Aspromonte, del Monferrato o della Barbagia (per limitarsi al territorio italiano), ma anche agli stessi politici, i quali, più che amministratori dell'Europa appaiono amministratori dell'Euro. La mancanza di questa cultura non si può pensare di colmare solo con gli sforzi individualistici di pochi ma con un progetto politico che ci faccia finalmente sentire che Strasburgo e Bruxelles non sono due puntini sulla carta geografica, tanto lontani dalle nostre teste e dai nostri cuori quanto vicini alle nostre tasche. E la domanda che volevo rivolgerle è questa: come ritiene si debba operare per aumentare il tasso di europeismo nel sangue degli europei e che suggerimenti ha da dare agli euroscettici come me? Grazie di cuore.
                                                                                     Suo Stefano Jelo.

 

08/01/2001

Spettabile Professore, la radiosveglia mi ha svegliato l'altra mattina con la notizia che mai avrei voluto ascoltare: la dimissioni sollecitate di Ruggiero. Ho subito pensato ad un grave disastro per il governo in carica ma oggi, dopo un paio di giorni, mi sembra che in realtà non sia così grave come avevo temuto. Ho letto le dichiarazioni dei soliti noti e tutto mi è parso come da copione: Michel che ci pone alla berlina, la sinistra - poverina - in piazza a farsi vedere, ormai che sta diventando sempre più invisibile, l'Avvocato sponsor che avverte il Governo, ecc.

Lascio da parte le ragioni naives di questo divorzio. Come può un ministro dimettersi perchè il Governo di cui è parte non esulta al momento del lancio dell'euro? Roba da mass-media: ora Tremonti è un antieuropeista, il nostro governo una banda di provinciali che causerà all'Italia un ruolo da provincia delle banane, anzi dei fichi d'india. Ho ascoltato una trasmissione su Radio Uno dove si rilanciava una tesi diversa, del tutto opposta. I nostri connazionali trenta anni fa andavano a pulire i cessi in Germania, ora siedono all'Europarlamento tecnici e politici come Monti e Prodi, Padoa Schioppa, capaci di far pesare il ruolo dell'Italia sulla triade Francia-GB-Germania. Mi sembra che l'orgoglio italiano (non solo di Berlusconi) ma anche l'emergere di nuove realtà economiche del bacino del Mediterraneo stiano scalzando le vecchie regole centroeuropee del potere. E siccome noi del popolo non sappiamo che cosa si dica veramente nelle stanze del potere, e nemmeno i giornalisti, ammesso che lo sappiano, possono dirlo ce non in codice, Le chiedo, ovviamente in forma privata e informale, se dietro questo divorzio all'italiana non ci siano ragioni politico-economiche più complesse (veda per esempio la netta distanza di Martino e Berlusconi rispetto a Ruggiero sull'affare Airbus). Grazie per la cortesia. Suo Stefano Jelo.