HOME PAGE

L'urgenza di un neoliberismo pragmatico per l'Europa

di Carlo Pelanda (1999)

.

1. E' il momento della scelta tra due Europe: (a) socialista, chiusa e blocco economico conflittuale con il resto del mercato globale; (b) liberista e aperta. La prevalenza attuale dei governi socialisti (che sono maggioritari in nove su undici nazioni aderenti all'euromoneta) indirizza lo scenario verso la prima opzione. Ma questa é in contrasto con i requisiti del mercato globale. Quindi la volontà socialista in Europa si scontra con la realtà più liberalizzata dominante nel pianeta.

Per essere chiari, non é che il mondo sia effettivamente liberale e liberista. Solo gli Stati Uniti ed i paesi anglofoni tendono ad esserlo in forma di modello politico esplicito, socialmente condiviso ed istituzionalmente evoluto. Il resto non lo é. Ma é comunque relativamente aperto alla libera circolazione del capitale. Ed é proprio la globalizzazione di questo che rende il pianeta "liberista", in un senso molto ristretto, ma tuttavia in grado di mettere in difficoltà il programma degli eurosocialisti. Il capitale libero e mondializzato può scegliere autonomamente dove andare. Un'Europa socialista che non riesce a remunerarlo, perché deprime la crescita, lo perderà. E meno investimenti produrranno un'ancora più evidente insostenibilità economica del modello statosocialista. Se permane la libera circolazione internazionale del capitale il progetto eurosocialista non potrà compiersi. In tale scenario l'Europa prima o poi dovrà liberalizzarsi per non crollare.

Ma tale ipotesi non é per nulla rassicurante. I governi eurosocialisti stanno comunque tentando di costruire un euromodello anticapitalista. E sarebbe ben poca la soddisfazione di vederlo sfaldarsi sotto i colpi della povertà. Inoltre gli eurosocialisti sanno benissimo che la loro scommessa di statalizzare l'economia risulta impossibile se non saranno capaci di isolare il continente dal mercato globale, ovvero dalla libera circolazione del capitale. E non possiamo escludere che ci riescano, guidati dalla Germania rosso-verde, vedendo che oggi ci stanno tentando pur con l'opposizione della Spagna di Aznar e del Regno Unito di Blair. Ciò prolungherebbe l'agonia economica dell'Europa e ne renderebbe perfino più devastante il tracollo. Inoltre comprometterebbe l'intero mercato globale inserendovi un blocco grande ed ostile alla libera circolazione dei capitali e delle merci.

Per tale motivo qui si si cercherà di impostare una discussione che cerchi di anticipare la riforma europea in modo tale che essa avvenga non dopo l'evidenza del collasso economico, e del suo costo sociale, ma il più presto possibile. E prima di passare alle tattiche politiche per riportare il consenso dal socialismo al liberalismo-liberismo nelle diverse nazioni europee, va costruita e chiarita la strategia comune delle forze antisocialiste. Che al momento non ne hanno una. E dovranno averla, in ogni paese, molto presto. Già nel 2000-2001 l'Italia andrà ad elezioni politiche e dovrà tentare di rovesciare il devastante risultato di sinistra del 1996. La Spagna dovrà confermare quello di centrodestra. Entro il 2003 (anno della conversione finale delle monete nazionali in euro) Francia e Germania avranno la chance di mandare le sinistre in minoranza. E saranno, senza togliere importanza a nessuno, le elezioni nazionali più importanti. Il punto é che dopo l'euro aumenta la necessità del coordinamento europeo delle forze nazionali antisocialiste. E queste devono rispondere, oltre che alla domanda "quale nostra nazione vogliamo?" anche quella "in quale Europa vogliamo stare?". Perché le due cose sono ormai inseparabili.

