Caro Pelanda
ho letto come sempre con grande interesse il
suo articolo apparso sul "Giornale"
riguardante i problemi dei cambiamenti
climatici, le loro conseguenze e i rimedi che dovremmo cercare di
adottare.
Sono d'accordo con tutto quello che lei ha
esposto ma devo anche dire che per quanto riguarda le misure da attuare
per controbattere il problema del surriscaldamento del pianeta, mi
sembra che lei ne abbia tralasciata una che forse meriterebbe di
trovarsi in cima ad una ideale scala di priorietà: la riduzione dei
nostri consumi.
A me sembra infatti che la società, ma mi
riferisco ovviamente a quella fetta di società che appartiene all'
"occidente" sviluppato, attuale abbia raggiunto un tale
livello di consumo da poter ragionevolmente e serenamente prendere in
considerazione l'ipotesi di moderare le proprie aspettative.
In Italia, come negli altri paesi del
cosiddetto primo mondo, le caratteristiche del consumo hanno da tempo
travalicato la soglia del necessario per sconfinare nei territori
apparentemente infiniti del futile.
Automobili, telefoni, computer, giocattoli,
vestiario, e mille altri gadget simili ormai riempiono le nostre città
e case a un punto tale che, paradossalmente ma non poi troppo, si
trasformano spesso in ostacoli anzichè benefici per il nostro buon
vivere.
E' facile prendersela con l'automobile, ma
come non vedere che continuiamo ad ammassare sempre più veicoli con i
quali è poi sempre più difficoltoso spostarci per l'affollamento
insostenibile di strade, autostrade e parcheggi, a che pro?
Perchè mai rinnovare nevroticamente i
nostri guardaroba se poi abbiamo sempre meno tempo libero per godere
degli stessi ?
Tutti, genitori e educatori, lamentano la
mancanza di fantasia dei nostri bambini, sommersi di giochini e
giochetti costosissimi che radono al suolo la loro capacità di
inventare con la forza dell'immaginazione, forse la caratteristica più
affascinante dell'infanzia.
Perchè dunque dobbiamo continuare ad
avvitarci in questa spirale senza fine dello sviluppo senza sosta che
sta ritorcendosi contro di noi ?
Non vorrei essere frainteso, non sono un
fautore del ritorno ai "bei tempi andati" del lume a candela e
del calesse, e mi rendo perfettamente conto che la spinta a progredire
è nel DNA dell'uomo, ma mi chiedo se non dobbiamo forse riflettere su
quale futuro stiamo preparando ai nostri figli.
Spero che possa trovare il tempo per una
risposta che mi interesserebbe molto avere dalla sua penna (pardon,
tastiera)
cordialmente
Fabio Thian
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Caro Pelanda
Prima di tutto la ringrazio di cuore per la
sua risposta.
E' sintetica ma va alla radice del problema.
Lei dunque sostiene che non possiamo
rallentare lo sviluppo perchè questa opzione ci priverebbe
inevitabilmente dell'accesso a quelle possibili tecnologie che ci
consentirebbero di "gestire" i problemi che lo sviluppo stesso
provocherà.
E' una tesi probabilmente corretta
purtroppo, che però ci apre prospettive poco incoraggianti.
Prima di tutto mi porrei il problema su
"chi" deciderà come, quando e soprattutto quanto, investire
in queste future tecnologie.
Visto il grado di coesione della comunità
mondiale, a livelli istituzionali ma non solo, non mi sembra il caso di
farsi eccessive illusioni.
Saranno scelte che inderogabilmente
andranno, in un modo o nell'altro, a toccare interessi economici di
dimensioni inimmaginabili e non riesco a credere che i paesi o gruppi di
potere che ne verranno danneggiati accetteranno di pagare il conto
a cuor leggero.
Immaginiamo, per fare un esempio, che un
paese come l'India sia posto di fronte al bivio di una crescita
economica impetuosa o di un rallentamento "pilotato" a
causa di limiti e vincoli di origine ambientale.
Lei veramente pensa che la classe politica e
dirigente di un paese con tali giganteschi problemi, di tutti i
tipi è il caso di dire, accetterà di buon grado di autolimitarsi nel
suo immenso potenziale di sviluppo, e per di più dopo aver subito per
decenni lo sfruttamento da parte quegli stessi paesi che gli
chiederanno
di "fermarsi", proprio nel
momento in cui quello sviluppo gli consentirebbe di migliorare il già
non altissimo (...) tenore di vita di milioni dei suoi abitanti ? E
quanti sono i paesi nelle stesse o peggiori condizioni dell'India ai
quali dovremo giocoforza chiedere questo "sacrificio" ?
A meno che, io sospetto, lei non immagini la
possibilità in futuro, ma deve essere vicino, di poter disporre di
tecnologie di costo irrisorio che ci permettano sviluppo a costi
"ambientali" prossimi allo zero, e dunque alla portata di
tutti; in questo caso, tutti felici e contenti.
Ma se questa non fosse la sua ipotesi di
lavoro, mi permetta di esprimere tutto il mio più profondo scetticismo
in proposito (per quello che può valere). La storia dell'umanità
purtroppo ci ha insegnato che da interessi contrastanti non sono mai
nate valide intese, se non al prezzo di compromessi e patteggiamenti che
ne hanno inevitabilmente vanificato la reale portata.
E' vero, come lei mi ha fatto simpaticamente
notare nella sua stringata risposta, è proprio "un bel
casino" e credo che nelle pieghe di questa sua sincera espressione
si nasconda più di un dubbio sulla soluzione che lei mi prospetta.
Visto che mi ha risposto una prima volta,
raddoppio l'azzardo e le chiedo, se ciò le sarà possibile, di darmi
un'altra opinione su queste mie "obiezioni".
Cordialmente
Fabio Thian
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