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FANTAGEOPOLITICA: O FUORI DALLA NATO O NUCLEO OCCIDENTALE

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di Carlo Pelanda (Ottobre 1999)

1. Introduzione

Quanto e' utile la fantapolitica? Serve a due cose. Aprire la mente e far vedere angolature che sfuggono all'analisi ordinaria. Dare messaggi reali coprendoli con l'innocenza del gioco perché non possono essere diventare oggetto di discorso esplicito.

Simuliamo, con ricorso alla pura fantasia e allo stile romanzesco, alcune condizioni essenziali. L'Italia, a sorpresa, trova un primo ministro sinceramente dedicato a definire l'interesse nazionale e, ancora più sorprendentemente, capace di farlo attivando lo strumento operativo di un think-tank efficiente agganciato ad un Consiglio per la sicurezza nazionale che fonda competenze militari con quelle (geo)economiche. Maggio 2000. Riunione operativa del think-tank con la presenza del Primo ministro, da poco in carica. Relazione del responsabile per gli scenari integrati.

 

2. Innesco

Eccellenza, il gruppo di lavoro ha rilevato che abbiamo enormi problemi nel continuare la nostra politica estera tradizionale. Non appare piu' di interesse nazionale limitarci una politica di basso profilo. In particolare quella, nei nostri schemi di alleanza (Nato e UE), che ci porta ad "esserci" senza voler, e quindi poter, influenzare gli indirizzi generali

2.1. Messi in allarme dai toni da un'intervista apparsa sulla CNN ai primi di Ottobre del 1999, alcuni nostri analisti - con iniziativa personale perche' allora non esisteva il tavolo attorno a cui siamo seduti - ha penetrato a fondo i piani strategici statunitensi.

In quell'intervista l'allora portavoce del Dipartimento di Stato, Rubin, commentava le dichiarazioni del Sottosegretario Talbott relative alla necessita' di dare una svolta sostanziale alla Nato. Il punto e' ben noto. Gli Stati Uniti non vogliono piu' sobbarcarsi tutto il peso delle operazioni militari, tipo Kosovo. Le forze armate europee si sono dimostrate del tutto arretrate, oltre ai problemi di determinazione politica. Rubin, incalzato dalla conduttrice, si lascio' scappare delle parole insolitamente imprudenti per un diplomatico (sullo schermo computer appare il profilo del giovane Rubin e la statistica delle sue prestazioni comunicative che dimostra un picco anomalo in quell'occasione nonche' l'analisi di macchina della verita', applicata alla voce ed al body language, che dimostra che la stava dicendo). Dichiaro' che nella Nato non si poteva andare avanti cosi' e che gli alleati avrebbero dovuto riarmarsi. La conduttrice chiese, brillantemente, se in caso contrario, l'America avrebbe diminuito il proprio impegno nella Nato stessa. Rubin rispose che questo era impensabile. Ma la macchina della verita' mostro' che stava dicendo una falsita' o mezza. Cio', appunto, incuriosi'.

Dopo qualche mese trovammo che gli americani stavano preparando un piano cosi' articolato:

- costruzione di un sistema di superiorita' globale unilaterale entro il 2020;

- utilizzo crescente degli alleati come ascari per interventi minori o di media entita', tipo Kosovo o Timor Est;

- riduzione dell'impegno militare diretto americano nella Nato sui piani piu' bassi e umanamente dispendiosi delle operazioni militari;

- ma attuando un controllo politico piu' stretto dell'alleanza (e' stata formidabile la loro pressione nell'estate del 1999 per avere un inglese come Segretario generale)

- anche mantenendo la fornitura degli ombrelli tecnici di grado piu' elevato, ma senza condivisione con gli alleati delle tecnologie piu' sofisticate;

- pressione su questi per costringerli a dotarsi di armamenti migliori utili per operazioni di polizia internazionale e supporti vari al nucleo forte statunitense.

In sintesi, abbiamo la netta sensazione che gli Stati Uniti vogliano concentrare gli investimenti militari sui sistemi futuri di potenza globale imponendo agli alleati di fornire le risorse per i livelli inferiori della nuova architettura militare.

Consideri, eccellenza, che i migliori sistemi militari europei sono a circa venti anni di distanza tecnologica da quegli americani gia' esistenti. E quelli che stanno preparando saranno avanti di un secolo. Il loro problema e' di portare avanti noi di venti anni per permettere l'interfaccia operativa con i loro sistemi futuri. Dai quali resteremo comunque distanti e dipendenti. Soprattutto, e' la Nato che cambia missione. Gli americani non vogliono smontarla, ma indirizzarla piu' nettamente per i loro specifici interessi. Il che ci ha portato alla conclusione che noi:

- dovremmo aumentare la spesa per la difesa, investendo su mezzi non del tutto avanzati;

- impegnarci in azioni politicamente pericolose e nel ruolo di ascari;

- senza capacita' di correlare la nostra spesa di sicurezza con i vantaggi industriali e geoeconomici nazionali.

Non ci conviene. In prospettiva, la raccomandazione e' quella di ridurre la nostra presenza nella - o per lo meno la dipendenza dalla - Nato (il Primo ministro ha un sobbalzo) oppure inluenzare l'evoluzione di un sistema piu' integrato dove l'Alleanza risulti maggiormente bilanciata in relazione all'espressione dei nostri interessi.

