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Stato e guerra: elementi di modello sistemico

di Carlo Pelanda (1987)

 

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La letteratura sullo Stato, e sulla guerra in riferimento ad esso (1), tende ad essere concorde—pur nella sua varietà di stili ed opzioni teoriche alternative—al riguardo dell'individuazione delle dimensioni essenziali dell'oggetto di studio. Esibisce, tuttavia, I'assenza di un modello generale semplificato. Nelle righe seguenti produrremo una progressione verso tale modello (2).

Tale sistemica non parla di sistemi chiusi nel senso di "isolati"; dà enfasi al processo di chiusura - ed all'autoriferimento - come dimensioni essenziali dei sistemi stessi.

 

1. Il modello essenziale di Stato come ordinatore negativo dei processi positivi

1.1. L'architettura essenziale del concetto di Stato è basata su tre elementi fondativi: I'esercizio della sovranità; I'imposizione del rispetto dell'ordinamento attraverso punizione; I'organizzazione politica positiva dello Stato stesso.

I primi due ne costituiscono il fondamento "negativo" (3):

  • l'azione sostanziale e comunicativa di esclusione (codificata formalmente nel principio di sovranità) realizza il dominio dello Stato entro i limiti da esso fissati; tale azione è "negativa" in quanto semplicemente esclude per estraniazione a priori qualsiasi altra autorità diversa da quella dello Stato stesso entro il campo (territoriale, di interessi, ecc.) da esso definito. La conservazione dello Stato sulla base di tale principio d'azione ha carattere intrinsecamente conflittuale contro tutto il resto;
  • l'azione sostanziale e comunicativa di punizione (codificata formalmente come diritto perfetto) realizza lo Stato in termini di organizzazione sociale omogenea tenuta insieme da "legami negativi". A tale, specifico livello i soggetti sociali esistono solo come entità individuate da limiti di comportamento ammesso in riferimento ad un codice generalizzato. Non esistono in quanto soggetti pienamente titolari di una complessità di desideri; possiedono una forma di "responsabilità" piena solo in quanto potenzialmente colpevoli di una violazione. Questa forma negativa della titolarità di responsabilità rende eseguibile la riduzione convenzionale degli individui a soggetti organizzabili in riferimento ad un criterio omogeneo (es.: cittadini) trascendente la volontà positiva contingente dei singoli.

1.2. Riteniamo utile - per fini di modello - vedere questi principi in termini di "macchina" ordinatrice che pone solo limiti negativi ai comportamenti. E peculiare di tale macchina la semplicità dei criteri: questa non dice che cosa deve essere fatto, comunica solo quello che non deve essere fatto attraverso la definizione di una sanzione; non delega a linguaggi complessi i contenuti e gli sviluppi della propria sovranità, ma semplicemente, esclude qualsiasi altra cosa dal proprio campo di dominio.

La "semplicità" consiste nel fatto, appunto, che questa macchina comunica solo attraverso (I'impiego e la minaccia della forza) in riferimento ad un limite. In tal senso tale componente di fondamento negativo dello Stato esistono solo nemici potenziali all'esterno e possibili colpevoli all'interno.

L'utilità di isolare i fondamenti negativi dello Stato da quelli positivi consiste nella generazione della possibilità di trattare separatamente i concetti di Stato come "strumento ordinatore" e quello di Stato come organizzazione ed azione politica positiva.

Troviamo infatti che il complesso "Stato" sia formato da due sistemi ordinatori integrati, ma indipendenti: per comodità, quello negativo e quello positivo. La distinzione che proponiamo non ha nulla a che vedere con quella tradizionale tra sistemi formali e "sostanziali", tra apparato giuridico e politico, tra diritto positivo e negativo, ecc. Riguarda i modi sistemici delle procedure di ordinamento.

L'ordinamento negativo, come accennato, avviene attraverso procedure altamente semplificate: la comunicazione del limite e l'imposizione del rispetto di esso attraverso la forza. Tale procedura può essere vista come strumento "equalizzatore" elementare della varietà sociale in riferimento ad una titolarità centrale unica del comando (proprietà). E, in altre parole, uno strumento del "comando" indipendentemente dai contenuti dello stesso.

E meglio dire che si è evoluto—nei millenni—un sistema culturale che codifica il "metodo negativo" come criterio sia per rendere omogeneo in riferimento ad una fonte di autorità un campo sociale sia per mantenerne l'autonomia e l'integrità dall'esterno.

Il riferimento di meccanismi evoluzionistici implica che varianti diverse dal metodo negativo di ordinamento—eventualmente generatesi —sono state eliminate per selezione nel corso della storia dei sistemi culrali e sociali. La spiegazione evoluzionistica—correttamente intesa (4) non ammette la ricerca di criteri fissi ed invarianti del successo seletti vo (e diffusivo). Pertanto, il fatto che la grande maggioranza delle organizzazioni sociali sul pianeta sia fondata su ordinamenti negativi non vuol dire affatto che tali procedure siano la chiave assoluta del successo selettivo stesso. Vuol dire solo che altre varianti o non si sono generate, o, se generate, sono state selezionate negativamente per una qualche ragione.

Questo non significa, ovviamente, che il ricercatore non debba tentare di individuare i motivi dell'esito di perpetuazione selettiva di un dato sistema culturale entro un certo ambito spazio-temporale.

Ciò che colpisce di più nella procedura di ordinamento negativo è, come già detto, I'estrema semplicità a livello di comunicazione ed organizzazione delle funzioni di controllo.

Trattando la cosa in modo banale, si pensi alla quantità di energia, conoscenza ed informazione richiesta da una procedura di ordinamento della varietà che escluda la forza ed il riferimento esclusivo al limite negativo. Per esempio, I'alternativa della procedura per accordi positivi implica il riconoscimento della complessità dei desideri delle parti, implica la continua revisione del codice comune di riferimento, ecc. Implica, in sintesi, un consumo di risorse culturali e materiali molto maggiore che non l'esercizio della violenza e relativa minaccia. In altre parole l'ordinamento negativo è un'azione di minimo sforzo per ottenere l'ordinamento stesso.

Infatti è molto più "semplice" comunicare un limite che non l'intero contenuto di un complesso; è molto più semplice comunicare l'esistenza di tale limite attraverso deterrenza che non mediante convincimento positivo generalizzato.

L'ordinamento negativo, pertanto, sembra essere—in quanto parte è difficile stimarlo—una implicazione del requisito di economia delle risorse.

Con questo vogliamo solo sottolineare che la selezione sociale e culturale sembra aver premiato—contingentemente—il modo negativo dell'ordinamento come meccanismo essenziale generalizzato di statizzazione ed omogeneizzazione dei gruppi sociali. E così pare essere stato — anche — per la peculiare efficacia del regime di "minima dissipazione relativa" delle risorse necessarie per eseguire l'ordinamento stesso.

In tal senso i fondamenti negativi dello Stato appartengono ad un sistema culturale remoto che persiste da millenni come strumento— variamente codificato—per organizzare un collettivo antropico all'interno e mantenerlo autonomo in riferimento all'esterno.

