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Egregio Dott. Pelanda, mentre ascolto l'ultimo LP
appena acquistato (Jean-Pierre Rampal "A night at the
Opera") mi accingo a terminare un libro sconvolgente, almeno per
la mia totale ignoranza: "L'unione fa la truffa" di Mario
Giordano. Improvvisamente mi sveglio dal torpore, scoprendo che
l'Unione europea gestisce un ragguardevole bilancio di 177mila
miliardi di lire di entrate, l'81% dei quali attraverso imposte
dirette e indirette dei singoli Stati, nei modi che, a credere al
testo di Giordano, rasentano l'assurdo sistematico quando non la frode
malandrina. Nel frattempo, in soli due anni l'euro, a quasi un mese
dalla sua attesa nascita, ha perso il 25 % del suo valore rispetto al
dollaro, per non dire rispetto alle valute di paesi del Terzo Mondo.
Ecco che la mia giornata lavorativa, che ha finanziato in qualche
percentuale le casse dell'Unione europea, invece di finire bene con
l'ascolto della nostra migliore cultura europea, sta per
concretizzarsi in un'insonnia tediosa. Capisco che Lei sia stufo di
sentire lamentele, ma non credo che di questo passo le risposte di
quella categoria civile che orrendamente chiamiamo nei testi giuridici
"cittadini" saranno ancora civili. Soltanto perchè non si
saprà che cosa fare per fermare lo sfacelo. Non mi bastano le
previsioni, cautamente ottimiste sulla ripresa nel secondo semestre
dell'anno prossimo, da parte degli organi ufficiali, che come al
solito non concordano su niente. Sono assolutamente pessimista
sull'introduzione dell'euro, ma non soltanto per gli scompensi,
psicologici e finanziari, che rovineranno tutti gli ingenui e gli
ignoranti, quanto per l'illusione di essere gestiti in qualcosa di più
grande da un gruppo di piccoli potenti che esulano dalla mia volontà
elettorale, nonostante io sia convinto che questa sia la strada
giusta: ora comincio a chiedermi se io stesso, fervente sostenitore
nonostante tutto, non sia vittima di un Grande Fratello (per fortuna
non quello televisivo ma quello di orwelliana memoria), o forse dei
Sette Nani. Rivivo quel senso di inutilità e di ineluttabilità
tipico degli anni del pentapartito, quando sapevi che, in un modo o
nell'altro, non sarebbe cambiato niente nella gestione del potere. Ad
ognuno la sua fetta in cambio di un compromesso da spacciare
all'elettorato come una vittoria. Ho paura che tutto questo, al di là
di rappresentare una proiezione schizofrenica a livello europeistico
del modulo romano, ci riservi il ruolo, a livello storico, di una
vecchia zia un po' sorda e un po' rimbambita che, come me, passa le
serate ad ascoltare i fasti perduti della Nostra Gloria Culturale.
Grazie per la sua pazienza
Stefano Jelo
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Spett. Dott. Pelanda,
questa volta Le rivolgo una domanda molto diretta a cui
spero voglia rispondere altrettanto direttamente (tempo permettendo):
ma che significa, secondo Lei, tutto il bailamme scatenato dalla
resistenza italiana al mandato di cattura europeo? Ho anche osservato
di sfuggita che gli stessi esperti in materia giuridica hanno pareri
discordi, a prescindere dal colore politico. Francamente vorrei sapere
da Lei perchè ci sia tanta fretta da parte della Commissione europea
di volere a tutti i costi procedere, e all'unanimità. Non è previsto
un parere diverso, almeno sui tempi e i modi di attuazione di una
direttiva europea? La mia impressione è che, nonostante il Parlamento
Europeo sia composto da membri non eletti per suffragio (tanto è vero
che, orrore orrore, l'ultima notizia riguarda l'ex onorevole
disonorato Carlo Martelli che mira ad una poltrona europea), il vero
teatro politico nazionale sia rappresentato a Bruxelles, non più a
Roma. Questa mi sembra una grave contraddizione all'interno della
nostra cultura democratica e mi si perdoni l'altisonanza di tale dichiarazione,
ma non vedo come possa un burocrate di Bruxelles venire a
negoziare a Roma con il nostro premier su una scelta esclusivamente
politica che spetta all'esecutivo di una nazione. Che cosa dobbiamo
negoziare? Il ritiro di un ricatto? Restare fuori dall'Europa ci
preclude dall'essere un paese democratico, garante del diritto? Mi fa
paura la pretesa europeista di doversi conformare tout court alle
direttive, questi mostri sacri: ma se la democrazia di una nazione si
basa su un Consiglio che governa e su una opposizione, perchè non può
basarsi su tale principio anche il Parlamento Europeo? E poi, la
stessa terminologia ingenera confusione: se è un Parlamento, perchè
i suoi membri non sono eletti dal popolo? Risposta: perchè non ha
potere legiferante. Allora perchè lo chiamiamo Parlamento? Risposta:
non lo so, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse perchè rischio di
vedere Claudio Martelli eurodeputato e non mio zio Assunto.
Suo Stefano Jelo
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