2.2. Abbiamo parecchi dubbi sulla capacita' americana di gestire l'ordine mondiale. Per esempio, il modo con cui e' stato elaborato il Trattato per bandire i test nucleari impressiona per dilettantismo. L'Amministrazione Clinton lo ha previsto senza un termine, senza eventuali sanzioni e, soprattutto, senza controllare prima se aveva la maggioranza per ratificarlo dopo aver costretto gli altri, dal 1996 in poi, a farlo in giro per il mondo. L'esito e' stato che l'India, visto il termine del 1999 per la ratifica e l'assenza di grandi sanzioni, ha accelerato il suo riarmo nucleare, oltre che per motivi interni, per trovarsi al dunque con una leva politica di fatto in mano. Il Pakistan ha seguito, anche su istruzione e rifornimento cinese. L'Iran nicchia aspettando di vedere come va a finire. In sintesi, invece di calmierare lo scenario proliferativo, l'Amministrazione lo ha accelerato senza contenerlo.

Abbiamo anche valutato l'ipotesi di una mossa molto astuta da parte americana. Far finta di non riuscire a contenere il riarmo nucleare indiano per metterlo contro i cinesi, esponendoli ad una minaccia diretta regionale e, cosi', dando piu' opzioni alla politica di contenimento dell'espansione aggressiva cinese in corso. Non possiamo escluderlo anche se improbabile. Ma, pur eventualmente brillante, anche se la contromossa cinese ha in parte annullato il beneficio. e' fatto che comunque mostra a quali instabilita' l'impegno americano di ordinamento globale possa portare.

La valutazione della politica statunitense in Africa, in particolare tra il 1997 ed il 1999, conferma la sensazione di dilettantismo. Quella per la stabilizzazione del Medio Oriente non migliora tale perczione. In sintesi, temiamo che alla fine la politica statunitense possa portare a qualche guaio veramente grosso ed incontrollabile.

Il punto e' il seguente. Cambiando l'Amministrazione ed emergendo una nuova nelle prossime elezioni dell'autunno 2000 si ridurra' il tasso di vaghezza ed superficialita' nella poltiica estera statunitense? Una simulazione ci porta a credere che, nel caso migliore, si ridurranno di molto gli errori gestionali. Ma non verra' modificato quello genetico della strategia statunitense. Cioe' pensare di riuscire a tenere in ordine un pianeta operando come potenza unica di fatto, pur - nel caso di vittoria di george W. Bush - con una riselezione piu' attenta e contenuta di quali siano gli interessi vitali che meritano impegno diretto (cosa che, pero', aumentera' il fabbisogno di ascari per le questioni minori, appunto). E senza la correzione di tale impostazione tutti i nostri scenari mostrano un innalzamento della curva dei rischi. Per altro, senza un ruolo globalmente ordinante da parte di qualcuno, tali rischi sono ancora piu' elevati.

La conclusione e' in stallo. Da una parte, sarebbe piu' prudente non farci coinvolgere in missioni di alleanza illimitata con gli americani. Dall'altra, senza pilastro statunitense il pianeta diventera' drammaticamente instabile ed il mercato globale implodera', con nostro danno formidabile.

2.3. Ci sono altri fattori da prendere in considerazione. Comunque la politica statunitense interverra' in modi fortemente condizionali sul piano globale. Molti paesi emergenti non potranno sfidare apertamente la superiorita' americana e si troveranno bloccati nei loro interessi. Tale scenario aumenta il rischio di terrorismo, unica risorsa lasciata a tali nazioni per ricattare o controcondizionare il potere della Pax Americana. I nostri analisti hanno trovato che i piani americani di antiterrorismo sono piu' avanzati (li stanno attuando riservatamente dal 1993) di quanto sia stato fatto filtrare al pubblico, anche specialistico, o stato formalizzato come requisito politico, per esempio nella Quadriennal Defense Review del 1997 o nella Commissione consultiva per la sicurezza del XXI Secolo attualmente al lavoro.

Contro il rischio di atti biocontaminanti e' gia' pronta una struttura che decodifica l'agente biologico in pochi minuti. Cosa che permette di somministrare un vaccino a livello di massa in breve tempo. Il Pentagono ha creato per la prima volta un comando militare per la gestione del fronte interno. Serve a garantire, per esempio, che questo vaccino sia diffuso con velocita' ed efficienza. Abbiamo osservato anche che la FEMA, la loro protezione civile federale, e' stata enormemente potenziata per creare un'interfaccia sul piano civile per la gestione integrata delle emergenze di massa, in particolare delle amministrazioni locali, molto efficiente. I servizi di intelligence stanno sperimentando un sistema di controllo totale ed istantaneo visivo di tutto il territorio degli Stati Uniti. Un super computer ha in memoria centinaia di milioni di visi e fisionomie (e voci). Puo' accedere (anche se la questione non e' ancora risolto sul piano legale) a tutte le telecamere operanti nel Paese e, con il suo sistema di riconoscimento istantaneo, rilevare tipi sospetti. Per esempio quelle dei negozi, aeroporti, stazioni, strade. Si e' notato che qualcuno sta proponendo piu' telecamere per la sicurezza del traffico. Sospettiamo che cio' sia una mascheratura per i fini antiterrorismo. Anche sul piano della difesa contro sabotaggi delle reti elettroniche, della finanza telematica, e dei sistemi di assistenza al volo, abbiamo osservato una accelerata creazione di sistemi di sicurezza contro le cibercontaminazioni.