 

1.3. Una delle caratteristiche principali del meccanismo di ordinamento negativo—il motivo per cui lo abbiamo isolato—è che esso tende a persistere come modulo organizzativo, indipendente dalla varietà di assetti dinamici che costituiscono il contenuto politico positivo dello Stato. L'ordinamento negativo, in altre parole, tende ad essere invariante in qualsiasi forma di organizzazione statuale. In tale prospettiva esso esibisce ipoteticamente la proprietà di essere il precursore essenziale, anche se non intrinsecamente bastevole, della complessità positiva afferente al concetto di Stato. Lo Stato, visto complessivamente, è un'unità costituita da due ordinatori: quello negativo assicura le funzioni essenziali ("dure") di ordinamento base, stabili le quali si dispiega e sviluppa il contenuto politico dello Stato stesso in forma di azione collettivamente integrabile.

Insistiamo sulla dominanza del primo ordinatore in quanto esso si configura come metodo—relativamente invariante—di omogeneizzazione e stabilizzazione di un corpo sociale. Lo Stato, cioè, non sarebbe "Stato" senza l'esecuzione dell'ordinamento negativo posto a sostegno di un qualsiasi assetto dei suoi contenuti positivi.

1.4. Il modello che stiamo strutturando, pertanto, individua il complesso "Stato" come sistema costituito da due momenti ordinatori inte grati, ma indipendenti, dove il primo opera attraverso la comunicazione per limiti negativi (ordinatore negativo) mentre il secondo costituisce l'organizzazione generativa di processi positivi (ordinatore positivogenerativo).

Con metafora, si può dire che l'ordinatore negativo sia lo "hardware" Stato la cui messa a regime fa da base alla varietà di "software" intesi come tipi di organizzazioni politiche dello Stato stesso (cioè i suoi ordinatori positivi-generativi).

Continuiamo la strutturazione del modello cercando di vedere il meccanismo di relazione tra i due momenti ordinatori a partire da una (ri)specificazione essenziale del modo di funzionare del prim0

In termini "macchina" (forse sgradevoli nel loro riduzionismo, ma comodi per catturare un concetto con presunto status strutturale) I'ordinatore negativo opera esclusivamente come procedura di fissazione dei limiti e manutenzione degli stessi attraverso un codice univocO di (ri)normalizzazione (la "forza").

Data una complessità di elementi, in altre parole, I'ordinatore negativo impone una griglia chiusa in cui ciascun elemento diviene rilevante per l'ordinatore stesso solo in riferimento al limite. Ad ogni elemento il limite viene comunicato attivamente attraverso una rinormalizzazjo ne reale (forza esercitata) o ipotetica (deterrenza).

Qui il principio di economia, come già accennato, sarebbe evidente: tutta la complessità sociale viene ridotta a problema di organizzazione di limiti e di mantenimento della conformità ad essi. Questa "macchina" produce la "statizzazione" di un campo sociale. La sua semplicità è basata sul fatto di essere organizzata per riconoscere solo due stati: dentro o fuori il limite ed accendersi solo nel secondo caso eseguendo una rinormalizzazione univoca in riferimento al limite stesso.

L'ordinatore negativo è la forma pura dello Stato in quanto strumenti di "statizzazione" attraverso inquadramento per limiti di un qualsiasi complesso di azioni sociali positive comunque evolventesi.

In particolare, I'ordinatore negativo genera nella sostanza (indipendentemente dalla forma giuridica) lo Stato in quanto soggetto depersonalizzato. Lo genera "in negativo" come regime comunicativo ed esercitato di limiti generalizzati.

Il tipo di "ordine" prodotto dall'ordinatore negativo è solo un'organizzazione di soglie attive (creazione del limite ed esercizio della forza in riferimento a questo). Esso non vincola positivamente un assetto sociale, lo esegue esclusivamente conservando lo Stato come organizzazione di limiti.

In sintesi la forma pura dello Stato è un'azione di "chiusura sistemica" continuamente esercitata.

In termini realistici l'esercizio di tale forma pura richiede esse~ al mente un soggetto di proprietà dotato di risorse distribuibile ad una organizzazione operativa della forza in modo tale da generalizzare la "comunicazione" dei limiti attraverso punizione e ottenere la chiusura del (socio)sistema in riferimento alla proprietà stessa, resa così auto(ri)generativa.

L'ordinamento negativo come forma pura dello Stato si è stabilizzato evoluzionisti-camente come "metodo della proprietà".

1.5. Tornando al punto, l'ordinatore negativo non è di per sé un integratore diretto di un campo sociale. Esso, infatti, per natura intrinseca, non comunica alcun contenuto "positivo". Tale ordinatore, essenzialmente, tende a vincolare i contenuti sviluppati dagli "ordinatori positivi-generativi" a strutturarsi in forme comunicabili (ed esercitabili) in riferimento negativo al limite. Ma non tutti i contenuti automati camente. Solo quelli che, contingentemente, vengono volta per volta incorporati nell'ordinamento positivo della proprietà del (socio)sistema. Questa frase oscura vuol sintetizzare il seguente processo:

  • in un campo sociale emerge continuamente (non "continutisticamente") una certa varietà di sistemi culturali: religiosi, linguistici, tecnologici, relativi all'organizzazione della riproduzione bio-sociale, ecc.;
  • parte di tale "nuova" varietà viene incorporata per selezione positi va nel regime di proprietà (o lo diviene) in termini di valori orientativi; configurandosi come ordinatore-integrativo potenziale (in quanto insieme di valori incorporati nel soggetto detentore della forza ed in tal senso potenzialmente eseguibili);
  • tale nuova varietà incorporata per selezione dal regime di proprietà reale diviene "ordinatore positivo realizzato" (niente a che fare con il concetto di "diritto positivo") dello Stato solo quando operazionalizzata attraverso i circuiti di forza e di riferimento al limite dell'ordinatore negativo, e in tal senso statizzata.

Riteniamo che questa descrizione ridotta possa rappresentare efficacemente l'interazione tra ordinatore negativo e positivo-generativo che, congiuntamente, realizzano lo "Stato" come complesso orientativo di un campo sociale.

1.6. Il punto essenziale è che gli ordinatori positivi dello Stato, cioè i sistemi culturali che integrano direttamente e in positivo l'azione sociale, vengono "statizzati" (generalizzati, diffusi in maniera omogenea, vincolante ecc.) alla luce di un doppio processo selettivo: una volta generati su base evoluzionistica-spontanea vengono selezionati alla luce dei criteri della "proprìetà politica"; poi vengono realizzati in forma forte alla luce della selezione trasformativa delpordinatore negativo che li operazionalizza in forma generalizzata.

In sintesi lo Stato è complessivamente una macchina dove la realiz zazione "statizzata" dell'ordinamento positivo-creativo incorporato per selezione nel regime di proprietà reale viene vincolata ai requisiti delI'ordinamento negativo, ovvero ai criteri della chiusura operativa in riferimento al limite.

Il nucleo essenziale della macchina Stato, pertanto è l'ordinamento negativo dei processi positivi.

Vediamo ora come tale esibizione di modello orienti in modo a se coerente un discorso sulla guerra.

