06/08/2003

Gentile Prof.Pelanda,
come esercizio di ricerca per un corso universitario ho recensito il suo
ultimo libro Futurizzazione e allego la nota relativa.
Carlo Manso

Futurizzazione è un testo coraggioso, senza dubbio di grandissima attualità, il cui assunto fondamentale riguarda la necessità di rendere più dinamica la nostra società, per attrezzarla e prepararla ad affrontare senza timori frenanti, ma in modo positivo e propulsivo, le nuove sfide che inevitabilmente ci si presentano e che continueranno a presentarcisi, generate da noi stessi e dal progresso che rincorriamo.

Futurizzazione è un testo propositivo, non adatto ad una mente pigra e perciò lenta e rigida, ma ideologicamente e pragmaticamente stimolante. La sua lettura, non del tutto facile, richiede riflessione critica e rielaborazione. Sarà difficile concordare sempre con il pensiero dell’autore, ma sarà totalmente innegabile riconoscere un filo logico trainante, convincente e difficilmente confutabile. Penso che fosse questo l’intimo intento dell’autore: mobilizzare le coscienze dei lettori, o non farsi capire da essi.

L’opera si articola intorno a sette punti programmatici futurizzanti, il cui scopo è la velocizzazione della società, necessaria per poter superare, e non incagliarsi, nei grandi ostacoli che noi stessi stiamo costruendo con il nostro stesso inarrestabile avanzare.

E’ mia personale convinzione che per concepire e accettare tesi coraggiose come quelle proposte dal professor Pelanda, sia necessaria una potente dose d’ottimismo, che lavori di pari passo con una capacità d’immaginazione impressionante. L’autore infatti ipotizza, sostenendo le sue tesi con argomentazioni difficilmente contestabili, in quanto assolutamente logiche e pragmatiche, un riscatto di “antropos” (mai verificatosi e mai ipotizzabile nei millenni passati) dalle costrizioni che lo hanno afflitto e soffocato durante l’intera sua evoluzione, rendendolo schiavo di inevitabili endodestini.

A fronte di un sapere che ci concederà di superare e risolvere problemi fino ad ora insormontabili, la società veloce e responsabile deve assestarsi teoricamente e moralmente su un’etica tecnologica che comprenda in sé le risorse naturali e la dimensione artificiale offertaci dal salvifico sviluppo tecnologico.

L’autore individua nel progresso un evidente paradosso, che solamente adesso saremo in grado di superare. Il progresso e la sua dinamica hanno nutrito infatti fino ad ora dualismi antagonistici ed evidenti dicotomie, che non possono essere superati, se non con la teoria della società veloce, un modello di società che, davanti agli ostacoli da se stessa generati, sceglie di accelerare bruscamente con dinamismo innovativo. L’opzione della società e del pensiero lento porterebbero inevitabilmente al collasso e all’implosione del sistema.

Passo primario per questa velocizzazione redentrice, è la diffusione e il consolidamento del capitalismo tecnologico di massa, la miglior macchina mai realizzata per la diffusione e crescita del benessere, e per il raggiungimento di un’equità sociale, che è e sarà fortemente contrastata dalle tesi conservatrici, anti-globalizzanti e garantiste che trovano terreno fertile nell’humus sociale odierno.

Il rallentamento e il mancato compimento del capitalismo di massa è dovuto anche al gap cognitivo, ovvero all’inadeguato o non sufficiente adattamento dell’educazione rispetto alle necessità di un’economia e di un mercato in sviluppo continuo e frenetico. Esistono altri gap che bloccano in ugual misura l’evoluzione e lo sviluppo della realizzazione di un futuro capitalismo salvifico, ma ho scelto di trattare il gap cognitivo, in quanto ritengo che le soluzioni proposte dall’autore, pur potendo apparire di primo acchito a molti lettori tesi fantascientifiche, siano al contrario pressoché realizzabili in un futuro non difficilmente ipotizzabile e non troppo remoto.

Per quanto concerne il modello educativo attuale, pur non potendo negare grandi processi espansionistici nella scolarizzazione, è innegabile che siamo fermi da secoli su uno schema educativo rigido e uniformante, legato indissolubilmente al presupposto erroneo che, essendo il nostro intelletto disegnato in ugual maniera genetica in tutti gli individui, possiamo essere valutati per mezzo di un vaglio numerico, i famosi quanto tristi voti, i quali, al contrario, invece di descrivere una personalità e una intelligenza, la intrappolano in modo rozzo e grossolano, nella falsa e scorretta ricerca di una consacrazione scolastica. Emergono così soggetti “ottimi”, “discreti”, “sufficienti”, o “insufficienti”; niente di più falso. I docenti dotati e i discenti, tutti o quasi, lo sostengono da sempre.