Sul piano della minaccia missilistica, poi, e' gia' in atto un evoluto sistema di difesa antimissile anche se ufficialmente solo in sperimentazione (anche perche' viola il vecchio Trattato ABM con la Russia). E' notevolmente efficace e sara' migliorato presto in due componenti. Quella di contrasto in fase di lancio di un missile (boost phase) e di intercettazione a grande distanza (antimissili Thaad). Inoltre e' anche molto avanti la difesa antimissile di teatro, cioe' quella dedicata a difendere le basi o le truppe americane in qualsiasi parte del pianeta. Ambedue i sistemi di difesa, nazionale (NMD) e di teatro (TMD), in realta', sono sostenuti da un ulteriore livello di integrazione che corrisponde al concetto SDI elaborato ai tempi di Reagan. Con componenti spaziali raffinatissime (sullo schermo appare una interpretazione artistica dei nuovi sistemi)

Resta il rischio di immissione subdola di ordigni nucleari miniaturizzati nel territorio americano. Su questo abbiamo poche informazioni, e ce ne scusiamo, ma abbiamo la sensazione che abbiano trovato un ombrello sia interno sia globale per un ragionevole controllo dettagliato di questa possibilita'.

In sintesi, tutti questi sistemi non saranno in grado certamente di portare a zero il rischio di atti terroristici capaci di produrre uno sterminio di massa. Ma alzeranno enormemento i costi per attuarli. Quindi i terroristi saranno incentivati ad operare in aree meno difese. E noi, signor primo ministro, non abbiamo niente di quanto detto. Neanche l'informazione su cosa dovremmo fare, qualora trovassimo le migliaia di miliardi necessarie. Inoltre non abbiamo la tecnologia. In tali condizioni di estrema vulnerabilita' ci troveremmo parte integrante della Pax americana senza avere difesa contro chi la vuole sfidare. Due alternative. O gli americani ci aiutano a costruire un sistema simile al loro antiterrorismo e ci agganciano all'antimissile con nostra buona autonomia nazionale oppure dobbiamo ridurre il nostro profilo Nato, cioe' renderci meno attrattivi per l'azione terroristica mirata a mettere in crisi o a ricattare l'America (il primo ministro, a questo punto, sta molto piu' attento)

2.4. Sul piano della competitivita' geoeconomica non necessariamente la permanenza piena nella Nato ci favorisce. Un rapporto tecnico mostra ragionevolmente che noi potremmo attrarre piu' capitale di investimento sul nostro territorio e favorire, attraverso il (meta)marchio nazionale le nostre imprese globalizzate se prendessimo una collocazione internazionale piu' neutralista, tipo la Svizzera per capirsi.

2.5. Nel caso, ora improbabile, ma non escludibile del tutto nel futuro, gli Stati Uniti decidessero di spaccare l'Unione Europea, troverebbero l'Italia come Cavallo di Troia piu' accessibile per farlo, anche se noi non ci stessimo. Ipotetico che sia questo scenario, il punto che ci ha colpito nella simulazione e' che noi potremmo gestire meglio questo caso se fossimo fuori dalla Nato. In sintesi, se noi ci poniamo in una situazione anomala prima, sara' molto difficile utilizzarci, poi, come strumenti per indurre un'anomalia piu' grossa. Una sorta di omeopatia delle relazioni internazionali, eccellenza.

2.6. In conclusione, sulla base di queste analisi di innesco rileviamo che l'interesse nazionale italiano possa essere massimizzato attraverso due opzioni alternative, Out-Soft e In-Plus:

(a) fuori, il piu' morbidamente possile, dalla Nato e assunzione di una collocazione internazionale neutrale;

(b) piu' dentro la Nato spingendo verso una maggiore convergenza euroamericana.

Sono ambedue mosse forti e difficili. Il terzo scenario, come sa, e' quello in corso. Lo chiamiamo " In as Out", cioe' dentro, ma e' come se non ci fossimo.

 

3. Scenario Out-Soft

Il Primo ministro tace per ben cinque minuti. Poi sbotta: "datemi prima lo scenario di fattibilita' per questa ipotesi di svizzerizzazione dell'Italia".

Lo scenarista riprende. Tutta la strategia ipotetica si basa sul ritirarci dalla Nato senza rompere il bilaterale con gli Stati Uniti, anzi rafforzandolo. Inoltre non dobbiamo fare alcun passo che metta in crisi la Nato stessa. La prima mossa e' quella di ridurre in modo sperimentale il conferimento delle nostre risorse militari. Primo test per vedere cosa succede. Se le reazioni non sono eccessive il secondo passo e' quello di restare solo nel livello politico dell'Alleanza, uscendo da quello militare. Diluendo progressivamente anche questo residuo di presenza.