 

2. Dallo Stato alla guerra

2.1. L'assetto per ordinamento negativo dei processi positivi della macchina Stato è un precursore strutturale (non l'origine della violenza né la causa diretta o indiretta di un conflitto) della guerra. Lo è nelI'ambito di un problema squisitamente comunicativo vincolato dall'architettura intrinseca della macchina stessa.

Come già detto la forma pura dello Stato vincola la comunicazione dell'autonomia (di per sé un fattore di ordinamento positivo) in termini di esclusione assoluta di qualsiasi altra fonte di dominio al suo interno. In altre parole la sovranità è un'azione di estraniazione potenzialmente conflittuale in quanto strutturalmente organizzata dallo Stato come limite (comportamentale, territoriale, ecc.) negativo comunicato attraverso la forza o la minaccia del suo impiego, e in tal senso, "statizzata" .

La messa a regime di un ordinatore negativo, in altre parole, implica la guerra—potenziale e reale—come strumento fondamentale di comunicazione tra Stati. Ovviamente il contenuto di questa frase vuole avere carattere esclusivamente essenziale, cioè punto di partenza generativo di deroghe e variazioni cumulate che poi danno "carne" ad un modello realistico ipoteticamente adeguato alla complessità.

Tuttavia, la base del rapporto essenziale tra Stato e guerra consisle nel fatto che la persistenza del primo implica la conservazione del potenziale della seconda.

Diamo enfasi ad un contenuto scontato solo per agganciare ad un modello radicalmente sintetico la ricerca dell'ipotetico bandolo della matassa (che prima di tutto appunto, è questione di "modello").

2.2. Sembri banale o meno, una parte del "bandolo" è costituita dal fatto che fino a che persistono Stati fondati negativamente il potenziale di guerra rimane attivo in quanto struttura essenziale per la comunicazione della sovranità e relative estensioni.

Il punto sostantivo di partenza delle relazioni tra Stati è costituito, pertanto, dalla guerra. La guerra in potenza è l'ordinatore negativo che integra gli Stati attraverso una griglia comunicativa predisposta per veicolare, nella sua forma essenziale, la forza e la deterrenza basata su di essa. Tale predisposizione generale è basata sull'isomorfismo ~degli Stati in termini di fondamenti negativi.

3. Su Stato e guerra alla luce dell'interazione canonica tra ordinatori positivi e negativi

Fissa questa forma pura del regime internazionale, la domanda principale, ora, è se gli ordinatori positivi possano sostituire il regime ~di guerra latente come struttura relazionale essenziale. Le alternative rilevanti in tal senso sembrano essere principalmente, tre: (a) I'azione positiva dello Stato nazionale-imperiale; (b) I'azione positiva di integrazione sovranazionale formale; (c) l'azione politica di integrazione sovranazionale informale.

3.1. (a) L'azione dello Stato nazionale-imperiale è fondata su un ordinatore positivo di teoria politica che ammette o impone, comunque orienta, l'estensione di sovranità attraverso conquista e normalizzazione di un repertorio di organizzazioni statuali fino al limite della saturazione planetaria. La traiettoria di sostituzione, in questo caso, implicherebbe la progressione verso la formazione di un unico Stato-Impero globale fondato negativamente entro cui i conflitti sarebbero resi oggetto solo di operazioni interne di polizia, ottenendo una eliminazione delle guerre con gli Stati come soggetti. I tentativi svolti in tal senso nel passato (Impero romano, cinese - la cui teoria politica positiva considerava tutto il mondo già proprietà dell'impero stesso, la Spagna di Carlo V, la Francia di Bonaparte, I'Impero "inintenzionale" britannico, ecc.) si sono risolti in fallimenti che, al più, hanno prodotto una "rinazionalizzazione" dei nuclei statuali in espansione

I fattori di selezione negativa che hanno generato tali fallimenti sono molteplici e non sintetizzabili in un'unica chiave selettiva fissa. E stato tuttavia rilevante nel più dei casi sia il debito strutturale di risorse reali per il sostegno dell'azione imperiale sia la difficoltà di statizzare un dominio attraverso ordinatori negatívi non appoggiati da integratori positivi informali (religiosi, economici, ecc.).

L'azione di integrazione imperiale globale è oggi possibile, a livello di scala di risorse, solo per gli Stati-Imperi statunitense e sovietico. Ma molti segnali lasciano intendere che tale tentativo non venga perseguito sostanzialmente, nonostante l'assetto strategico dello Stato sovietico e la sua strutturazione in termini di economia di guerra, da un lato, e la dominanza culturale ed economica statunitense dall'altro Anzi i due Stati-Imperi sembrano correntemente convergere verso una spirale di rinazionalizzazione del loro assetto politico, owero di decadenza.

Se solo visto così, tale caso indicherebbe che la possibilità di un conflitto atomico reciprocamente terminante comporti la sospensione della guerra come mezzo positivo di integrazione globale. Se visto in altro modo si potrebbe dire che lo "stallo" atomico stia generando un'evoluzione della guerra più in senso di dominio economico con mezzi economici. Allora potrebbe riprendere teoricamente la traiettoria di dominio globale, con l'entrata di più soggetti in competizione tuttavia. Ecc.

3.1.1. L'azione di dominio globale alimentata da un ordinatore positivo di carattere imperiale-globale sembra essere strutturalmente limitata (anche) dai vincoli delle procedure di ordinamento negativo, in più forme.

La guerra di dominio globale pare avere come limite intrinseco essenziale il modo di statizzazione negativa del dominio stesso. Tale modo, operando per limiti negativi, non genera di per sé integratori formali e informali positivi complessivamente adeguati lasciando così metastabile - normalizzazione incompiuta - il campo sociale conqui stato, cioè esclusivamente sensibile all'ordinamento per forza.

A risalto di ciò serva la segnalazione che le uniche guerre di dominio che abbiano prodotto—recentemente statizzazioni altamente stabilizzate sono risultate quelle di "unificazione nazionale" (la conquista dell'Italia da parte del Piemonte, quella della Germania da parte della Prussia, quella dell'America settentrionale da parte degli Stati dell'Unione, la normalizzazione sovietica della Russia immediatamente postrivoluzionaria, ecc.). La statizzazione del dominio a seguito di tali guerre, infatti, è stata predisposta o aiutata da un vasto repertorio di integratori positivi informali contemporaneamente o preventivamente in atto: linguistici, ideologici, ecc. In tal modo l'azione di ordinamento negativo esaltava selettivamente lo sviluppo dell'integrazione positiva in quanto già potenzialmente attiva e, grazie a questo, poteva realizzare una statizzazione stabile.

Per rendere significativa la guerra di dominio globale in riferimento alla probabilità di statizzazione estesa sarebbe necessario o compiere un lavoro preventivo di integrazione informale (per es. ideologica) del campo globale o distruggere totalmente la "memoria" nei sociosistemi conquistati via guerra, normalizzando le nuove generazioni in conformità al repertorio positivo del conquistatore. Il che - anche se tecnicamente progettabile - implica un'organizzazione di risorse cognitive e materiali attualmente di improbabile mobilitazione, anche qualora si sviluppasse una teoria positiva in tal senso in qualche Stato.