Possiamo dire, a questo punto, che il gap cognitivo si sviluppa oggi in due dimensioni opposte, ma complementari: in orizzontale perché esistono infatti mancanze e limiti nella diffusione sociale della conoscenza, e in verticale, in quanto la qualità intrinseca delle nozioni e del potere cognitivo trasmesso non sono adeguati alla realtà attuale e tantomeno, di conseguenza, per un’ipotesi futurizzante.

Come conciliare a questo punto la necessità reale di colmare queste lacune, questi gap, con il bisogno di disegnare e creare una struttura educativa e formativa che tenga conto delle individualità dei soggetti discenti, e delle loro possibilità, per quanto diverse, molteplici e variegate esse siano?

L’autore propone di attuare sette nuovi standard da applicare alla società attuale, che a mio avviso non potranno che ottenere un effetto rivoluzionario e fortemente propulsivo, non solo sui singoli individui, m sull’intera collettività, la quale determina ed esprime la nostra cultura.

Il primo obiettivo da raggiungere riguarda l’acquisizione, da parte di ogni studente e lavoratore, del potere di astrazione; ciò significa dotare gli individui di potenti motori logici, i quali escluderanno la possibilità di uno studio e di un apprendimento mnemonico, sterile e fine a sé stesso, per aprire nuove possibilità di esperienze cognitive e ricerche personali. Da questo primo punto segue la necessità di dotare l’ uomo di capacità creativa, la quale abiliterà i soggetti ad uscire dalla routine e dagli schemi impliciti nel lavoro, nello studio, nel pensiero e nelle azioni.

In terzo luogo, al posto dell’attuale schema educativo uniformante, anche perché finalizzato quasi esclusivamente al conseguimento di un titolo, si rende necessaria un’educazione fortemente individualizzata , in grado di dissotterrare e “far fruttare i talenti” di ogni individualità.

Il quarto punto tratta di una realtà deteriore verificabile come tendenza diffusa, e cioè la divisione netta tra fase dello studio e quella del lavoro. Lo standard proposto è l’auto-apprendimento continuo, che verrà nutrito e modellato secondo bisogni e necessità spazio-temporali e desideri.

Il quinto proposito riformante riguarda la velocità e l’autonomia risolutiva. Anche quest’ obiettivo sarà raggiunto mediante addestramenti e prove decisionali.  Dotare gli individui di una competenza cooperativa è missione del sesto punto, raggiungibile, e in parte già attuata, attraverso gruppi di lavoro e progetti comuni. Nel settimo e ultimo standard il prof. Pelando approfondisce il concetto di sviluppo dei talenti, che dovrà basarsi sulla convenzione giuridica del diritto di ogni individuo a godere della disponibilità di ogni risorse atta a sviluppare le sue personali inclinazioni.

Ciò che mi ha maggiormente colpito, al di fuori di questi intenti programmatici rivoluzionari, è l’idea che l’individualizzazione del processo evolutivo e formativo di un individuo implichi la creazione di sistemi docenti tutoriali non umani, in grado di comprendere e sviluppare ogni singola personalità individuale nel modo più consono, armonico e proficuo, unito al fatto che l’elettronica spazia su un territorio infinito e illimitato, il che comporta un totale annullamento dell’ambiente fisico atto all’educazione.

Un altro punto cruciale del saggio riguarda la necessità di gestire con il pensiero forte , caratteristico della “società veloce”, la rivoluzione tecnologica in atto.

La mente, con la mediazione di una tecnologia amica, può giungere al progressivo dominio dell’ambiente.

Le eventuali forti dicotomie tra le tecnologie e le teologie possono essere attutite pragmaticamente, con il compromesso di rispettare il pilastro religioso, ancora fondamentale collante nella struttura sociale odierna.

Se oggi giorno è una realtà e una dinamica evidente e inarrestabile l’affermarsi di un processo omnicomprensivo e mobilizzante della tecnologia, come governare questa espansione, in maniera equa, costante ed equilibrata?

Senza dubbio – sostiene l’autore – non attraverso un pensiero debole, che perseguendo il falso e irraggiungibile obiettivo di non arrecare in modo assoluto alcun danno o ineguaglianza, rallenta e cristallizza in una fase di stasi il pur necessario movimento progressivo implicito nell’evoluzione della tecnica e dell’economia.

