Roma, 25/08/2003
Gentile Prof. Pelanda,
ho letto il Suo articolo, apparso lo
scorso 23 agosto su "Il Giornale", e nel quale contestava la
visione a Suo parere pessimista del prof. Sartori in tema di ambiente.
Premetto che non ho avuto modo di leggere
l'articolo del politologo, e tuttavia vorrei porLe alcune questioni
che ritengo rilevanti ai fini dell'analisi dell'ambientalismo e del
suo rapporto con l'economia.
Lei sostiene, in sintesi, che il
capitalismo è giunto attualmente ad una fase di sostanziale assenza
progettuale, al punto che il modello capitalista va
"rinforzato", in modo da favorire la modernizzazione, anche
al fine di risolvere le problematiche ecologiche del nostro tempo.
Quel che mi chiedo e Le chiedo,
professore, è se di per sé un'accelerazione del processo di
innovazione tecnologica può essere considerato sufficiente ai fini di
un rinnovato rapporto fra uomo e Natura; condivido il Suo punto di
vista quando Lei afferma che la globalizzazione garantisce maggiore
benessere a popolazioni precedentemente in condizioni d'indigenza.
Trovo inoltre spesso pretestuose e strumentali le affermazioni di chi
si oppone al libero commercio internazionale, agitando gli spettri
dello sfruttamento e della disuguaglianza per meglio nascondere
interessi come quelli che per lungo tempo, ad esempio, in Europa sono
stati tutelati dalla Pac. Precisato che su questi fondamentali temi mi
trovo d'accordo con la Sua impostazione, professore, vorrei però
chiederLe: può la politica limitarsi a favorire la modernizzazione
del sistema capitalista se si vuole salvaguardare la vivibilità di un
pianeta obiettivamente sottoposto, ad esempio, a innegabili minacce di
tipo climatico?
Non è il modello capitalista chiamato a
rinforzarsi non solo quantitativamente, ma anche e soprattutto
qualitativamente, trovando ambiti in cui esprimere energie costruttive
e consapevoli?
Quali sono, professore, le Sue opinioni
sulla deforestazione e sulla desertificazione? Se è vero che
l'economia si occupa in quanto tale della produzione e della
distribuzione in condizioni di scarsità delle risorse, non può un
economista occuparsi anche di attività che, pur seguendo logiche
imprenditoriali ed economiche,consentano di ridurre fenomeni di
scomparsa di risorse prima ritenute abbondanti? Non trova ad esempio
che quello delle fonti alternative di energia potrebbe essere un
terreno fecondo anche per l'azione di imprese ora inesistenti o
impegnate in altre attività?
Sulla teoria "debole",
implicitamente enunciata dagli avversari della modernizzazione, poi,
credo che si tratti di una carenza di analisi costruttive, più che di
un progetto volutamente atto ad arrestare l'evoluzione del progresso.
I politici conservatori o catastrofisti
ben difficilmente citano il teorema di Coase o le esternalità
negative, ma un economista può ignorare che l'inquinamento comporta
un costo sociale? Certo, lo studio quantitativo e rigoroso
dell'impatto ambientale dell'attività umana dovrebbe essere anteposto
a qualsiasi slogan politico; e forse chi ha una sensibilità
ambientalista dovrebbe dotarsi di strumenti operativi per conciliare
il progresso tecnico con il rispetto della Natura, piuttosto che
condannare la crescita economica ( o lo sviluppo, in molte aree del
mondo ) in quanto tale.
Ma, ad esempio, non è il tema
dell'incremento demografico mondiale un tema da cui è impossibile
prescindere se si vuole seriamente trattare il futuro del rapporto fra
risorse naturali e comunità umana?
Concordo insomma con la Sua constatazione
di una sorta di crisi di dinamicità del capitalismo ( d'altronde, già
qualche decennio fa - con un'ottica a mio parere suggestiva -,
Habermas parlava di "crisi della razionalità nel capitalismo
maturo"); ma può il Suo sviluppo avvenire autonomamente dalle
valutazioni e dai valori che la comunità umana formula circa il
proprio futuro?
RingraziandoLa per l' attenzione Le
rivolgo cortesi saluti,
Marco Senatore
|