01/12/2001

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Stefano Jelo
stefanoj@iol.it
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Egregio Dott. Pelanda, mentre ascolto l'ultimo LP appena acquistato (Jean-Pierre Rampal "A night at the Opera") mi accingo a terminare un libro sconvolgente, almeno per la mia totale ignoranza: "L'unione fa la truffa" di Mario Giordano. Improvvisamente mi sveglio dal torpore, scoprendo che l'Unione europea gestisce un ragguardevole bilancio di 177mila miliardi di lire di entrate, l'81% dei quali attraverso imposte dirette e indirette dei singoli Stati, nei modi che, a credere al testo di Giordano, rasentano l'assurdo sistematico quando non la frode malandrina. Nel frattempo, in soli due anni l'euro, a quasi un mese dalla sua attesa nascita, ha perso il 25 % del suo valore rispetto al dollaro, per non dire rispetto alle valute di paesi del Terzo Mondo. Ecco che la mia giornata lavorativa, che ha finanziato in qualche percentuale le casse dell'Unione europea, invece di finire bene con l'ascolto della nostra migliore cultura europea, sta per concretizzarsi in un'insonnia tediosa. Capisco che Lei sia stufo di sentire lamentele, ma non credo che di questo passo le risposte di quella categoria civile che orrendamente chiamiamo nei testi giuridici "cittadini" saranno ancora civili. Soltanto perchè non si saprà che cosa fare per fermare lo sfacelo. Non mi bastano le previsioni, cautamente ottimiste sulla ripresa nel secondo semestre dell'anno prossimo, da parte degli organi ufficiali, che come al solito non concordano su niente. Sono assolutamente pessimista sull'introduzione dell'euro, ma non soltanto per gli scompensi, psicologici e finanziari, che rovineranno tutti gli ingenui e gli ignoranti, quanto per l'illusione di essere gestiti in qualcosa di più grande da un gruppo di piccoli potenti che esulano dalla mia volontà elettorale, nonostante io sia convinto che questa sia la strada giusta: ora comincio a chiedermi se io stesso, fervente sostenitore nonostante tutto, non sia vittima di un Grande Fratello (per fortuna non quello televisivo ma quello di orwelliana memoria), o forse dei Sette Nani. Rivivo quel senso di inutilità e di ineluttabilità tipico degli anni del pentapartito, quando sapevi che, in un modo o nell'altro, non sarebbe cambiato niente nella gestione del potere. Ad ognuno la sua fetta in cambio di un compromesso da spacciare all'elettorato come una vittoria. Ho paura che tutto questo, al di là di rappresentare una proiezione schizofrenica a livello europeistico del modulo romano, ci riservi il ruolo, a livello storico, di una vecchia zia un po' sorda e un po' rimbambita che, come me, passa le serate ad ascoltare i fasti perduti della Nostra Gloria Culturale.
 
                                                                                                        Grazie per la sua pazienza
 
                                                                                                            Stefano Jelo

 

10/12/2001

Spett. Dott. Pelanda,

 
questa volta Le rivolgo una domanda molto diretta a cui spero voglia rispondere altrettanto direttamente (tempo permettendo): ma che significa, secondo Lei, tutto il bailamme scatenato dalla resistenza italiana al mandato di cattura europeo? Ho anche osservato di sfuggita che gli stessi esperti in materia giuridica hanno pareri discordi, a prescindere dal colore politico. Francamente vorrei sapere da Lei perchè ci sia tanta fretta da parte della Commissione europea di volere a tutti i costi procedere, e all'unanimità. Non è previsto un parere diverso, almeno sui tempi e i modi di attuazione di una direttiva europea? La mia impressione è che, nonostante il Parlamento Europeo sia composto da membri non eletti per suffragio (tanto è vero che, orrore orrore, l'ultima notizia riguarda l'ex onorevole disonorato Carlo Martelli che mira ad una poltrona europea), il vero teatro politico nazionale sia rappresentato a Bruxelles, non più a Roma. Questa mi sembra una grave contraddizione all'interno della nostra cultura democratica e mi si perdoni l'altisonanza di tale dichiarazione, ma non vedo come possa un burocrate di Bruxelles venire a negoziare a Roma con il nostro premier su una scelta esclusivamente politica che spetta all'esecutivo di una nazione. Che cosa dobbiamo negoziare? Il ritiro di un ricatto? Restare fuori dall'Europa ci preclude dall'essere un paese democratico, garante del diritto? Mi fa paura la pretesa europeista di doversi conformare tout court alle direttive, questi mostri sacri: ma se la democrazia di una nazione si basa su un Consiglio che governa e su una opposizione, perchè non può basarsi su tale principio anche il Parlamento Europeo? E poi, la stessa terminologia ingenera confusione: se è un Parlamento, perchè i suoi membri non sono eletti dal popolo? Risposta: perchè non ha potere legiferante. Allora perchè lo chiamiamo Parlamento? Risposta: non lo so, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse perchè rischio di vedere Claudio Martelli eurodeputato e non mio zio Assunto. 
                                                     Suo Stefano Jelo