13/02/2002

Egregio Professor Pelanda

 

Continuando ad interessarmi di Indicatori di benessere sostitutivi del PIL mi sono imbattuto nella proposta caldeggiata dalla rete “lilliput” (un’organizzazione che potremmo definire no Global, ma assolutamente aliena dalla violenza), di un “indice di priorità politica”.

 La rete lilliput propaganda il “dashboard of sustenaibility” (http://esl.jrc.it/envind/db_it.htm) sviluppato da “un piccolo gruppo composto di leader di vari programmi di indicatori (http://iisd1.iisd.ca/cgsdi/members.htm)”.  (Le inserisco i riferimenti perché Lei, a differenza mia, è facilmente in grado di capire se i curriculum li citati sono effettivamente tali da conferire autorevolezza alla proposta o meno).

 Ho scaricato il dashboard e l’ho un po’ studiato. L’indice proposto sintetizza delle variabili la cui scelta e la cui parametrizzazione hanno delle ovvie implicazioni politiche/ideologiche. (p.es. il tasso ideale di crescita della popolazione, o la % di terreni dedicati all’agricoltura”).

 A fronte di questa obiezione uno degli sviluppatori, il Dr. Jesinghaus ha ribattuto che “non spetta a noi di cambiare con un golpe la scelta – assai imperfetta - fatta da un gruppo di ca. cento rappresentanti di  governi nazionali,   dell'OCSE,  del sistema ONU (UNEP, WHO, FAO, ...)”

 Ora non capisco 2 cose: chi ha dato questi rappresentanti mandato per determinare quali parametri inserire, e, ancora più importante chi ha deciso come stabilire qual è il livello ottimale dei parametri, cioè chi ha dato loro mandato per condizionare l’agenda politica mondiale?

 Ammesso che si condivida sulla carta l’insieme di variabili da inserire, la parametrizzazione  ottimale di queste variabili non è assoluta, ma funzione del momento storico economico che il singolo paese sta vivendo.

  

 Cordiali saluti

Francesco Paoletti