 

2. Dopo l'euro non é possibile che un paese memebro faccia una politica fiscale e uno un'altra. Il che non vuol dire che non si possa avere una certa e salutare concorrenza fiscale tra paesi. Significa solo che questa non può essere di grande entità. Per esempio, la moneta ed il mercato unico salterebbero se in Germania le tasse fossero in media il 25% ed in Italia il 50%. Quindi i paesi devono convergere verso una certa omogeneizzazione fiscale. La scelta tra socialismo e liberismo, tra povertà e ricchezza, é, in sostanza, la seguente: o una convergenza verso l'alto fiscale o verso il basso. Attualmente la dominanza eurosocialista porta verso la prima opzione. Ma se si vuole fare la riforma liberal-liberista, tutti gli antisocialisti europei devono essere d'accordo e, soprattutto, in grado di farla. Vuol dire che - almeno nei paesi più grandi- deve essere proposto un nuovo modello di Stato, e di transizione da quello vecchio, che sia realmente applicabile. In sintesi, il problema é quello di avere le idee chiare sul come passare dallo Stato sociale ad uno liberalizzato e di trovare una formula che possa andare bene in Italia, Germania, Francia, Spagna (e Regno Unito). Non é facile.

E' molto più facile per i socialisti attuali "armonizzare" modelli già simili di Stato sociale che operano verso carichi fiscali elevati. In Italia è il 48% circa, ma in Germania e Francia é poco meno. Un problema ulteriore é che é molto più semplice omogeneizzare l'Europa in modo socialista che liberal-liberista. Anche perché si elimina una difficile (per il consenso) riforma delle garanzie.

Questo punto non va sottostimato. Qualora riuscissimo in un paese come l'Italia ad avere una maggioranza con la volontà politica di detassare e liberalizzare, questa avventura nazionale diventerebbe infattibile qualora gli altri paesi principali restassero socialisti. Non ce lo lascerebbero fare o il farlo lo stesso provocherebbe ritorsioni costose. Se un paese resta socialista ed altri due o tre principali no, allora questo sarebbe costretto a piegarsi. E' una semplificazione, ovviamente, ma rende l'idea. E definisce il compito strategico per i liberal-riformatori.

 

3. Il pensiero liberal-liberista non può proporsi come semplice riduttore dello Stato sociale. Deve piuttosto disegnare un nuovo tipo di garanzie che siano più amichevoli nei confronti del mercato. Nessun cittadino che gode di forti tutele é disposto a mollarle. Accetterebbe il cambiamento solo quando diventerebbe evidente che tali garanzie sono in realtà false e che provocano impoverimento. Ma sarebbe troppo tardi per evitare l'impoverimento. E in merito vanno fatte due considerazioni fattuali. La prima é che una massa enorme di cittadini nei diversi Stati europei vive di assistenzialismo. Se una parte di questo elettorato non é convinto a mollare le vecchie garanzie per accettare le nuove, l'offerta politica liberalizzante non vincerà mai e resterà testimonianza solo romantica. La seconda é che lo Statosocialismo é sempre più insostenibile. Quindi i tutelati verrano ridursi il numero di tutele offerte dalla sinistra. Voteranno in massa nuove Tatcher?

Non é detto. Proprio l'analisi delle elezioni in Francia, Germania ed Italia mostra che l'ansia provocata dalla prospettiva di meno garanzie aumenta il consenso a favore di chi le offre, pur irresponsabilmente. Così, di fronte alla novità di un'economia globale e competitiva che non rende più possibile il protezionismo sociale, la gente ha semplicemente premiato chi ha promesso di riuscire a mantenerlo. L'esempio più clamororso é quello della Germania orientale nell'ottobre 1998. La prima volta, dopo la riunificazione, ha votato in maggioranza un modello con un certo tasso di liberalismo. Sperimentato questo, ovvero i requisiti competitivi del capitalismo (pur addolciti dal modello pesantementemente assistenziale tedesco) ha premiato l'offerta politica di chi garantiva l'accesso alla ricchezza per diritto invece che per capacità competitiva. In altre parole, l'offerta politica liberale e liberista non può essere ansiogena, perché sconfitta in partenza, ma deve proporsi in modi rassicuranti.