3.1. La Nato puo' sopravvivere senza di noi. I francesi sarebbero felici perche' diventerebbero essenziali e quindi tanto condizionanti da incentivarli ad entrare anche sul piano militare. Gli americani non sarebbero del tutto infelici di dover cooptare rompiscatole francesi, ma ascarizzabili, con dovuto charme, nel futuro. Sopratutto senza piu' basi italiane, non potrebbero negare loro Marsiglia o altro come base del comando mediterraneo della Nato. I tedeschi si sentirebbero liberati dal fronte sud che li inquieta non poco. Gli inglesi sarebbero quelli piu' preoccupati. Senza di noi Francia e Germania diventerebbero piu' importanti per gli americani. Ma tale scenario morbido puo' avvenire se, parlando tra loro, i nostri ex-alleati percepiscono che l'Italia fuori non metta in difficolta' nessuno. Sul piano Nato non sembrano esserci grossi problemi. Ma ce ne sono di enormi sul piano interno europeo, che vedremo piu' avanti. E gli europei potrebbero opporsi, forzarci o destabilizzarci. Potremmo tentare di evitare questo effetto cercando di capirci molto bene con gli Stati Uniti. In tal caso sarebbero loro ad accompagnarci dolcemente fuori, calmierando, con le buone o le cattive, gli altri europei. Quindi l'unico - e stretto - sentiero probabilistico che abbiamo trovato implica che prima dobbiamo fare un solido bilaterale con loro e poi formalizzare le mosse finali. Vediamone i punti essenziali.

3.2. Primo, firmiamo un accordo di cooperazione militare reciproca, ma senza alcun automatismo. Cosa diamo e cosa riceviamo? I nostri esperti propongono il seguente quadro.

Dare. Prendiamo impegni per comprare i loro armamenti. Quindi diamo loro una quota di mercato non enorme, ma che in base alle nostre analisi favorisce la loro industria in maniera sostanziale. Ci ritiriamo dai consorzi navali europei ed altri. Con l'eccezione dell'Efa, programma dal quale non possiamo tornare indietro. Potremmo anche ridurre i nostri finanziamenti nazionali all'Esa, Ente spaziale europeo, e passarli a programmi Nasa bilaterali. Al momento li stiamo comunque disperdendo senza un buon ritorno per l'industria nazionale. In sintesi, gli cediamo quote di mercato dove comunque non possiamo competere. La questione della basi la risolviamo cosi'. Vendiamo agli americani un'isoletta nell'estremo margine sud della nazione, senza gente o con poca, che riallocheremo. E loro chiudono tutte le basi (Aviano, Sigonella, Maddalena, Napoli, ecc.) sul nostro territorio nazionale. Ma rischierano le loro risorse nazionali e quelle Nato nella nuova base al centro del Mediterraneo. Il tutto comunicato come un miglioramento dell'efficienza con grandi gesti di amicizia e amenita' varie, tra cui un'intesa pieno di cooperazioni bilaterali amichevoli, eccetto che sul piano militare operativo in senso stretto.

Avere. Per la cessione di quote di mercato chiediamo, in compensazione, un accesso ai loro programmi spaziali e ad altissima tecnologia per nostre unita' industriali ed il nostro sistema militare (sul computer appare una lista di 40 tecnologie critiche). E firmiamo in protocollo riservato l'impegno di non diffusione a terzi, con le dovute misure cautelative. Chiediamo poi un supporto di garanzia per non avere ritorsioni sul piano del G7, in cui dobbiamo per forza restare.

In sintesi, se manovriamo bene, alla fine possiamo costruire una situazione di vantaggio sia per noi sia per gli americani (sullo schermo appare una matrice di teoria dei giochi che sintetizza il tutto con una soluzione win-win). A loro comunque resta una Nato in cui diventano perfino piu' importanti. Guadagnano un nuovo alleato bilaterale che cede quote di mercato per la loro industria critica. Con francesi e tedeschi che non si disperano se noi non ci siamo, a parte la ferita della nostra minore partecipazione ai programmi industriali europei. Che compenseremo in qualche modo, da studiare se il tema di venta ostacolo eccessivo.

3.3. Ovviamente tali mosse devono essere coperte da un clima positivo. E non e' difficilissimo. Piu' ostico e' inventare una buona ragione per cui di fatto usciamo dalla Nato sia per l'opinione pubblica mondiale sia per quella nostra interna. Bisogna assolutamente evitare linguaggi negativi. Significa che non possiamo usare apertamente alcuna delle motivazioni reali. Abbiamo affidato questo rompicapo al team di "pensiero creativo". E questa e' la soluzione proposta che piu' e' parsa interessante.

Mettersi d'accordo con il Vaticano. Ha bisogno di un evento mistico per contrastare la decristianizzazione in corso. Noi abbiamo bisogno di qualcosa di straordinario per giustificare una mossa anomala. sull'evento. L'idea e' quella di creare in maniera del tutto credibile una situazione di divinizzazione del nostro territorio iniziale, con uno uno schema che parta dai riferimenti cattolici, ma che si esprime come segnale di raggio planetario transculturale. Le diamo un esempio (un suono diffuso senza fonte crea un vento che scompiglia le carte, il primo le raccoglie mormorando: "il Verbo, dove avete pescato questa tecnologia?". " Non possiamo dirlo in questa sala, signore, perche' e' segreto con solo dieci accessi). Con la gestione simbolica orientiamo il segnale verso l'idea che l'Italia, terra eletta e mistica, deve fare qualcosa di nuovo per il mondo. Saltiamo i dettagli. Il piano prevede una ragionevole canalizzazione dell'evento mistico senza che debordi in fondamentalismi o modifichi la cultura di attivismo economico e priorita' dei beni materiali della nostra gente. Alla fine la pressione popolare costringera' il governo ad assumere una nuova posizione. E con dolcezza ci muoveremo con celestiale legittimitazione verso la neutralita'.

