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 Egregio Dottor Pelanda, 
        ho letto il suo articolo Il Polo e il Sud su
        Il Giornale del 19/2 e, in tutta franchezza, devo dirle che mi ha ben
        poco convinto in almeno tre punti:
       
        1) Lei parla di "iniziative che abbiano
        comunicato al mercato" le grandi opportunità di un investimento
        nel sud dell'Italia, 
       
         da un convinto liberista come lei sono
        parole che mi suonano oltremodo strane; ma come, il mercato, i capitali,
        vanno, per definizione, dove esistono le opportunità. E', al contrario,
        prerogativa di un dirigismo statalista l'indirizzare opportunamente gli
        investimenti. Crede forse che la Nike o la Adidas siano andate a fare le
        scarpette in Indonesia grazie al Marketing dei Suharto di turno?
       
        2) Lei sostiene che il Polo ha una visione
        "competitiva" del recupero del sud. Ne è proprio convinto? Il
        Polo, e Forza Italia in particolare, ha gonfiato le proprie file
        riciclando un numero esorbitante di esponenti del pentapartito, cioè di
        quel gruppo di potere che ha basato sul voto di scambio (cioè ti voto
        purchè tu continui a favorire il mio mantenimento improduttivo) gran
        parte del suo peso elettorale, non pensa che queste clientele faranno
        pesare il proprio volere al momento di prendere decisioni diciamo
        impopolari? Non è forse vero che i primi provvedimenti del Governo
        Berlusconi verso il sud furono di puro carattere assistenzialista
        (sussidi ai pescatori pugliesi ad esempio).
       
        3) E' davvero convinto che la base umana al
        sud abbia un' "alta propensione al lavoro"? Forse se avesse
        anche lei avuto dei genitori operai nelle fabbriche dell'area milanese
        tra gli anni '60 e '70 avrebbe un' opinione diversa.
       
        Ma vediamo alcuni esempi:
       
        -per un bergamasco (o un milanese)
        "lazzarone" è una delle peggiori offese, non mi risulta lo
        stesso per un napoletano.
       
        -i lavoratori del sud sono in percentuale
        straordinaria impiegati presso la pubblica amministrazione (scuola, Inps,
        uffici postali ecc...) posti dove la "propensione al lavoro"
        non è tra le doti più richieste.
       
        -cambiando contesto, e attraversando
        l'oceano, mi pare che l'immigrazione dal sud Italia negli Stati Uniti
        sia nota per "propensioni" diverse.
       
        -i nostri vecchi solevano in certi casi
        dire: "è un meridionale, però è un gran lavoratore".
        "Però", appunto.
       
        Con i migliori saluti
       
        Loris Cereda
       
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        Gentile Signor Cereda,
       
        lei è un esempio di come la
        questione del Sud sia ancora percepita attraverso stereotipi non
        realistici e pregiudizi etnici francamente irritanti.
       
        Il "marketing
        territoriale" non è una politica assistenziale, ma un'azione competitiva.
        Per esempio, usata dal Cantone Ticino: se lei impianta una nuova
        impresa lì, il fisco locale negozia uno sconto di incentivo. 
       
        Suo CP  
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 Caro Pelanda, 
        mi spiace di averla irritata, può darsi che
        alcune delle mie argomentazioni suonino a pregiudizio, ma alcuni fatti
        sono incontrovertibili:
       
        - I lavoratori del sud sono in percentuale
        ostentatamente elevata inseriti nel settore pubblico dove, insisto,
        la propensione al lavoro non è tra le caratteristiche peculiari.
       
         - Continuiamo ad importare immigrati
        perchè i lavoratori del sud nonostante l'alto tasso di disoccupazione
        rifiutano tutti i lavori per cui è richiesta un' "alta propensione
        al lavoro".
       
         -Forza Italia è un bellissimo
        crogiolo di riciclati dell'ex-pentapartito.
       
         -Un ultimo esempio, un fatto, non un
        pregiudizio, in molte fabbriche del sud negli anni ottanta, le politiche
        di incentivazione fiscale (che non sono certo una novità) si
        trasformarono in un livello di retribuzioni mediamente più alto per i
        lavoratori che reclamarono a gran voce il concetto di "pari costo
        per l'impresa". Senza contare l'immenso numero di truffe che tali
        politiche generarono a danno della parte più produttiva del paese.
       
         Mi scusi, non voglio avere l'ultima
        parola, ma mi è parso che la sua risposta abbia, diciamo
        leninisticamente, preso gli accenni provocatori del mio intervento per
        stigmatizzarli schermendosi dall' entrare nel merito delle mie,
        perdoni l'immodestia, concrete obiezioni.
       
         Con stima
       
         Loris Cereda
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