18/08/2001

IL PUNTO per gli amici  UN PATRIMONIO DI CREDIBILITA’    n°22 27/7/01                

Ogni anno, largamente inascoltato dal Governo in carica, Fazio è andato criticando l’insufficiente sviluppo produttivo e l’investimento estero diretto quasi nullo a causa della rigidità della regolamentazione garantista sul lavoro. Mille volte ha ripetuto la necessità di ridurre la spesa pubblica corrente attraverso riforme strutturali di pensioni e della sanità e non soltanto con interventi correttivi di breve periodo. Ha persino preconizzato livelli salariali ridotti nel Mezzogiorno per adeguarli alla produttività (donde il premio Tarantelli) e troppe volte lamentato il minor sviluppo del pil italiano rispetto a quello europeo. Ma martedì scorso Fazio ha osato dire che la politica di centro-sinistra ha portato ad una crescita più bassa della media europea. Apriti cielo! Pier Luigi Bersani ha parlato di dichiarazioni stupefacenti, perchè il centrosinistra è riuscito ad arrivare l’anno scorso e quest’anno a risultati nella media europea. Eppure in dieci anni la crescita media è stata dell’1,5% soltanto e l’Italia ha perso almeno 10 punti percentuali di crescita. Il linguaggio di Fazio era sempre stato ovattato, ma non ha mai taciuto. Eppure  Enzo Biagi, che non conoscevamo attento lettore delle Considerazioni finali dei Governatori, ha scritto che   se la politica del centro-sinistra non ha fatto crescere l’Italia ciò è avvenuto con la “silenziosa complicità” di Fazio.  Lo stesso ex-consigliere economico di D’Alema e poi di Visco – ottimo economista – ha dichiarato in un intervista che fino alla creazione della BCE, la politica economica, assieme al Governo, la faceva la Banca d’Italia. Ma noi sappiamo che da troppi anni la politica economica è imposta al Governo dai sindacati e dai loro diktat, sindacati che oggi nessuno tocca per non ricompattarne il fronte.

               E’ un peccato che il cartello elettorale del centro-sinistra sia incapace di critiche costruttive. Gli attacchi attuali a Fazio rischiano di distruggere il patrimonio di credibilità costruito dalla Banca d’Italia in questi anni, senza averne nulla in cambio: solo un danno al paese! Di critiche costruttive ce ne sarebbero parecchie. Tra esse, la piccola furbizia di raccontare che l’Italia manterrà l’impegno di un indebitamento netto allo 0,8% del pil per il 2001, quando tutti sanno che si chiuderà  con l’1,7% o peggio, perché manca il tempo per tagli ad effetto immediato e c’è per di più la volontà politica di non mettere sul tappeto i grandi problemi della riforma pensionistica e della sanità prima dell’autunno per non inasprire le parti sociali. Si aspetta di ammettere l’ inadempienza italiana senza perdere la faccia, ossia di farlo solo quando lo dichiareranno anche la Francia e la Germania sia pur per “buchi” meno ampi. Ma questi paesi stanno già manovrando per modificare l’interpretazione dei parametri dell’accordo di stabilità (rapporti medi nella fase del ciclo e non tassativi anno per anno) prima di aver azzerato la media del rapporto deficit/pil. Questo trucco farebbe spazio alle spese demagogiche prelettorali dei socialisti francesi e tedeschi. Il pericolo che loro vogliono sventare è che l’esempio italiano di una nuova politica economica (meno tasse e meno sprechi) possa aver successo e quindi faccia scuola.   Fabius ed Eichel  tendono quindi ad un rilancio attraverso il deficit spending “temporaneo”. Se l’Italia si affianca agli altri due nell’annuncio del non rispetto dei parametri attuali, rischia di essere coinvolta non solo nei fatti, ma  forse persino nei passi  successivi, perché un deficit spending non è temporaneo se si consolida in maggiore inflazione e in un euro ancora più debole. In questo clima, la formula tremontiana rischia di tramontare.                                          Livio Magnani