3.4. Riprogettare un sistema militare per lo scenario neutralista non e' cosa facile. Dovremo comunque alzare la spesa. Di buono - qui il punto - e che il livello sara' simile allo scenario "dentro la Nato, ma ascari" in relazione alle pressioni di riarmo relativo che riceveremo comunque. Tuttavia, nell'opzione neutralista avremmo dei ritorni maggiori da questo investimento. L'idea e' quella di costruire una piccola forza armata flessibile, molto tecnologica e spaziale a sostegno delle operazioni aeree terestri e navali. Piu' un sistema antimissile. In tal senso erano i contenuti del bilaterale con gli americani detto sopra. Il vantaggio sarebbe quello di ricaricare il motore tecnologico e l'effetto spin off per l'industria civile. Sara' un modello di difesa difensiva. Ma puntando alle tecnologie futurizzanti ci daremo una capacita' molto ampia di strike unilaterali, con armi ad energia entro il 2016. E su piattaforma spaziale entro il 2025. Non e' previsto il ricorso ad armi nucleari, ma ci metteremo in grado di costruirle in pochissimo tempo ed i vettori saranno predisposti. Gli eventuali test non violeranno il Trattato di bando in quanto riusciremo a svilupparli con tecnologie di simulazione, anche migliori di quelle che americani e francesi gia' hanno.

Prevediamo una spesa militare routinizzata - a partire dal 2003 - attorno ai 25 miliardi di euro, poco meno di cinquantamila miliardi all'anno, ovvero il 2,5% del Pil. Da portare al 3% dal 2005 in poi. Dal 2010 e' difficile che la neutralita' ci costi meno del 5% del Pil (il primo ministro storce il naso).

Passo dopo passo comunicheremo sempre di piu' il neutralismo e questo dovrebbe sviare alcuni focolai di minaccia. Restera' il problema del controllo dei confini. Da risolvere evidentemente entro il sistema detto sopra, cioe' con nuove tecnologie (il primo ministro scartabella il dossier specifico che un ammiraglio gli presenta sotto gli occhi guardinghi di un aviatore).

In generale, comunque restera' un ombrello Nato di fatto, anche se non formale, perche' qualsiasi grave minaccia non prevedibile implichera' la solidarieta' internazionale. E comunque firmeremo un protocollo di caso peggiore con gli alleati, utile anche a mantenere lo scambio di informazione, pur senza esercitazioni, per l'integrazione dei sistemi operativi. la variante di protocollo riservato con gli americani per la nostra protezione non sarebbe mossa intelligente. Se saremo in grossi guai, abbiamo comunque abbastanza figli di emigrati in America per mobilitarli a nostro favore. In tal senso dovremmo fare una politica intelligente ed espansiva di passaporti e legami culturali.

3.5. L'uscita pur morbida dalla Nato potrebbe comportare seri stress economici. Bisogna evitarli attuando subito misure competitive. E comunque, in termini di criterio generale, la faticosa ricerca della neutralita' e' utile solo se la trasformiamo in attrattore di investimenti e capitali globali verso il nostro territorio nazionale. Senza questa componente, il vantaggio di defilarsi dai rischi e dalla ascarizzazione non varrebbe la candela.

Darci il segreto bancario ci metterebbe in seria frizione con gli europei e contrasterebbe con la costruzione in senso mistico del nostro marchio territoriale. Quindi ci resta solo la possibilita' di offrire un mercato interno liberalizzato e poche tasse. Se a livello europeo troviamo limiti eccessivi alla concorrenza fiscale, possiamo praticare un'alternativa del seguente tipo.

E' vietato fare off-shore. Ma proprio in base all'evento mistico detto sopra - anche per questo lo abbiamo messo in testa allo scenario - l'Italia potrebbe dichiarare di voler fare qualcosa di universalizzante e veramente buono. Creare la "Comunita'", una sorta di club mondiale degli uomini di buona volonta', ospitandola sul nostro territorio. Per finanziarla, il team di economisti ha pensato alla geneazione di un diritto speciale di cui possono godere, ad accesso selettivo (cioe' scelto da noi) tutte le unita' economiche del pianeta che dichiarano di devolvere parte dei loro profitti per il bene del mondo. A questi l'Italia dovrebbe permette l'insediamento chiedendo solo il 10% di tasse se queste versano il 5% del loro imponibile a favore della "Comunita'". Totale, 20% di carico fiscale diretto.

Sembra un perdita di gettito. In realta' oggi le imprese pagano mediamente perfino di meno pur con tasse formalmente piu' alte. Per esempio, le unita' internazionalizzate caricano i costi dove le tasse sono elevate ed i profitti dove queste sono di meno. Quindi noi perdiamo parecchio del loro potenziale fiscale. Inoltre tutte le imprese italiane o eludono legalmente il fisco o, semplicemente, lo evadono. Con minori tasse e con il marchio morale, piu' quello della neutralita' che facilita gli accessi gloabali, avremo complessivamente piu' unita' economiche, piu' crescita, meno tasse, ma piu' gettito fiscale, se comparato all'attuale. Poi, gestendo in modo indiretto, ma intelligente, le enormi risorse della Comunita', avremo una grande leva finanziaria per sostenere operazioni internazionali di sviluppo, eventualmente orientabili a nostro favore pratico.