Comunque qui si vuole principalmente sottolineare che l'azione imperiale-nazionale di integrazione globale è seriamente compromessa strutturalmente dai limiti dell'ordinatore negativo in riferimento all'esito statizzante complessivo che ne sarebbe lo scopo.

3.1.2. Tali limiti, poi, sono esaltati nel momento bellico vero e proprio. La guerra condotta da Stati tende ad essere vincolata, al mantenimento del riferimento all'identità positiva ordinata negativamente, cioè in modo escludente tutto il resto. Il discorso è complicato se così ristretto. Comunque si vuol dire che nel momento bellico uno Stato tende a restare "rigido" per conservazione inerziale delle funzioni esclusive di ordinamento negativo.

Trova, in altre—più semplici—parole, un limite intrinseco nella tendenza a conservare la propria "bandiera". Ciò—massimizzando le controreazioni -esclude il cumulo progressivo di forza bellica e potenziale statizzante attraverso consenso extra-nazionale, ovvero per mtegratori positivi crescenti al crescere estensivo dell'azione di dominio.

Per esempio, parte della forza di Napoleone consisteva nel fatto che la comunicazione del progetto imperiale trascendeva la dimensione nazionale esclusiva della Francia in quanto la Francia stessa —per certo tempo—simboleggiava una aggregazione di nuovo contenuto, estendibile—in quanto accettabile—extra-nazionalmente. In tal modo cumulava risorse spontanee per incrementare il potenziale di dominio.

Più chiaro, a contrario, il caso tedesco—nella 2° guerra mondiale —dove il riferimento esclusivamente nazionale—estraniante il resto —non ha acceso alcun cumulo spontaneo e positivo di risorse extranazionali (Austria a parte) all'azione bellica di dominio, costringendo l'apparato a fare conto solo sulle proprie forze, stanti altre collaterali ordinate solo negativamente. Cioè una perdita secca aprioristica di potenziale di dominio.

Quello che vogliamo dire è che un'azione imperiale di dominio globale è basata sul requisito della correlazione tra incremento dello sforzo bellico e cumulo progressivo delle risorse integrate positivamente, stante il fatto che le risorse iniziali di uno Stato, grande che sia, non sono sufficienti da sole a reggere l'impegno di dominio globale. Pertanto un progetto imperiale globale ha come requisito, per dire, la trasformazione continua dei "dominati" in "dominatori". L'azione in altre parole, ha significato se continuamente rialimentata da risorse progressive attratte per "simpatia".

Il modo di ordinamento negativo, nella sua caratteristica di macchina che comunica estraniazione, è un vincolo strutturale che impedisce la "simpatizzazione" dell'azione globale di dominio. Esclude, cioè, il vantaggio ideologico diffuso morale a favore dell'aggressore.

In tal senso, per rispettare il requisito di "integrazione incrementale continua dell'azione di dominio globale", uno Stato fondato negativamente dovrebbe trasformarsi strutturalmente nel corso dell'azione stessa, eliminando gli ordinatori negativi della propria struttura e generando, così, una configurazione aperta a ricevere un massimo di nuova varietà positiva (configurazione per attrattori positivi).

Il paradosso qui individuato dice che uno Stato per impegnarsi nelI'azione imperiale globale dovrebbe modificare radicalmente la propria struttura rinunciando ai suoi ordinatori negativi, ovvero alla sua forma pura. In tal modo il regime comunicativo dell'azione sarebbe totalmente orientato da ordinatori positivi (ordinamento positivo dei processi negativi. Es.: guerra santa). Con battuta, si può dire che un impero globale può essere costruito—inizialmente—solo da un non-Stato. Tuttavia queste considerazioni ci servono solo per sottolineare che la guerra organizzata da uno Stato tende ad essere invariantemente limitata dai vincoli di ordinamento negativo, costitutori e conservatori essenziali dello Stato stesso.

Lo Stato fondato negativamente, in altre parole, tende a dare una forma alla guerra tale da renderla intrinsecamente limitata in riferimento a scopi di statizzazione globale stabile.

Salva l'eccezione dello Stato che intraprende un'azione aberrante di distruzione totale del campo sociale oggetto di dominio globale potenziale.

3.1.3. In sintesi, la strutturazione dello Stato come "ordinamento per negativi dei processi positivi" genera dei vincoli di carattere fondamentale (cioè modificabili solo trasformando l'architettura base dello Stato stesso) in riferimento sia ad eventuali traiettorie di "statizzazione globale" sia all'azione bellica-imperiale in funzione della "statizzazione globale" stessa, ovvero l'ottenimento di una "pax" complessivamente stabilizzata.

Tali limiti appartengano proprio alla struttura profonda dello Stato. La dominanza degli ordinatori negativi su quelli positivi (ciò che "statizza" lo Stato) implica che l'azione espansiva dello Stato tende ad essere conservativa dello Stato stesso, mantenendo strutturalmente limitato il potenziale di integrazione della varietà positiva a se esterna.

In tal senso lo Stato sembra essere intrinsecamente strutturato per la "difesa" (della proprietà) di un campo sociale stabilizzato più che per l'azione di dominio espansivo.

Il soggetto "Stato" tende a generare "guerre intrinsecamente autolimitate" (indipendentemente dalla loro globalizzazione o livello di intensità distruttiva).

Lo Stato, in sintesi, tende a stabilizzarsi quando diviene statizzazione di una nazione (intesa come campo sufficientemente omogeneo di integratori positivi spontanei già operanti).

In tutti gli altri casi il dominio contingentemente perseguito ed inizialmente ottenuto attraverso integratori negativi tende a permanere in assetto metastabile.

A questi, vanno aggiunti altri fattori che perfezionano il principio senza, per altro, violarlo:

  • i limiti dell'ordinamento negativo tendono a rendere lo "Stato" produttivo di altri Stati, più che di impero organico omogeneamen te espansivo, anche nell'ambito di una diffusione estesa e stabilizzata del medesimo insieme di integratori positivi (religiosi, linguistici, culturali in genere, ecc.; es.: la de-evoluzione del potere centrale e rinazionalizzazione negli imperi romano, arabo, cinese, spagnolo, ottomano, britannico e i prossimi);
  • l'integrazione negativa a seguito di un'espansione extra-nazionale tende a comportare una statizzazione alternativa degli integratori positivi sottoposti all'ordinamento negativo "straniero". In parole più semplici, un campo sociale originariamente de-statizzato tende a riorganizzarsi in forma nazionale forte, ed a statizzarsi "contro>) sotto la pressione dell'ordinamento negativo attuato da un dominatore "esterno" sugli integratori positivi indigeni. Lo Stato espansivo tende, cioè, a (ri)trasformare in Stati a se localmente alternativi organizzazioni sociali non-statizzate (es.: i molti casi di neonazionalizzazione alternativa e conflittuale entro i domini coloniali). Anche qui lo "Stato" in espansione tende a produrre altri Stati piuttosto che una stabilizzazione omogenea a sé riferita.

Il discorso potrebbe continuare a lungo nell'ambito della esplicitazione dei fenomeni limitativi che si ritengono generati alla luce del (modello relativo al) modo negativo di ordinare i processi positivi che costituisce la struttura intrinseca dello Stato, conservato nelle azioni intraprese dallo Stato stesso come soggetto.