La società lente si identifica in misura crescente con la società timorosa e spaventata del pensiero dell’invalicabilità di limiti millenari. Ci ritroviamo nuovamente alle colonne d’Ercole, ma questa volta, se troveremo il coraggio (soprattutto politico) le potremo superare volando, naturalmente a rischio gestito e controllato durante il volo.

Si oppongono, e con una forza indicibile, la bioetica, l’ambientalismo e l’ideologia anti-capitalista, le quali, alleatesi, sono in grado di creare un blocco all’evoluzione tecnologica – e quindi economica – a livello planetario, proprio perché non si è stati ancora in grado di rassicurare la maggioranza con un approccio teorico e pratico convincente e dimostrativo, nonché buonista (purtroppo).

E’ implicito nel progredire del pensiero scientifico, un continuo e radicale superamento dei limiti imposti da teorie precedenti, cosa che esclude a priori la possibilità di un moto rettilineo uniforme, ma che al contrario determina un avanzare a bruschi scatti e rallentamenti altrettanto secchi e improvvisi. Nel presente, tuttavia, è apparsa nello scenario scientifico, la possibilità di un espansione antropica che induce allo stesso tempo a forti riflessioni e inevitabili sgomenti, in quanto per la prima volta nella storia di antropos (per quanto ci è dato sapere), la vita e la materia possono essere analizzate in profondità, capite, cambiate, rielaborate e forse create. Ma per non arrestarsi davanti a un muro ideologico insormontabile, è necessario futurizzare la morale, in modo che essa si adatti armonicamente e senza impatti estremizzanti alla nuova piattaforma tecnologica e scientifico-economica.

La bio-rivoluzione in atto, in primis, costituisce un antagonista formidabile contro la morale vigente, in quanto ,la penetrazione del codice genetico prospetta non solo cambiamenti epocali nel campo medico, chimico e biologico-fisico, ma anche la violazione dei “sacri limiti” di nascita e morte, implicando quindi un nuovo senso della vita. Da qui l’inevitabile necessità di un controllo approfondito e inflessibile de parte di un pensiero politico forte.

Anche la tecno-rivoluzione che si sta aprendo sulla base dello sviluppo delle scienze fondamentali, ha bisogno di disegni progettuali e di controlli attivi e efficaci, attuabili solamente da una società veloce, che dovrà inoltre munire e dotare ogni lavoratore di un potere cognitivo atto a cogliere globalmente le immense opportunità offerte dal nuovo mercato professionale.

Se è verità che questi scenari presuppongono a priori la necessità di muoversi all’interno di un sistema complesso, le cui variabili indipendenti sono pressoché illimitate, è tuttavia innegabile che solo un pensiero forte sa attaccare pragmaticamente la complessità dell’insieme aperto dei problemi. L’unico criterio e l’unica speranza adottabile è il dominio sufficiente, conseguente alla prudenza sufficiente, ma massimizzata: soluzioni limitate e funzionali allo scopo, senza alcuna pretesa di eternità.

Tale equilibrata prudenza può e deve produrre conseguenze costruttive spazio-temporali  neghentropiche, con un bilancio costi/benefici a netto favore dei secondi.

In termini morali e giuridici ci è dato di sognare, a questo punto, che l’individua abbia il diritto di accusare chi nega e blocca la sua possibile salvazione in nome di un falso moralismo oscurantista; l’applicazione delle nuove opportunità può e deve (in nome dell’ordine sociale e di una morale facilmente condivisibile) essere esteso alla massa, e comunque, in casi estremi, devono essere bilanciati i possibili disequilibri latenti.

Pur non ambendo alla totale adesione entusiastica a questa radicale futurizzazione, l’autore si augura però il diffondersi di una nuova cultura che impegni ogni singolarità a un miglioramento qualitativo e estendibile in un futuro non necessariamente immediato.

Presupponendo ottimisticamente di aver superato almeno in buona parte il problema della direzionalità del progresso, sorge il problema di come gestire l’artificializzazione, in atto da sempre, dell’ecologia planetaria.

Se è vero che il successo di antropos è dovuto principalmente alla sua azione razionalmente predatrice sull’ambiente, è vero anche che al giorno d’oggi, il rapporto predatore-preda e il processo artificializzante dell’ecologia stanno superando il punto critico d’equilibrio: basti pensare all’urbanizzazione crescente, all’avvelenamento di aria e acqua, etc.

La soluzione ambientalista, sviluppatasi a partire dagli anni sessanta, come un impasto non omogeneo di vari movimenti non del tutto compatibili, ma uniti nel loro radicalismo, esercita ed ha esercitato una forza politica condizionante, pur limitandosi a proporre soluzioni immobiliste, non sostenibili e non proponibili in un economia capitalista in sviluppo.