Qualunque europeo, inferocito per la concorrenza fiscale, protestasse troverebbe l'indignazione dei buoni del mondo (e del Vaticano che si prendera' una certa fetta). Chiunque volesse imitare sarebbe secondo e perderebbe legittimita', cioe' immagine. Anche perche' gli lanceremmo contro una campagna di demonizzazione.

Con questo stratagemma stimiamo di poter attrarre, in pochi anni, le sedi legali di almeno cinquemila societa' globalizzate di livello maggiore e decine di migliaia di altre piu' piccole. Oltre a tenerci a quelle italiane che stanno delocalizzando. Se la Borsa ed il sistema bancario vengono riformati ed efficientati di conseguenza, il cerchio virtuoso si chiude e si potenzia.

In tale scenario registriamo, tuttavia, il fatto che il successo in questa attrattivita' ci renderebbe bersaglio appetibile non tanto per per atti terroristici del tipo detto sopra, quanto di ecosabotaggi vista la densita' di multinazionali che ospiteremo. In casi di sviluppi, dovremo mettere un selettore che minimizzi questa probabilita'..

3.6. Abbiamo valutato il possibile impatto delle mosse dette sul piano europeo. La parte militare non ci pone grossi problemi. Possiamo invocare lo status della Svezia o dell'Austria. Di fatto, tuttavia, uscendo dalla Nato comunichiamo che non siamo disponibili alla formazione di un sistema di difesa europeo con noi dentro, per ovvia simmetria. Se lo fanno lo stesso, ipotesi poco probabile, ricarichiamo il bilaterale con gli Stati Uniti e con gli inglesi, isolando Francia e Germania. Che, per evitare tale scenario, non lo faranno. Anche perche' non ne hanno bisogno.

La reazione piu' forte avverrebbe contro l'aumento della competitivita' economica del territorio italiano. In tal caso la nostra uscita dalla Nato verrebbe utilizzata come strumento per minare la nostra credibilita', con conseguenze di aumento della percezione del rischio paese da parte del mercato. L'unica contromossa possibile e' quella di far sospettare agli altri che potremmo anche uscire dall'euro se esagerano. Il precedente dell'uscita della Nato renderebbe non irrilevante tale nostra minaccia. L'Alleanza puo' prosperare senza di noi. Ma non la moneta unica. Tuttavia e' strada molto pericolosa se non troviamo almeno un altro partner europeo che ci aiuti sulla stessa strada. E, al momento, non se ne vedono.

Un gruppo di lavoro ha valutato l'ipotesi di azioni destabilizzanti nel caso americani o europei non volessero lasciarci uscire dalla Nato o, i secondi, lasciarci mani libera per la competitivita', evidentemente a lor grande danno. Azioni violente potrebbero essere boomerang. Montare un movimento popolare pro-Nato e' investimento faticoso ed incerto. Avrebbero come unica mossa quella di creare una crisi finanziaria in Italia. Cioe' anticipare loro stessi l'ipotesi di nostra espulsione dall'euro. In tal caso non abbiamo difesa. Anche perche' se messa cosi', la nostra uscita dalla moneta unica la rafforzerebbe invece che indebolirla. Su questo punto non abbiamo trovato contromosse.

3.7. Con questo ultimo punto, la probabilita' di successo dell'azione, stimiamo, e' di circa il 30%. " Bassina - fa il primo ministro - passiamo al secondo scenario".

 

4. Scenario In-Plus

Il capo scenarista lascia il posto a Carlo Pelanda. Eccellenza, le presento uno scenario di impostazione strategica dove l'interesse nazionale italiano viene interpretato non in termini di strategia sovrana eunilaterale - che ritengo impossibile anche se affascinante - ma di nostra propulsione entro un quadro cooperativo occidentale. Il piano concettuale complessivo e' apparso nel volume lo "Stato della crescita", apparso nel febbraio 2000 per i tipi di Sperling & Kupfner. Mi permetta qui di enfatizzare un approccio che parte dai requisiti di architettura politica del mercato globale. L'idea e' quella di risolvere i disagi dell'Italia, detti nell'innesco e in generale, prendendo noi un forte attivismo, entro la Nato e la EU, che spinga verso la formazione di un sistema euroamericano. L'ipotesi e' che in tale movimento noi ci troveremmo molto meglio.

4.1. Attualmente il cuore dell'Occidente e' diviso in due parti, americana ed europea che, pur alleate, non lo sono abbastanza per unirsi e cosi' formare il motore ordinante del pianeta. Semplificando, ci sono due motivi per tale relativa divergenza:

(a) i modelli politici, anche se varianti del medesimo ceppo di Welfare State, sono sostanzialmente diversi e cio' provoca tensioni per la poca coincidenza dei rispettivi interessi economici;

(b) esiste ancora una tradizione di visione geopolitica che vede gli americani perseguire una politica di potenza globale unica. Da una parte tale tendenza solitaria e' dovuta al fatto che gli europei sono sovente divergenti sul piano della visione geopolitica con gli americani e, comunque, non organizzati per conferire ad una fonte di ordine mondiale le risorse di forza militare che servirebbero. Dall'altra, gli Stati Uniti non stanno facendo alcuno sforzo per generare un'alleanza con gli europei che superi quella tradizionale basata sul comando indiscusso dei primi. E questo ostacolo e' ben piu' duro da superare.

Tirando un linea a partire da quello che esiste adesso, possiamo certamente prevedere che migliorera' la cooperazione futura per la gestione delle emergenze planetarie e per evitare conflitti commerciali eccessivi, cioe' la convergenza per i casi negativi, ma nulla mostra che le relazioni evolveranno verso una convergenza positiva. Questa definita come la condivisione di un'idea di mondo e delle risorse per perseguirla.