Tuttavia, qui il tema è so!o servito a mettere in luce l'improbabilità di natura intrinseca e strutturale che una traiettoria di pacificazione globale possa essere condotta come statizzazione complessiva a seguito di un'azione bellico-imperiale da parte di uno Stato o coalizione di essi.

3.2. (b) L'azione di integrazione sovranazionale formale è un'alternativa globale che non comporta l'eliminazione degli Stati, ma il loro allineamento generalizzato alla luce di un ordinamento positivo mondiale basato sul riconoscimento di un'agenzia centrale.

Tale alternativa, se vista alla luce del modello generale di Stato qui impostato, implicherebbe la rinuncia degli Stati stessi a comunicare i propri interessi nazionali attraverso la guerra potenziale o reale nelI'ambito di garanzie centralmente controllate. Implicherebbe, in altre parole, una riforma sostanziale (e contemporanea) dei fondamenti negativi dello Stato in ciascun Stato.

Comporterebbe, in particolare, la delega delle funzioni di sovranità (sicurezza, autogaranzia tramite deterrenza dell'interesse nazionale, ecc.) ad un'unica dimensione centrale.

I tentativi finora fatti in tal senso sono due: la Società delle Nazioni e l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Ambedue sono da considerarsi dei fallimenti in quanto configuratisi come luoghi dove la guerra è rimasta il principale mezzo comunicativo tra Stati, complessivamente inoperativo a livello di funzioni regolatrici sostanziali.

3.2.1. Il nostro filo generale di discorso è basato sulla stima ipotetica di quanto gli ordinatori positivi dello Stato possano forzare quelli di fondamento negativo, ovvero quelli primariamente statizzanti (e viceversa).

Al riguardo non c'è nessuna ragione teorica—alla luce esplicita ed implicita del nostro modello base—che vieti la possibilità della migrazione degli ordinatori negativi dei singoli Stati verso una agenzia centrale, di essi globalmente sostitutiva in termini potenziali.

Il modello, in questo caso, rende centrale il problema della Statizzazione globale. Essa può rinunciare al modo negativo di organizzare centralmente i campi sociali nazionali (federazione, unione, ecc., qui non importa) solo se viene individuato un ordinatore positivo integralmente sostitutivo del modo negativo.

Come si è già recitato, il motivo ipotetico del successo selettivo dei fondamenti negativi che "statizzano" una organizzazione sociale è basato sul fatto che la loro funzione ordinatrice richiede un minimo (relativo) di risorse (materiali, informative, cognitive, organizzative, ecc.). Per estensione—di cui qui è inutile analizzare ogni singolo passaggio—si può inferire in via ipotetica che l'ordinatore positivo integralmente sostitutivo del modo negativo possa essere realizzato (o emergere in termini di prodotto evoluzionistico spontaneo) solo se precorso dall'instaurarsi di un regime di risorse infinite.

In tale regime ogni unità sociale potrebbe comunicare il proprio complesso di desideri autogenerato e non essere vincolata dal riferimento al limite; I'economia coinciderebbe con decisioni legate solo al gusto contingente del decisore; al di fuori, pertanto del vincolo della proprietà come momento egotico-autoconservativo escludente, ecc.. E fondamentale sottolineare che tale scenario sarebbe solo un precursore dell'efficacia ordinatrice positiva, non una sua conseguenza necessaria (non è ammissibile, infatti, una relazione causale diretta tra regime delle risorse e contenuto qualitativo dei sistemi culturaliè ammissibile una relazione "evoluzionistica" nel peculiare ambito delI'analisi ex-post delle perpetuazioni selettive). Comunque, resti qui il fatto ipotetico (coerente all'impostazione di modello) che un regime di risorse infinite sia un precursore essenziale della sostituzione dei fondamenti negativi.

Se tale regime di risorse infinite (e altri fattori di contenuto culturale) non viene ottenuto, allora qualsiasi integratore positivo, per stabilizzare un campo sociale, deve essere selezionato alla luce dei requisiti degli ordinatori negativi (come già mostrato per cenni nella descrizione essenziale del modello base). Il che significa che l'agenzia eventualmente sostitutiva delle sovranità specifiche non potrebbe evitare il processo di statizzazione complessiva tramite ordinatori negativi, in quanto gli integratori positivi non resisterebbero—per limite intrinseco—ai processi di ristatalizzazione conflittuale settoriale.

Ma la statizzazione globale unica per ordinatori negativi ha anch'essa limiti intrinseci insuperabili—analoghi a quelli visti nella precedente sezione—tali da renderne invariantemente metastabile l'ordinamento nonché probabile la dissipazione nell'ambito di una diffusa rinazionalizzazione antagonista delle parti (vige infatti un modello analogo a quello dell'azione imperiale globale condotta a partire da uno Stato).

In sintesi, I'azione politica di integrazione sovranazionale formale, a parte i limiti pratici, ha un limite teorico che la rende intrinsecamente incompleta nell'ambito di qualsiasi regime limitato di risorse. Dando uno sguardo, poi, ai fatti storici e correnti, non c'è nulla—al momento—che sembri anche lontanamente confutare l'affermazione prodotta ed il modello che vi sta dietro.

3.2.2. L'Onu è semplicemente un'organizzazione dove viene complicato il livello delle comunicazioni belliche e di deterrenza tra Stati. E, in altre parole, un esaltatore operativo del regime declaratorio nelle relazioni conflittuali. La sua perpetuazione selettiva è favorita dal fatto che esiste un'opinione pubblica mondiale, ovvero un problema di consenso che complica le iniziative di ogni singolo Stato in termini di elaborazione degli artifizi che sostengono dichiarativamente la sostanza degli interessi autogenerati (e autolegittimati) di sovranità.

L'Onu ha esibito una potenzialità integrativa sostantiva particolare solo nei suoi primissimi anni quando operava come strumento della politica estera statunitense. Quando cioè costituiva uno strumento politico di ordinamento positivo retto dall'ordinatore negativo di uno specifico Stato. Cessata questa funzione, è diventato solo luogo di impegni dichiarativi. In generale, i fatti storici lasciano intendere che le integrazioni sovranazionali assumano certa stabilità sostantiva alla luce del dominio contingente di un singolo Stato guida, rette sia da integratori positivi che negativi congiuntamente generati da quest'ultimo.

Proprio questa dipendenza da uno Stato rende intrinsecamente metastabili — in termini sostantivi —tali regimi integrativi.

Una controprova interessante è data dal Parlamento Europeo. Esso non nasce come strumento politico positivo alla luce dell'interesse espansivo ordinato negativamente di un qualche Stato ma come integratore culturale positivo concordato. In tal senso questo sistema di rappresentanza integrata europea è privo di qualsiasi potere reale già ab-inizio.

3.2.3. Il paradosso, se si vuole, è il seguente: un regime integrativo sovranazionale assume forza sostantiva iniziale solo se retto dagli integratori positivi ordinati negativamente di uno Stato, ma la metastabilità intrinseca della traiettoria espansiva di quest'ultimo rende altrettanto intrinsecamente instabile l'apparato integrativo sovranazionale stesso.