Altra tendenza sviluppatesi a fronte del problema ecologico riguarda il “principio di sostenibilità”, vale a dire l’intento piuttosto ingenuo di poter ridurre e compensare l’impatto artificializzante attraverso politiche di compensazione alla distruzione attuata: come dice l’autore: “Come se lo sviluppo capitalistico, posto di fronte a problemi ecologici, rispondesse con una cosmesi.”.

L’assunto diffuso che capitalismo e tutela ambientale siano antagonisticamente incompatibili, non ha finora permesso di vedere la soluzione più ovvia e equilibrata, ossia impiegare più capitalismo e più tecnologia per un impatto controllato dell’attività umana sull’ambiente e di teorizzare un ecologia artificiale completa.

Per chiarire questo punto, l’autore ci offre una serie di esempi propositivi e utili per capire in quale direzione muoversi, per massimizzare risorse e benefici, limitando drasticamente i danni ecologici.

La riforma del cibo sarà uno dei passi fondamentali: intervenendo sulla struttura genetica delle piante, e arrivando a creare proteine animali che sostituiranno per buona parte gli allevamenti tradizionali, si diminuiranno fortemente i costi del cibo, sarà possibile aumentare la produzione, liberando spazi topograficamente enormi, che potranno essere adibiti alla ristrutturazione della varietà biologica ora gravemente sacrificata. Molte le critiche fattibili, che vengono però più che validamente confutate nelle tesi del Prof. Pelanda.

A mio avviso il maggior vantaggio derivante da questa rivoluzione, è determinato dalla totale emancipazione del ciclo umano da quello naturale.

Un secondo esempio di eco-futurizzazione, dettato da evidenti necessità contingenti, e dall’assoluta pragmaticità dell’autore, consiste nella riforma dell’energia, che parte dalla necessità della sostituzione del petrolio (in quanto forma di energia primitiva sporca e assolutamente non rinnovabile), per giungere a un forte potenziamento delle energie alternative, prima tra tutte la nucleare, che pur presentando reali pericoli, sia di gestione che di smaltimento delle scorie, è oggigiorno la forma di energia più evoluta e pulita di cui disponiamo.

Certamente per elevare gli standard di sicurezza, va applicato il famoso concetto di “prudenza sufficiente”, ma massimizzata, unito a importanti investimenti e iper tecnologie. Se una politica forte prenderà questa direzione, probabilmente sparirà anche il terrore diffuso del nucleare.

La riforma degli insediamenti è il passo successivo, indubbiamente non meno importante dei precedenti. L’autore, conscio del probabile  aumento esponenziale del tasso demografico planetario, propone unità abitative a sviluppo verticale, dotate di tecnologie e materiali futuribili, relegando i trasporti e le produzioni nel sottosuolo.

L’abbandono della rete stradale dipenderà fortemente dallo sviluppo dei mezzi aerei, sostitutivi degli attuali mezzi di trasporto. L’autore non esclude però il sorgere di fortissime resistenze a tale progetto futurizzante, specie per i costi ad esso correlati.

Considerando le riforme proposte, si giunge all’inevitabile conclusione che, per un armonica coesione e inter-indipendenza (concetto solo apparentemente contraddittorio e paradossale) tra antropos e natura, quest’ ultima debba essere ridisegnata e rigenerata attraverso la mediazione della mente umana, parte inscindibile di essa e sua avanguardia. La riprogettazione interesserà il piano idrico, il rafforzamento della biosfera, e la reingegnerizzazione del territorio.

L’autore ipotizza infine la necessaria creazione di istituzioni globali, atte a garantire il buon governo di questa nuova ecologia artificiale, e la corretta evoluzione dei piani rimodellanti del pianeta stesso. L’istituzione futuribile che maggiormente mi ha colpito è HOME (Holistic Model Of Earth). Questa avrà il compito basilare e necessario di creare un modello simulato dell’intero pianeta, con una risoluzione inverosimilmente precisa, allo scopo di integrare e legittimare l’attività di ricerca scientifica globale e certificare con esattezza e assoluta veridicità le informazioni necessarie alla politica per operare in un contesto così vitale e delicato.

Delle sette missioni individuate dall’Autore in “Futurizzazione”, ho modestamente trattato quelli che maggiormente mi hanno colpito per la loro assoluta novità e lungimiranza, senza però voler togliere nulla all’importanza e all’interesse suscitato degli altri punti proposti.