Cio' vuol dire che il pianeta ha un ordinatore debole e non forte come sarebbe necessario. E' un problema di scala. Gestire un sistema globale implica che l'ordinatore deve avere una grandezza commensurabile con l'estensivita' ed intensivita' dei problemi che possono sorgere. La coperta, cioe', deve essere almeno grande quanto il letto. In teoria, le risorse americane ed europee, se integrate, lo sono. Inoltre una loro alleanza forzerebbe il Giappone a farne parte, ponendo gli altri grandi poteri emergenti (Cina, India e, riemergente, Russia) nella stringente alternativa o di accettare costi altissimi per opporsi alla coalizione occidentale oppure di accettare la cooperazione con essa, fino, passo dopo passo farvi parte. E l'idea e' proprio questa. Un nucleo forte di cultura occidentale che coopti con bastone e carota nei prossimi decenni tutti gli altri paesi. E nascerebbe una comunita' globale politica, precursore di istituzioni globali. Ma tutto il gioco comincia dalla formazione di un sistema euroamericano integrato.

4.2. L'alleanza basata sul primato degli Stati Uniti non e' configurata per aumentare la forza ed estensione delle politiche di sicurezza. Poiche' la pur potentissima America non e' in grado di fare da sola il gendarme di un mondo sempre piu' grande, di fatto il mercato globale si trova caratterizzato da un gap di stabilita' nel presente che si amplifichera' nel futuro se non cambia qualcosa.

Da una parte, l'evidenza di questo problema dovrebbe alla fine portare per forza di cose verso una maggiore integrazione militare trilaterale. Dall'altra tale consapevolezza di prospettiva non riesce ad emergere perche' soffocata da altri criteri correnti.

Negli Stati Uniti l'idea che l'America non possa fare il poliziotto globale da sola non provoca una pressione verso l'espansione paritetica delle alleanze, ma una contrazione del raggio di definizione dell'interesse nazionale vitale. Tale approccio e' debole in quanto ridurrebbe la dissuasione contro i possibili suscitatori di emergenze umanitarie e, in generale, chiuderebbe troppo sul piano nazionale introverso il potenziale cooperativo permettendo ad altri alleati di fare lo stesso con il risultato di depotenziare il complesso. In particolare, si sta creando un cortocircuito tra nuovi impegni di ingerenza umanitaria e tendenza a ridurre quelli militari in generale.

L'Europa ha ancora un sistema militare frammentato in nazioni, specchio della sua incompletezza politica. Cosa che rende arretratati gli armamenti nonche' disorganizzato e sottocapitalizzato il potenziale militare complessivo. Soprattutto, l'UE non ha ancora una chiara idea di cosa debba fare verso l'esterno. Anche perche' per i grossi guai ci pensa l'America. Infatti l'ambiente europeo e' stato degradato, sul piano delle politiche militari e di sicurezza, da decenni di assitenzialismo strategico statunitense, abituandolo a rannicchiarsi sotto l'ala dell'aquila. Cosa complicata da un effetto di debellicizzazione del sentimento popolare europeo che non favorisce la strutturazione di nuove politiche di sicurezza a raggio globale, pur non impedendole per casi limitati.

4.3. Apparentemente e' molto difficile integrare i due continenti in una piattaforma comune. In realta' si tratta di tagliare il problema a fette rafforzando l'alleanza prima sui problemi piu' urgenti e poi lasciare che il resto si organizzi di conseguenza nel tempo.

La priorita' riguarda il problema di evitare conflitti nucleari o biochimici in qualche parte del pianeta. Sul lato della carota la questione va trattata attraverso vie negoziali di disarmo e autolimitazioni dei potenziali. Come e' in corso da anni. Ma le potenze nucleari emergenti - Cina, India, Pakistan e, nel futuro, Iran ed altri, con l'inquietante ambiguita' geopoliica della Russia, ecc. - hanno percepito la debolezza occidentale sul piano della "grande strategia" e quindi ritengono che aumentare i loro arsenali di mezzi di distruzione di massa possa portare ad una monetizzazione politica. Quindi la carota senza bastone, in uno scenario che sta diventando turbolento, serve a poco. Questo fatto e' riconosciuto da tutti - cioe' e' per tutti gli occidentali e giapponesi interesse vitale evitare conflitti e ricatti nucleari in qualsiasi parte del pianeta - e si tratta di partire da qui per costruire un pezzo del sistema futuro.

E anche noi, primo ministro, dovremmo pensare cosi'. Non e' possibile definire l'interesse nazionale in forme introverse nel nuovo scenario globale. Nel senso che tutti abbiamo bisogno di una struttura di sicurezza e di guida del pianeta senza la quale nessuno di noi occidentali e' al sicuro. E dobbiamo risolvere il nostro disagio entro la Nato e l'UE entro questo quadro logico e non al di fuori. per essere chiari, non abbiamo altre opzioni.

4.4. La soluzione, sul lato del bastone, e' quella di costruire un sistema militare occidentale di superiorita' assoluta che renda impossibile l'uso effettivo di armamenti di distruzione di massa ed il loro sfruttamento per monetizzazioni politiche. I suoi precursori tecnici esistono gia', per lo piu' americani. Da questa base si tratta di sviluppare un'architettura di alleanza che evolva continuamente mantenendo la credibilita' di impedire all'avversario l'uso dei suoi strumenti di distruzione di massa. Per questo si chiama superiorita' assoluta. Non serve solo a vincere una guerra, ma ad impedire agli altri di farla.