Tale considerazione ne chiama un'altra di carattere antropologicco. L'ambiente sociale europeo (continentale) é molto abituato a protezioni fornite dallo Stato. Molto di più, per esempio, che non quello statunitense. In quest'ultimo, da generazioni, il cittadino medio si é adattato ad arrangiarsi da solo. Ed é proprio questo fatto che ha permesso l'instaurarsi di un modello politico a minor tasso di statalismo di quello europeo nonché di una sinistra che accetta come premessa il libero mercato. In essenza, i cittadini statunitensi non si aspettano dallo Stato tutele oltre misura e sono predisposti a crearsele in proprio, individualisticamente. Ma, appunto, la storia e la società in Europa é diversa. A tal punto che i liberal-liberisti in questo continente non hanno base sociologica sufficiente per poter proporre uno "Stato minimo", ovvero la pura e semplice abrogazione delle garanzie. L'ambiente europeo del consenso, al contrario, obbliga a sostituire le vecchie garanzie con delle nuove più amichevoli nei confronti del mercato più che azzerarle. Il che ci porta immediatamente alla domanda di quali siano queste nuove garanzie.

Prima di rispondere va analizzata la crisi di sostenibilità dello Stato sociale di tipo europeo continentale. Le sue cause sono note. Le garanzie sono state concepite come accesso per diritto al benessere di massa e come costruzione di una enorme burocrazia per organizzarlo. Ciò ha soffocato tutti i meccanismi di creazione della ricchezza caricando di costi e rigidità l'economia reale. Questa ha reagito crescendo di meno e quindi non finanziando con il gettito fiscale i costi delle garanzie stesse. Gli Stati hanno aumentato le tasse ed il ricorso al debito per pagare gli obblighi protezionistici. Ma ciò sta strozzando a spirale l'economia reale rendendola meno competitiva proprio nel momento in cui la concorrenzialità sul piano dell'efficienza é diventata massima a causa della globalizzazione. E ciò sta provocando l'impoverimento di massa. Che viene amplificato, entro il modello statosocialista, dal fatto che i requisiti della moneta unica obbligano gli Stati al pareggio di bilancio e quindi limitano la tipica soluzione socialista ai problemi economici che é quella di indebitarsi ed aumentare la spesa pubblica per fini protezionistici. Calo dei consumi interni e minore concorrenzialità verso l'esterno rendono l'Europa statosocialista destinata alla stagnazione endemica ed alla deindustrializzazione progressiva. E questo destino é certo, senza cambiamenti. Ma é incerto il "quando" ci sarà l'evidenza del collasso. Infatti il sistema statosocialista (dove circa il 50% del capitale circolante passa attraverso la burocrazia) é in grado di tenere relativamente elevati i redditi anche quando il motore dell'economia reale rallenta o grippa. Non per sempre, ovviamente, ma può ritardare l'evidenza della crisi di modello per molti anni. Significa che l'evidenza della insostenibilità dello Stato sociale può essere nascosta anche dopo che la realtà sia già stata compromessa. E vuol dire che non si può contare sull'evidenza del tracollo per ottenere un cambiamento nelle ondate di consenso attuale. Si aggiunga che gli elettorati risponderanno culturalmente alla crisi delle garanzie chiedendone, fino all'ultimo di più. E che troveranno un'offerta politica socialista ben felice di promettere l'illusione. E per rendere credibile questa incredibile promessa cercheranno di limare il più possibile i costi crescenti dello Stato sociale, prolungandone l'agonia.

Quanto enfatizzato serve a far capire che una proposta liberalizzante, pur risolutiva, non troverebbe comunque facile consenso pur nella crisi dello statosocialismo. Pare ovvio che nell'ambiente europeo il socialismo vada sfidato sul suo stesso terreno. Uno Stato più "sociale" di quello nominalmente tale che allo stesso tempo sia più amichevole nei confronti del mercato.