E ciò avviene perché lo Stato "fondatore" o "centrale" (in termini sostantivi dell'azione di integrazione sovranazionale) tende ad essere autoconservativo. Anche in questo caso, come visto nella precedente sezione, I'ordinatore negativo, conservativo di Stato, limita qualsiasi organizzazione sovranazionale generalizzata.

In altre parole, altri Stati dovrebbero cedere sovranità ad un altro Stato, non ad una agenzia centrale neutrale in riferimento a qualsiasi Stato. Se messa così, allora viene violato il modello base da noi generato.

Queste considerazioni congiuntamente a quelle prodotte nella prima parte di questa sezione, indicano come ipotesi intrinsecamente improbabile la sostituzione delle relazioni negative tra Stati attraverso la loro integrazione sovranazionale formale per cessione consensuale della sovranità ad una agenzia centrale globale.

3.3. (c) La possibilità di eliminare la guerra come mezzo principale di comunicazione tra Stati fondati negativamente può essere effetto ipotetico dell'evolversi di integratori sovranazionali informali che sostituiscano la centralità ordinatrice degli Stati piuttosto che gli Stati stessi nel loro complesso.

Ciò equivale a valutare la possibilità strutturale che degli integratori positivi possano svilupparsi sfuggendo ai vincoli di chiusura del regime di ordinamento negativo (in tal senso "informale"), ovvero a vedere se e come il modello base da noi impostato possa essere limitato in termini di generalità e violato in uno dei suoi assunti principali.

Gli integratori informali con le proprietà potenziali dette sono aggregabili—sommariamente—in due categorie: (1) integratori economici; (2) integratori di cultura politica socialmente diffusa.

Il complesso di essi afferisce al campo dell'evoluzione dei sistemi culturali e loro diffusione in forma costitutiva di sociosistemi.

3.3.1. La letteratura dà, tradizionalmente, molto peso alla relazione antagonistica tra Stato, Impero, guerra e mercato. Qui, tuttavia, ci interessa contingentemente solo l'esplorazione del tutto sommaria ed elementare della capacità integrativa intrinseca dei fattori economici.

Il mezzo di comunicazione principale nei sistemi economici fondati sulle relazioni di mercato è il denaro come forma peculiarmente evoluta di attribuzione del valore di scambio e fissazione di quest'ultimo. Essenzialmente, si tratta di vedere—preliminarmente—se i sistemi basati su tale mezzo di comunicazione possano essere limitativi del modo negativo di ordinare le relazioni sociali e quelle tra Stati.

Al riguardo è elementare notare che qualsiasi accordo regolato da valore economico richieda una stabilizzazione o attraverso la fiducia positiva reciproca dei contraenti o attraverso la fissazione di garanzie implicanti punizione. Si tratta pertanto di vedere se è possibile una cultura della fiducia esclusivamente positiva, in tal senso sostitutiva delle garanzie negative. Localmente possibile sì, ma probabile in forma generalmente stabilizzata, no. E ciò non per cattiveria atavica dei soggetti sl,ciali, ma per la complessità (ovvero l'instabilità) dei fattori culturali che influenzano il regime di fiducia sia - più importante - per i requisiti tecnici di attribuzione della fiducia da parte di un contraente nei confronti dell'altro. La fiducia regolata da punizione, infatti, è un semplificatore di questo processo. Senza l'elemento negativo il costo dell'azione di scambio sarebbe certamente più elevato. In sintesi estrema—anche perché è cosa ovvia—i sistemi che comunicano principalmente con il denaro richiedono ordinamenti negativi altamente sofisticati. Richiedono, in altre parole, un assetto di garanzie attraverso riferimenti negativi a basso costo, cioè la punizione statizzata. In generale, analizzando ogni specifica funzione economica (stabilità del valore delle monete, organizzazione del lavoro, circuito internazionale degli scambi economici, ecc.) è facile trovare costantemente il requisito del riferimento al modo negativo di ordinare i processi positivi. Anzi i sistemi che comunicano principalmente via denaro sono dei generatori di domanda di ordinamenti negativi sempre più sofisticati. La cultura ad essi afferente è intrinsecamente fondativa, pertanto, della centralità degli ordinatori negativi dello Stato e non limitativa di essa.

Poi, I'eventuale capacità dell'integrazione economica di limitare la guerra come mezzo di comunicazione tra Stati implicherebbe l'omogeneità di un sistema culturale capace di definire e valutare in modo standardizzato i costi della guerra stessa. L'esistenza di un tale codice generalizzato permetterebbe di vincolare ad un criterio di razionalità comune la comunicazione della guerra (potenziale e reale) tra Stati. punto non è tanto la possibilità di stimare i costi della guerra e del mantenimento del suo potenziale. Il problema sta piuttosto nel fatto di rendere omogenei per ciascun Stato interagente i criteri con cui stimare e valutare il costo della (comunicazione attraverso) guerra.

Tale omogeneizzazione non sarebbe solo oggetto di standardizzazione di parametri economici. Riguarderebbe soprattutto una regolazione standardizzato dei fattori qualitativi che influenzano la complessità con la quale viene generata l'attesa di futuro in riferimento ad una situazione da parte di una organizzazione di decisori. E l'ottenimento di tale regolazione standardizzata è un esito altamente improbabile per la complessità intrinseca delle relazioni tra i suoi fattori costitutivi e per l'assenza di un regolatore sostantivo centrale. E anche altamente improbabile in riferimento a casi di sistemi economici strutturalmente diversi.

In sintesi ciò che risulta improbabile è una razionalizzazione della comunicazione della guerra in riferimento ad un codice standardizzato di valutazione economica di essa.

Tale codice sarebbe il precursore per una mobilitazione omogenea limitatrice del potere degli Stati da parte del mercato internazionale.

La sua assenza rende, al contrario, potenzialmente sinergica la relazione tra mercato e modo negativo delle relazioni tra Stati.

In tal senso l'integrazione internazionale dei mercati non ha di per sé alcun potere limitativo nei confronti del potenziale di guerra. Sia esempio di ciò il fatto che la Prima Guerra Mondiale è scoppiata in un momento di altissima integrazione economica internazionale (certamente superiore a quella stante poco prima dello scoppio della seconda e commensurabile al livello attuale).

In sintesi, non vediamo nulla di intrinseco negli integratori economici capace di limitare gli ordinatori negativi degli Stati e delle relazioni tra Stati. Pare, anzi, che lo scenario più probabile sia un impiego strutturale di tali ordinatori negativi nelle relazioni di mercato, stante il carattere intrinsecamente conflittuale e competitivo della cultura positiva dell'azione economica-imprenditoriale.

Non bisogna sottostimare, ovviamente, la funzione limitatrice indiretta che gli integratori economici operano sugli ordinatori negativi. Per esempio:

  • il capitalismo diffuso socialmente—il benessere—genera assetti socioculturali inadeguati all'azione bellica massiva (vedi il caso della guerra del Vietnam);
  • il riferimento integrativo al mercato rende metastabili i - e impone modifiche ai - sistemi sovradattati all'economia di guerra (vedi il caso corrente dell'Urss);
  • ecc.

Tuttavia, tale funzione indiretta tende più a modificare la forma della guerra e della sua comunicazione, forzandola ad evolvere in nuovi ambienti selettivi, che non a limitarne la centralità essenziale nelle relazioni tra Stati.

