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 Una nuova forma di
        povertà 
        Cosa significa essere di
        sinistra, piuttosto che di destra, oggi? Il vecchio
        stereotipo vuole sia di sinistra chi sta dalla parte dei lavoratori. La
        nuova sinistra democratica ritiene che un fattore genetico
        (ereditario o meno?) suddivida oggi la specie umana in due distinte
        categorie. Quella dei tendenzialmente egoisti (potenziali evasori
        fiscali), votanti a destra, e quella dei sociali e partecipativi,
        votanti a sinistra. Io penso che destra e sinistra si distinguano oggi soprattutto per: 
 
          Primo punto. Un lavoratore
          dipendente che costa al suo datore di lavoro 100 lire, pagati i vari
          contributi INPS (40%), IRPEF, IVA, ICI, varie-auto etc., riesce a
          consumare effettivamente beni e servizi per un valore di 35 lire. L’aliquota
          fiscale/contributiva complessiva per redditi medio bassi da lavoro
          dipendente è del 64-67%, e cioè di due terzi! Secondo, perché aliquote fiscali tanto elevate producono danni tanto devastanti? Risposta. Un dato livello di benessere materiale richiede la capacita di acquistare un determinato paniere di beni e servizi. Ciascun bene o servizio è prezzato sulla base di un costo del lavoro pari a 100, e se incorpora un’ora di lavoro altrui, costa appunto 100. Un ora del proprio lavoro rende invece 35! Da ciò, la nuova miseria! E da null’altro! Il paniere di fatto consumabile non può che essere minuscolo. La povertà italiana di oggi è di un genere nuovo. Convive con livelli di produttività del settore privato assai elevati. Con un gigantesco apparato statale dispensatore e sperperatore. Con redditi nominali lordi decenti. Con prezzi proporzionati a questi ultimi, e quindi elevati, da paese “ricco”. E con redditi reali netti sempre meno distanti da quelli di un paese ex-comunista o del terzo mondo. Perdonatemi la franchezza. Samuel Magiar 
              P.E.A.S.
              sta per: Pubblicazioni Economiche Amici Samuel 
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        Il
        dissesto dell’ INPS
         
          (Perché i sistemi
          pensionistici a ripartizione sono un disastro)
         Prima
            dell’avvento dell’era dello Stato Accentratore, custode (benevolo?)
            di noi tutti, risparmiare per la propria vecchiaia non era
            obbligatorio. In famiglia ci si poteva comportare sostanzialmente in
            due modi. Risparmiare volontariamente investendo in attività reali
            o finanziarie dalle quali poi attingere nel periodo della vecchiaia.
            Confidare nel lavoro, nella buona sorte, nel buon cuore dei propri
            figli.<?xml:namespace prefix = o ns = "urn:schemas-microsoft-com:office:office"
            /> Gli stati moderni che negli ultimi decenni hanno voluto rendere obbligatorio per legge il comportamento ritenuto evidentemente più prudente e virtuoso, e cioè risparmiare per la propria pensione, hanno istituito sistemi pensionistici ad accumulazione di capitale di tipo contributivo. Risparmio forzoso per ciascun individuo, quindi, per evitare il modello di comportamento, socialmente irresponsabile e da “cicala”, visto sopra. E in Italia? In Italia no. In Italia si è purtroppo scelta, in un passato non troppo lontano, una strada assai diversa. Risparmio privato forzoso, si, incanalato per legge verso l'INPS appositamente creato. Ma assolutamente nessun risparmio collettivo dell'INPS a livello nazionale. Nessun accantonamento di risorse. E prestazioni pensionistiche assolutamente non proporzionali ai "montanti" contributivi accumulati da ciascun lavoratore nel tempo. Ma come? L’INPS, nel nome di una maggiore responsabilità individuale e personale, si è comportato egli stesso da cicala? La risposta è si. I contributi versati dai nostri genitori e dai nostri nonni hanno fatto la fine di quella valigia affidata a Totò nel compartimento di un vagone letto di un treno in viaggio di notte: … se ne sono volati fuori dal finestrino in spese correnti. Così
            facendo l'INPS ha ridotto oggi milioni di italiani a dipendere in
            maniera pesantissima dal lavoro, dalla buona sorte, e … dagli
            obblighi di legge … dei propri figli! Le pensioni dei nonni
            (e spesso anche quelle di genitori poco più che cinquantenni) sono
            pagate con i contributi dei lavoratori attivi di oggi. E questo è
            un fardello dal peso insopportabile per i lavoratori attivi, che
            vedono il loro reddito pesantemente decurtato da contributi che
            superano il 40% del loro "vero" reddito lordo.
            L’INPS ha clamorosamente mancato al suo più stretto compito
            istituzionale. Sotto questo punto di vista, oltre che dal punto di
            vista finanziario, ha fatto una totale e completa bancarotta. Conseguenze? Un dilemma apparente, che dilania oggi le coscienze ed i portafogli. I “diritti acquisiti” di nonni (e molti genitori) da una parte. Il sudore, la fatica, ed il reddito pesantemente decurtato dei giovani italiani di oggi dall’altra. Che fare? Rifinanziare l’INPS agendo soprattutto sulla leva dei contributi facendo gravare gran parte del peso del dissesto sulle spalle dei contribuenti oggi più giovani, e sui lavoratori di domani? Ridurre per legge le prestazioni dell’INPS? E' ancora da sottolineare come le prestazioni dell'INPS siano calcolate sulla base del “lordo in busta" di un lavoratore. Una figura questa, anomalia tutta italiana, che raggiunge appena i due terzi del "vero" reddito lordo da lavoro. E’ come se i pensionati continuassero a versare, ad vitam, e sempre di tasca loro, quella parte dei contributi INPS che sono stati eufemisticamente chiamati “a carico dell’impresa”. Questo aggrava la percezione delle dimensioni e della gravità del dissesto previdenziale in atto. Contributi già pesantissimi, prestazioni modeste per i veri pensionati di oggi (quelli con 40 anni di contributi), prestazioni attese future ancora più modeste a fronte di contribuzioni sempre più pesanti. 
 Ha ancora senso mantenere in piedi l'INPS in virtù di mere disposizioni di legge. Può una generazione costringere la successiva a sottoscrivere mensilmente un contratto di previdenza scopertamente non conveniente? Non è forse il caso di liberalizzare del tutto il settore della previdenza? Non è forse il caso di mettere in liquidazione definitivamente l'INPS rendendone FACOLTATIVA la contribuzione? E ripartire l'onere immenso della sua bancarotta sulle spalle di TUTTI i contribuenti. Samuel
            Magiar 
             
 
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