20/12/2002

VIVA TREMONTI

 

E’ innegabile negli esponenti e simpatizzanti del centrodestra (e anche un po’ curiosa) la difficoltà a sostenere le critiche feroci dell’opposizione alla politica finanziaria del governo. C’è il disagio di una situazione obbiettivamente difficile, però cari amici, vogliamo chiarirci perché queste difficoltà? Il motivo è semplicissimo: questo è il primo governo italiano che fa un punto d’onore il non volere aumentare le tasse. E siccome le spese rimangono sostanzialmente quelle di prima (nessuna categoria, nessun settore accetta tagli), ecco naturale lo scompenso. Ma allora bisogna rovesciare la frittata: che bravura c’è (c’era, in tutti i precedenti governi) a far quadrare i conti con l’allegra imposizione di sempre nuove tasse?

Dobbiamo piuttosto rivendicare la filosofia fortissimamente voluta dal governo di centro destra: basta col circolo vizioso della spesa pubblica incontrollata ripianata col fisco; fare di tutto per innescare il circolo virtuoso di maggiori risorse per la crescita reale del sistema produttivo; ripartire dalla solare verità: il problema maggiore non sono le entrate (mancate), sono le uscite!

Diciamo quindi: viva Tremonti, primo ministro delle finanze che si preoccupa di frenare il proprio ministero!

Viva Tremonti, partigiano del contribuente. Eroico è il suo sforzo, tagliare le tasse ed al tempo stesso finanziare le cose promesse in campagna elettorale. Bimbo assiso sul trono di Erode.

E dunque quando il galliname d’opposizione strilla scandalizzato ad ogni rilevamento mensile che “le entrate calano”, dobbiamo rispondere che siamo contenti, perché questo è precisamente l’obbiettivo posto fin dall’inizio: pagare meno tasse, perché in Italia sono esagerate e per di più il corrispettivo reso in servizi dallo stato (l’insieme degli enti pubblici) è mediamente penoso.

 

Certo, sarebbe davvero bello, il massimo, obbligare tutti gli enti e organi centrali periferici dello stato (ministeri, regioni, comuni, università, sanità, etc…), mediante forti tagli, a purgarsi delle molte spese folli e parassitarie, salvando però i servizi e la loro qualità. Ma a tanto non si arriva (ci vuole una squadra cogli attributi così), sicché si finisce necessariamente nei condoni.

Epperò come sarebbe bello se una sera (più sere fatate) il Presidente (o il vice, anche l’Umberto andrebbe benone) comparisse agli italiani: “cari concittadini, vedete benissimo già dentro casa vostra che le uscite non possono superare le entrate. E sapete pure a menadito che le spese devono essere motivate, strategiche, sensate. Quindi non spaventatevi dei tagli, sapete bene che l’errore s’è protratto per molti anni. E se invece vi spaventano fa lo stesso, perché questa è la nostra scommessa”!

Oh come apprezzerebbero gli italiani! Il polo raddoppierebbe i voti, altro che perderli: parlare chiaro, parlare da statista, da adulto ad altri adulti, è una goduria sempre negata agli italiani, chissà perché. Neanche fossimo tutti bambini deficienti.

 

Da quindici anni l’osso duro della politica è creare/occupare posti da due/quattrocento milioni all’anno. Ve n’è ormai dappertutto in ciascuna delle cento città: agli acquedotti, alla società dei bus, agli enti locali ed altre decine; alla sanità ne hanno inventati addirittura tre, il direttore generale, quello amministrativo e quello sanitario. Un castelletto ogni usl, ogni ospedale.

Di tutti basterebbe la terza parte. Diciamolo ad alta voce.

Ieri c’è stato lo sciopero dei trasporti. Categoria per niente messa male (c’è la fila fuori, come in tutti gli enti pubblici), oh se il Presidente dicesse: “cari amici, se potessi ve ne darei anche di più. Ma per qualche anno serve un sacrificio. Vogliamo innescare il circolo virtuoso: troverete infine più di quanto adesso rinunciate. Questa è la nostra scommessa”!

Chi non capirebbe, l’operaio? L’artigiano? La casalinga? Il professionista? L’impiegato?

Capirebbero tutti. Gli unici a “non capire”, a strillare più forte sarebbero i professionisti della piazza. E poi molti lavoratori e cittadini. Ma la democrazia è questa, vince chi prende più voti (li prende chi ha più filo da tessere, altro che le televisioni).

Presidente, parli da statista, prenderà il 70%.

                                                                                     Luigi Fressoia, Perugia