Gli integratori economici non sono strutturalmente limitatori informali né diretti né indiretti degli ordinatori negativi dello Stato e tra Stati. Ne sono dei (ri)organizzatori morfologici.

3.3.2. La possibilità di limitare gli ordinatori negativi tra Stati da parte di integratori informali di cultura politica socialmente diffusa implica l'emergere di sistemi culturali globali orientativi—in forma di movimento internazionalmente integrato—di azioni sociali ostative del modo negativo stesso.

L'emergere ed il diffondersi esteso di tali sistemi non è, attualmente, un'ipotesi remota sulla base della diffusività dell'informazione veicolata dai media e delle proprietà dell'informazione stessa di costituire la struttura dei movimenti di (opinione di) massa, anche in assenza di processi organizzativi formali (per es.: i movimenti sociali degli anni ‘60, peculiarmente estesi e simmetrici a livello internazionale).

La varietà possibile di questi sistemi è enorme, costituendo essi un ampio ventaglio di alternative potenziali convergenti verso la formazione di un modulo culturale globale con contenuti antagonisti al modo negativo dello Stato e degli Stati. Affrontare analiticamente l'ipotesi di sviluppo di tale varietà, nonché fare scommesse specifiche sul futuro dell'evoluzione culturale, è cosa impossibile.

E praticabile, invece, I'analisi ipotetica—qui sommaria—dei limiti strutturali che la diffusione di un tale sistema culturale dovrebbe superare (analisi che facciamo alla luce del modello, qui implicito, di "Sociosistemica evoluzionistica").

3.3.2.1. Il primo limite è individuato alla luce della probabilità di diffusione globale omogenea di un unico sistema culturale. Tale probabilità è influenzata dal fatto che un "sistema culturale", una volta formatosi, si diffonde in un ambiente dove persistono inerzialmente altri sistemi culturali stessi (per esempio un ipotetico neo-modulo religioso di pace universale dovrebbe diffondersi nei campi di diffusione di miliardi di altri sistemi culturali: linguistici, di abitudine; di competenze tecniche; ideologici, ecc.). E ragionevole stimare che qualcuno di essi abbia proprietà selettive negative in riferimento a quello in (iso)diffusione; ciò implica che un numero dato di soggetti e di aree sociali resterà impervio alla penetrazione del sistema culturale di nuova formazione (si pensi all'esito mai globale della diffusione di un qualsiasi sistema ideologico, ecc.). Pertanto esisterebbe un limite probabilistico intrinseco alla diffusione omogenea di un sistema culturale. Tale limite è sensibile a situazioni estreme dove i selettori negativj del neo-sistema culturale in diffusione "perdono potenza".

Per esempio il tipo di comunicazione radicalmente ansiogena a seguito dell'incidente nucleare di Chernobyl (1986) ha ridotto il potere selettivo complessivo del sistema culturale, per dire, "pro-nucleare~, in quanto per molti soggetti tale evento informativo ha comportato un riassetto mentale dove quest'ultimo sistema o è stato destrutturato o, se già destrutturato—perché solo implicito o lontano dal regime di attenzioni routinizzate, ecc.—ne è stata rifiutata l'ammissibilità. Sulla base di questa destrutturazione situazionale è avvenuta una accelerazione diffusiva ("sfondamento") del sistema culturale ecologista in quanto modificatosi improvvisamente lo sbarramento inerziale di un suo selettore negativo.

Questa sensitività situazionale, da un lato, non incide imtrinsecamente sul limite diffusivo generato dalla varietà di sistemi culturali, che è da considerarsi strutturale, ma, dall'altro può favorire eventi di isodiffusione estesa di un sistema culturale emergente.

3.3.2.2. Consideriamo, ora, che tale evento sia avvenuto ed esploriamo il livello di stabilità intrinseca del sociosistema definito dalla diffusione massiva del neo-sistema culturale (per sociosistema si intende un campo sociale potenzialmente integrato in quanto i soggetti che lo compongono condividono la presenza del medesimo sistema culturale orientatore dell'azione sociale).

Al riguardo è necessaria una breve premessa. Alla luce del già citato modello di "Sociosistemica evoluzionistica"—che qui fa da sostegno "sotterraneo"—la mente di ciascun individuo ospita diversi sistemi culturali che tendono a restare distinti tra di loro. Volta per volta —in relazione alle situazioni ed allo stato interno—uno o più di essi è dominante ed orienta le azioni espressive, cognitive, pratiche, ecc. L'entrata di un "nuovo" sistema culturale è sottoposta alla selezione da parte di un repertorio dei sistemi già albergati inerzialmente in una specifica mente (sarebbe, a livello individuale, il meccanismo che seleziona la diffusione dei sistemi culturali, come accennato poco sopra). Tale selezione, oltre che del tutto negativa, può essere di tipo variativo, ovvero selezionare di un sistema culturale solo una parte del suo assetto di contenuto, variandolo per riduzione, nonché riorganizzarlo in forma non isomorfa (per es.: errata). Inoltre la selezione può essere tale da incorporare solo un pezzo di un sistema culturale impedendone l'assestamento in forma sistemica stabile entro la mente (caso mai restando solo "informazione" che assume significato alla luce del sistema selettore già inerzialmente stabile nell'ambiente mentale).

La gamma degli eventi selettivi-trasformativi possibili in una mente rende fortemente suscettibile di variazioni individualizzate, anche destrutturanti, un sistema culturale in modo tale da pregiudicarne intrinsecamente la conservazione isomorfa dell'assetto di contenuto nella traiettoria isodiffusiva.

Tornando all'esempio di Chernobyl, la "cosa" che aveva caratteristiche di sistema culturale, e che ha accelerato la propria isodiffusione nel frangente, era il modulo ecologista. Tale modulo, nel suo complesso è costituito da una visione codificata del mondo composta da molti fattori in relazione di coerenza tra loro (cioè "sistemica"): de-evoluzione delle tecnologie pesanti; riferimento all'ambiente de-antropizzato, riferimento alla conservazione; ecc. Non necessariamente il complesso di tali fattori è stato trainato dall'accettazione diffusa della negativizzazione del nucleare a seguito dell'emergenza situazionale. In alcune menti il rischio di contaminazione nucleare è stata o semplicemente normalizzata come "enfasi", per dire, di un sistema culturale già stabile senza provocare riassetti mentali eclatanti; in altre il sistema culturale ecologista è penetrato in toto come nuova entrata ricombinatoria dell'orientamento ideologico dei soggetti; in altre ancora è rimasto stabile in forma incompleta e/o variata. In questo processo gioca il complesso differenziale dei selettori culturali precostituiti nella mente in forma combinata. In tal senso il modulo ecologista non si è diffuso in modo omogeneamente coerente e isomorfo, ma in forma variata e parziale (per inciso, ciò anche spiega perché, una percentuale elevata di italiani, tedeschi, ecc. possa esprimere opinioni favorevoli su singoli "issues" di riferimento ecologista e poi ridursi notevolmente quando impegnata nel dare consenso sull'intero modulo ecologista— es.: il voto alle liste verdi).

