07/07/2004

Le deviazioni dalla razionalità della teoria classica

L'esperimento sull'"EFFETTO DOTE" mostra che l'attaccamento alle cose che possediamo altera la percezione del loro valore
 
 Non è sorprendente che le decisioni degli uomini comuni che abitano il mondo che ci circonda devino in vari modi dalle decisioni degli "eroici" uomini economici che popolano il mondo ideale della teoria della scelta razionale. Pochi di noi sarebbero disposti a ritenere che i propri simili siano perfettamente razionali. Siamo consapevoli di essere fallibili, di avere limitate capacità di calcolo, limitato accesso alle informazioni, poca memoria e anche questa poco affidabile. Nella vita di tutti i giorni amiamo, soffriamo, proviamo gioia, paura, rabbia, e altri sentimenti che condizionano le nostre scelte in modo poco "calcolato". Non che gli economisti ne siano meno consapevoli, tuttavia hanno a lungo ritenuto che le deviazioni dal comportamento razionale fossero trascurabili per spiegare il comportamento aggregato degli attori economici ed il funzionamento dei mercati.
 La "Behavioral Economics" (Camerer, Loewenstein, Rabin e coll. Princeton University, 2004) mette in discussione questa convinzione di fondo. Venti anni di ricerche sperimentali ed indagini sul campo documentano che le violazioni della razionalità sono abbondanti, diffuse e sistematiche; e, come tali, esercitano un peso considerevole sul comportamento economico. Si prenda un concetto cardine dell'economia come quello di PREFERENZA. In riferimento alle preferenze la teoria della scelta razionale fa alcune assunzioni che sono intuitivamente plausibili, matematicamente trattabili ed empiricamente controllabili. Una di queste è che le preferenze siano "invarianti" rispetto alla transitoria posizione patrimoniale dell'individuo.
 Con un semplice esperimento, Dick Thaler ha mostrato che, per quanto plausibile, questa assunzione non è sempre valida. Molti di noi, infatti, risentono dell'"EFFETTO DOTE": richiediamo cioè per un bene in nostro possesso più di quanto noi stessi siamo disposti a pagare per averlo.
 Ecco l'ESPERIMENTO:
 Una classe di studenti di economia viene divisa a caso in due gruppi. Ad un gruppo viene regalata una tazza, una di quelle tipiche tazzone da caffè americano con il logo dell'università ben stampato. Fra i due gruppi viene bandita un'asta allo scopo di verificare quanti dollari chiedono i possessori di tazza per separarsi dall'oggetto che hanno ottenuto in dote solo pochi minuti prima. E quanti dollari sono disposti a pagare gli studenti senza tazza per averne una.
 RISULTATI: i possessori di tazza non sono disposti a vendere mediamente sotto i 5,25 dollari. Gli studenti senza tazza non sono disposti a comperare mediamente sopra i 2,75 dollari. Il solo fatto di essere divenuti proprietari di un oggetto (anche piuttosto insignificante) è sufficiente perchè quell'oggetto venga istantaneamente valutato da chi lo possiede quasi il doppio rispetto a chi non ce l'ha.
 
 
 L'effetto dote è connesso ad un altro fenomeno particolarmente pervasivo: l'"AVVERSIONE ALLE PERDITE", per cui la disutilità di una perdita è maggiore dell'utilità di una vincita delle stesse dimensioni.
 Per vedere questo effetto in azione, occorre lasciare le asettiche aule universitarie per il mondo "selvaggio" dei "taxi drivers". Colin Camerer e colleghi hanno notato che i tassisti di New York sono abituati a decidere quante ore lavorare ogni singolo giorno in base ad un obbiettivo di guadagno: raggiunto il quale, "smontano". I tassisti pertanto lavorano meno ore nei giorni "caldi" di quanto facciano nei giorni con poca richiesta. Durante i primi, banalmente, hanno bisogno di meno tempo per raggiungere il loro obbiettivo. Dal punto di vista della scelta razionale i tassisti dovrebbero sostituire lavoro e tempo libero inter-temporalmente: lavorando quindi più ore quando il tasso di salario è alto e consumando più tempo libero quando quest'ultimo "costa meno", cioè quando il salario cui si rinuncia è basso. I risultati dell'analisi sul campo evidenziano invece una correlazione negativa tra ore lavorative e tasso di salario giornaliero, in linea con il principio di avversione alle perdite. Il fallimento nel raggiungere l'obbiettivo di guadagno è percepito dal tassista come una perdita, per compensare la quale egli è disposto a lavorare più a lungo; al contrario, il fatto di superare l'obbiettivo è percepito come una vincita, ottenuta la quale egli è meno incentivato a lavorare.
 
 
 L'attenzione rivolta al comportamento effettivamente osservato dell'uomo di strada piuttosto che al comportamento idealizzato dell'homo oeconomicus, aiuta a farsi un'idea degli obbiettivi della neodisciplina. Più precisamente, la "Behavioral Economics" mira ad "accrescere il potere esplicativo dell'economia dotandola di basi cognitive più realistiche", nella convinzione che, importando nella teoria economica gli aspetti procedurali delle decisioni individuali, sia possibile generare nuovi e più plausibili modelli teorici, migliori predizioni e scelte di politica economica più efficaci. Questo approccio non implica il rifiuto in blocco del modello neoclassico. Anzi, la cosiddetta "Rational Economics" continua a costituire il punto di riferimento teorico, in virtù della sua plausibilità normativa; e quello metodologico, in virtù della sua trattabilità e generalità. Tuttavia, invece di considerare non falsificabile la teoria neoclassica, l'economia cognitiva rivendica la fertilità delle confutazioni empiriche in prospettiva di una nuova sintesi "quasi razionale".
 Certo, una lista di violazioni ad una teoria - per quanto ben documentata - non costituisce ancora una (buona) teoria alternativa. Lo riconoscono anche Colin Camerer, Gorge Loewenstein e Matthew Rabin: la "Behavioral Economics" si presenta oggi come "una collezione di strumenti o di idee" piuttosto che come una teoria unificata; "uno stile di modellizzazione dei problemi" piuttosto che un paradigma scientifico pienamente articolato. Ciononostante, la loro speranza è che i modelli psico-economici si rivelino presto empiricamente ben fondati, predittivamente accurati e formalmente trattabili. A quel punto - come già è accaduto per lo sviluppo delle scienze più mature - è possibile che le ristrette assunzioni della razionalità economica saranno considerate come un caso speciale di una teoria della razionalità più generale fondata su basi cognitivo-comportamentali. A giudicare dai contributi di Camerer e colleghi, è una speranza ben riposta.
 
 
 
Disponibile ad ogni tipo di chiarimento
Porgo cordiali saluti ed un augurio di una buona estate 2004
 
 
Lorenzo Polojac
Psicologo e Responsabile Commerciale Imperator S.r.l.
Trieste
www.imperator.cc