Per fortuna tale tipo di nuovo Stato é pensabile, almeno sulla carta. Non si tratta, infatti, di abolire le garanzie, ma di trasformarle da "passive" (redistributive) in "attive" (cioé di investimento sull'individuo. Per esempio, oggi un lavoratore in Italia, Francia e Germania é tutelato in forma protezionistica. Il denaro pubblico lo tira fuori dai guai quando l'azienda non tira o prepensionandolo o dando all'azienda stessa, via mediazione sindacale, dei benefici speciali che le permettano di non licenziarlo. E' una tutela costososissima e che comunque, nell'epoca della competizione globale, non regge. Ed infatti sempre più lavoratori se ne accorgono. Sarebbe molto meglio garantire il trasferimento da un posto non concorrenziale ad uno competitivo. Per esempio facendo con denaro pubblico un prestito d'onore al lavoratore in mobilità e aiutandolo a formarsi per la nuova occupazione. Ciò sarebbe un costo, ma molto minore della tutela assoluta. E un tale sistema non avrebbe meno "socialità" di quello precedente, ma di più. Aiuterebbe infatti il lavoratore ad avere sempre un valore sul mercato invece di finanziarlo quando non ce l'ha. Appunto, la garanzia evolverebbe da una forma passiva ad una attiva. In cambio, il lavoratore dovrebbe accettare più mobilità sia intellettuale che fisica. Proprio la crescente evidenza che la globalizzazione impone sempre più tale mobilità dovrebbe aiutare il consenso verso la nuova forma di garanzia attiva qui esemplificata.

In sintesi, la piattaforma neoliberista non lascerebbe la gente sola di fronte all'economia competitiva, ma la aiuterebbe - individuo per individuo- a formarsi ed a rinnovare il proprio valore di mercato. Più la tutela attiva diventa credibile e più sarebbe politicamente comunicabile l'idea di mobilità occupazionale. Senza l'accettazione della quale sarebbe impossibile sfoltire i dipendenti pubblici ed il popolo assistito.

E' ovvio che la sostiuzione dello Stato sociale implica molti più passaggi di quello detto. Ma questo é il punto centrale: il cittadino bisognoso di tutela deve sentire che lo Stato neoliberista non lo lascia solo, ma l'accompagna nel percorso competitivo nel mercato. Certamente non piacerà agli anarcoliberisti ed ai liberisti classici. E non piace, culturalmente, a chi scrive. D'altra parte dobbiamo renderci conto che ci vogliono tempo e galleggianti per far nuotare gli individui che non sanno farlo. E se non si danno loro questi strumenti, credibilmente, non é possibile attendersi che questi votino il mare abbandonando la terra. Il punto sembra chiaro.

Ma non é solo figlio del problema di come rendere appetibile il liberismo economico ad una popolazione diseducata alla competitività. Comunque l'evoluzione del mercato globale richiede individui sempre più competenti. Il mercato, da solo, non é in grado di formare queste competenze. Ci vuole quindi qualcuno che dia più istruzione ai singoli nella loro vita giovane, la rinnovi continuamente in quella matura, e che fornisca tutele provvisorie nei momenti di transizione individuale creati dalla turbolenza del mercato competitivo. Tale riflessione deve essere fatta all'interno del movimento liberista. E' vero che il suo fondamento resta valido: hai un problema nel mercato? Inserisci più libertà e lo risolverai. Ma é vero solo a condizione che la maggioranza dei cittadini siano in grado di utilizzare la libertà. E se non lo sono, per loro la libertà diventa solo selezione negativa. Quindi di fronte ad una popolazione europea che é mediamente non abituata al mercato competitivo cosa facciamo: recitiamo il vecchio dogma liberista o cerchiamo di tradurre in politica realizzabile il libro? La seconda opzione appare quella più pratica. Detto in modo più elegante, il movimento liberista deve porsi il problema di costruire i precursori che rendono la libertà accessbile alle masse. E questo vuol dire inventare le garanzie neoliberiste, cioé lo Stato neoliberista e non solo la teoria dello Stato minimo e mercato massimo.

Più in generale, lo Stato sociale é insostenibile per il fatto che é squlibrato sul piano dei costi a scapito della creazione della ricchezza. Il neoliberismo qui proposto non tenta banalmente solo di ribilanciarlo cercando un equilibrio tra crescita economica e tasse. Un tale equilibrio - l'illusione del modello renano- é comunque impossibile in un'economia basata sulla competitività globale. Il sistema, piuttosto, deve essere riformato sbilanciandolo verso la creazione della ricchezza e l'efficienza capitalistica, cioé verso la crescita. Ed il bilanciamento sociale non va cercato finanziando fiscalmente chi non ce la fa a seguire, ma, al contrario, mettendo più gente in grado di partecipare all'economia competitiva grazie alle garanzie "attive". E per questo motivo il nuovo modello di Stato, nella tradizione europea continentale, deve prendere il nome di "Stato della crescita". Tradotto in inglese, il compito strategico dei neoliberisti europei può dirsi: "From the Welfare State to the Growth State".