E' possibile? Certamente, se ci fosse la convergenza dei sistemi industriali e scientifici, nonche' delle spese militari, di americani, europei e giapponesi. Ed e' anche possibile tenere a distanza di un secolo-tecnologia qualsiasi altro concorrente, capace che sia. La separazione delle risorse, invece, porterebbe solo a sistemi ad efficacia limitata. Quindi tale processo di integrazione e' caldeggiabile perche' si fonda sul praticissimo fatto che nessuno dei tre poteri industriali maggiori nel pianeta ha da solo i soldi sufficienti per ottenere la sicurezza globale che' fonte prima della ricchezza economica di ciascuno.

L'idea assomiglia a quella gia' utilizzata dagli strateghi di Reagan per far collassare l'Unione Sovietica. In effetti e' cosi', pur con varianti. Di fronte ad un sistema del genere, la Cina o l'India troverebbero inutile continuare a spendere enormi risorse per diventare potenze militari di primo piano. Non ce la farebbero. Ogni passo di loro riarmo concorrenziale, oltre che inefficace, porterebbe i minacciati ad abbonarsi all'ombrello trilaterale, e i cattivi resterebbero impoveriti ed isolati. Su tale base, poi, potrebbe intervenire una strategia della carota per riarmonizzare tutto l'insieme.

Il valore del sistema di superiorita' assoluta si estende ad ogni possibile guerra, anche di tipo tradizionale. E cio' avrebbe un effetto pacificante generalizzato. Sottoposto a manutenzione ed evoluzione per fargli svolgere la funzione continua di polizia internazionale, cooptando man mano tutte le nazioni del pianeta nell'impegno.

E' vero, il problema piu' ostico sarebbe dato dall'effetto di generare piu' rischi di azioni terroristiche per il fatto gia' commentato che le nazioni impossibilitate a sfidare apertamente la Pax non avrebbero altri modi. D'altra parte per evitare tale rischio non si puo' lasciare lo sfogo della guerra aperta perche' sarebbe portatore delle stesse crisi per altra via. Inoltre gia' oggi e' in atto una funzione regolativa occidentale, anche se solo di superiorita' relativa, che deprime comunque i potenziali bellici e di interessi altrui. Non e' certo evitando lo sviluppo di superiorita' assoluta che si minimizza il rischio di terrorismo. Al contrario, e' proprio l'aumento della capacita' dissuasiva che puo' sortire tale effetto.

4.5. In sintesi, il primo passo di integrazione forte trilaterale, e dentro di essa un fortissimo nucleo euroamericano, riguarda la costruzione evolutiva di un sistema di intervento militare globale a capacita' assoluta. Da una parte serve ad aumentare la sicurezza. Dall'altra e' piattaforma solida per ulteriori integrazioni. La strutturazione del sistema implica fusioni industriali tricontinentali. Poiche' un modello militare coincide con quello industriale di settore - e con l'industria a tecnologia avanzata in generale dato che i nuovi strumenti bellici sono basati su di essa - e' evidente che la cooperazione tecnica dovra' portare a sempre piu' maggiore integrazione politica ed economica. In generale, la strutturazione trilaterale dell'ombrello planetario di sicurezza puo' diventare l'innesco, dall'alto, di una serie progressiva di integrazioni a cascata. E cio' darebbe all'Occidente la configurazione tendenziale di ordinatore forte globale.

4.6. Il nostro vantaggio nazionale in tale visione e' che le nostre dipendenze sgradevoli, sia da francesi e tedeschi sia da americani, vengono diluite dalla maggiore integrazione. E, nel momento in cui passa la logica "di scala", cioe' il fatto che la coperta debba diventare grande come il letto, il nostro contributo pur di piccolo Paese, verra' esaltato. Sopratutto avremo per leva politica cooperativa accessi alla tecnologia avanzata che nazionalmente non possediamo. E, piu' importante di tutti, la possibilita' di dire la nostra nella definizione dei nuovi standard industriali globali. In sintesi, un politica In ci darebbe un Plus nazionale che non possiamo conquistare altrimenti.

4.7. La fattibilita' di questo scenario e' incomputabile perche' nessuno lo prevede in tale forma forte. Ma noi dovremmo perseguirlo perche' e' la cosa piu' logica da farsi in quanto offre una convergenza paritetica degli interessi nazionali verso un'utilita' comune incontestabile. Siamo troppo piccoli e poco credibili per parlare un linguaggio cosi' grande? Figurarsi, gli altri non stanno meglio di noi. Washington non sa che pesci pigliare, i francesi non hanno la piu' pallida idea di dove portare la loro minigrandeur, i tedeschi sono ricantucciati nel piccolo cabotaggio, gli inglesi fanno i cagnolini degli americani e i giapponesi sono contenti solo di riuscire a galleggiare. Sintesi, l'Occidente non ha una direzione. Questa e' la fonte del grande disagio che tutti si sta provando. Lo si risolve tirando fuori una nuova direzione comune. Con il nostro pieno diritto di nazione protagonista di suscitare il problema e di proporre soluzioni.

Alla prossima puntata.