Con tutto questo si vuol dire che l'eventuale diffusione estesa di un sistema culturale tende intrinsecamente all'instabilità per dispersione differenziale del suo assetto di contenuto e quindi dell'azione sociale da essa orientata. Per esempio, è possibile che due miliardi di persone dichiarino —e manifestino per — il riferimento, per dire, alla pace, sulla base della diffusione estesa di un modulo di "cultura pacifista". Ma quando tale modulo viene "impegnato" nel suo complessO (es.: in azioni politiche complesse, nel voto, ecc.) è più probabile la sua disintegrazione e persistenza ridotta. Si pensi, ancora—per esempio—come il modulo rivoluzionario comunista, in cui è forte l'enfasi di integrazione internazionalista, tenda a rinazionalizzarsi e/o ristatalizzarsi quando impegnato nel suo complesso alla luce di selettori di cultura pratica. Ecc.

In sintesi, i sociosistemi generati da isodiffusione estesa da un sistema culturale tendono intrinsecamente alla instabilità ed alla rilocalizzaione. Secondo tale visione, pertanto, I'ipotesi di azione sociale altamente integrata in grandi aggregati (quelli, appunto, di scenario internazionale) è intrinsecamente limitata da fattori che vincolano strutturalmente sia la diffusione omogenea dei sistemi culturali orientativi dell'azione stessa sia la stabilità (e la scala) dei sociosistemi da essi eventualmente formati (il che non esclude grandi aggregazioni contingenti di opinione, ma, appunto, metastabili, ovvero di breve durata).

Sulla scorta di quanto detto, tornando al filo principale del discorso, la probabilità che iniziative di cultura politica socialmente diffuse possano essere sostitutive del regime consolidato di organizzazione per ordinatori negativi degli Stati e delle relazioni tra Stati è intrinsecamente limitata dai meccanismi strutturali che regolano la diffusione e la stabilizzazione dei sistemi culturali.

3.3.2.3. Per chiudere in maniera esauriente questa parte del discorso —e per darle coerenza in riferimento al canone generale basato sull'attenzione all'interazione modale tra ordinatori positivi e negativi — è utile chiedersi cosa stabilizza in forma estesa i sistemi culturali— e relativi sociosistemi—di per sé, come ipotizzato, intrinsecamente instabili.

Questa domanda è pertinente anche alla luce del successo e della peculiare stabilità di molti sistemi culturali, come il Cristianesimo (o altre religioni), alcuni sistemi linguistici, come l'inglese ed il francese, ecc.

La risposta è che tendono a permanere stabili ed omogenei quei sistemi culturali positivi che vengono perpetuati attraverso ordinatori negativi. Quelli in altre parole, la cui forma viene statizzata e riprodotta secondo il modo negativo. Per esempio, la "matematica" è un sistema culturale peculiarmente stabile e diffuso perché il suo codice è perpetuato da un'organizzazione che ne assicura attraverso ordinatori negativi (docenza, selezione scolastica, controlli accademici, ecc.) la coerenza nel tempo e la diffondibilità nello spazio sociale (a traino dell'evoluzione dei sistemi educativi). Allo stesso modo il sistema culturale "capitalismo" è perpetuato e diffuso da un repertorio di statizzazioni negative formali ed informali, dirette ed indirette che ne sostengono l'andamento riproduttivo autocoerente.

Così la "guerra", anch'essa "sistema culturale", è perpetuata in forma diffusa attraverso la stabilità ordinata negativamente del sistema culturale "Stato". Ecc.

In sintesi, ciò che aumenta la probabilità di stabilizzazione diffusa di un sistema culturale è il suo entrare (o trasformarsi) in un meccanismo di organizzazione e perpetuazione per ordinatori negativi. In altre parole l'ordinamento negativo dei processi positive è un perpetuatore

- tendenziale delle forme sistemiche di essi (questa affermazione non ha carattere esclusivo, per esempio le abitudini si basano sulle proprietà di riproduzione inerziale "positiva", ecc.).

Ci sembra anche utile notare che buona parte dei sistemi culturali che, in ogni contingenza, influenzano selettivamente la diffusione e la stabilizzazione di altri nuovi, sono sistemi perpetuati e consolidati tramite ordinatori negativi. Il che lascia certa libertà nell'inferire che il successo selettivo dei nuovi sistemi culturali in riferimento a quelli "vecchi" implichi, come precursore, la trasformazione dell'assetto esclusivamente positivo — eventuale — dei primi in quello ordinato (e concretamente organizzato) negativamente dei secondi.

Ma ciò implicherebbe un limite sostantivo ad azioni sociali vocazionalmente sostitutive del "modo negativo". Esse per realizzarsi, dovrebbero assumere "ordinamenti negativi", e quindi restare imprigionate nei limiti intrinseci di tale modalità ordinatrice.

3.3.2.4. Con altro riferimento, poi, questo è il fattore selettivo che tende a trasformare ogni "Movimento" in Stato ed ogni azione positiva in "Guerra".

 

Note

1. Vedi gli altri saggi in questo volume, con particolare riferimento a quello di Renata Lizzi .

2. Intendiamo per modello una "macchina" strutturata come linguaggio ordinatore generativo di una realtà simbolica vincolata alle decisioni costitutive della "macchina" stessa. Una macchina, in altre parole, costruita come statuto di segni ed operazioni finito che seleziona, costruendola, una realtà linguistica sotto il vincolo del proprio regime finitistico, cioè "chiuso".

Per un esempio procedurale altamente esplicitato di costruzione di un modello siffatto vedi L. Gallino, L'attore sociale, Einaudi, Torino 1987.

1l linguaggio ordinatore da noi utilizzato - qui solo "implicitamente" - fa riferimento alla variante di "sistemica chiusa" della Teoria dei sistemi. Per una esplicitazione del peculiare status epistemologico dei modelli costruiti alla luce di tale linguaggio vedi la sezione "Epistemologia dell'ordinamentoo, in C. Pelanda e D. Ungaro, Sociosistemica, Angeli, Milano (in stampa). Per un riferimento più generale al riguardo, vedi anche: C. Pelanda (cur), (Socio)sistemica come epistemologia operativa, Isig, Gorizia, 1986; Regolazione epislemologica del decisionismo metodologico in C. Jean (cur), n pensiero strategico, Angeli, Milano, 1985, pp. 299-344; H. Maturana e F. Varela, Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Padova, 1985.

Per una breve descrizione storica dei principi della "sistemica chiusa" vedi i saggi di Varela e von Foerster, in G. Bocchi e G. Ceruti (cur), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1986.

3. Il termine "negativo" come impiegato in questo saggio, non ha alcun significato morale o ideologico. Esso, in senso stretto vuol dire "riferimento al limite" contrapposto a "riferimento all'intero" ("positivo").

Il termine "ordinatore negativo" non coincide con quello di "retroazione negativa) che fa parte della terminologia di un modello sistemico altamente specifico qui non utilizzato.

4. Vedi: M. Granovetter, The Idea of "Advancement" in Theories of Evolution and Development, in "American Journal of Sociology", 85, 3, 1979, pp. 489-515; M. Blute, Sociocultural Evolutionism: An Untried Theory, in "Behavioral Science", 24, 1, 1979,