Questo é il pilastro centrale del futuro buongoverno europeo: ogni nazione principale basata su un modello di Stato della crescita.

 

4. L'eventuale - e qui invocato- cambiamento di modello economico degli Stati nazionali eurocontinentali, come detto sopra, comporterebbe la trasformazione dell'Europa da sistema chiuso, come tende ad essere nel presente, ad aperto. E tale trasformazione futura, oltre che rendere più ricca l'Europa stessa, sarà un fattore di potenziamento dell'intero mercato globale.

Il punto é che un'Europa più liberalizzata ha meno bisogno di protezioni economiche. Quella socialista deve per forza incrementarle, creando i precursori per un cortocircuito globale. Finora si é molto discusso sui temi "introversi" dell'Europa, ma ben poco sul ruolo del continente per consolidare il mercato globale ed il suo futuro ordine politico. I dati mostrano che il mondo potrebbe andare in un senso o nell'altro in base a quello che farà l'Europa. Una socialista, per lungo tempo, potrebbe trasformarsi in blocco economico a forte autarchia e, per questo, indurre anche altri a fare lo stesso. Un mercato mondiale fatto di blocchi regionali metterebbe a serio rischio la globalizzazione. Un'Europa aperta ed interessata a tenere aperto tutto il pianeta si troverebbe di fatto alleata con gli Stati Uniti in una pressione di scala formidabile capace di condizionare in direzione aperturista anche i mercati emergenti. In particolare, un'Europa più liberalizzata avrebbe meno difficoltà, in prospettiva, a costruire un mercato integrato con l'area del NAFTA (North America Free Trade Area) e, quando emergerà meglio, con quello sudamericano del Mercosur. E' difficile scenarizzare macrodimensioni di un futuro proiettato a dieci o venti anni. Tuttavia é forte la sensazione che un tale assetto internazionale possa fare da pilastro all'intero mercato globale, adomesticando soprattutto i sistemi asiatici al modo occidentale di concepire le regole economiche ed il loro collegamento alla democrazia. Poiché la seconda implica costi, cioé una forma comunque sociale di Stato voluta da elettori bisognosi di tutela che possono averla attraverso il voto, é ovvio che i paesi democratici hanno uno svantaggio competitivo strutturale nei confronti di quelli non democratici. Ed é altrettanto ovvio che é interesse dei paesi occidentali costringere quelli, specialmente, asiatici ad inserire sempre più democrazia nel loro modello interno. Il problema é che per ottenere tale risultato in un mondo asiatico che, a parte l'India, teorizza il liberismo economico senza liberalismo politico (il Giappone é democratico più nella forma che nella sostanza) bisogna dare massa critica condizionante all'interesse degli occidentali. E solo la combinazione tra americani ed europei può assicurarla. Messi insieme, formerebbero l'alleanza geoeconomica e geopolitica più forte del pianeta. Separati, sarebbero ciascuno un blocco più piccolo dell'emergente Cina. Questa pennellata frettolosa al riguardo di uno scenario che entrerà prorompente nelle nostre case attorno al 2010 vuol solo far intuire quanto sia importante la velocità della riforma interna degli Stati europei. Per renderli aperti e competitivi ci vorranno parecchi anni di transizione. Se comincia il prima possibile, allora c'é una buona speranza che si arrivi in tempo all'appuntamento con il nuovo ordine mondiale. Se, invece, l'Europa resta socialista e chiusa per troppo tempo é probabile che l'intero sistema mondiale si configuri come insieme di blocchi frammentati generando una debolezza del modello occidentale. Quello che ci giochiamo, adesso, nella capacità di disegnare e far vincere presto un nuovo modello di Stato in Europa va oltre per importanza all'Europa stessa. Tocca il mondo. E tale considerazione dovrebbe rendere tutti i liberisti-liberali europei meno libreschi e più pratici.