New economy.
Il mercato ha fatto pulizia
Di Carlo Pelanda (29-5-2000)
Adesso bisogna stare attenti a non buttare via il bambino mentre si getta l’acqua sporca. Dopo circa due anni di eccesso di entusiasmo per la “Internet economy” ora, improvvisamente, si nota l’eccesso opposto: tutti vogliono liberarsi dei titoli azionari delle aziende Internet e dintorni; molti stanno rimandando le quotazioni di nuove imprese del settore (che servono a raccogliere il capitale per sviluppare un’idea). In particolare, il nuovo clima di sfiducia verso questa area tecnologica sta provocando un riesame forse eccessivamente severo delle sue prospettive di sviluppo futuro. Alcuni cominciano a dire, per esempio, che lo e-commerce è una bufala, che le aziende operanti sulla rete falliranno e cose del genere. Sembra un buon momento per analizzare il fenomeno con equilibrio e sobrietà, separando il mito – in un senso o nell’altro – dalla realtà.
Cosa è successo? Qualche anno fa il mercato
si è accorto che Internet aveva la capacità di modificare sostanzialmente i
processi economici in quattro direzioni espansive: (a) un mercato più grande;
(b) un nuovo modo di operare degli scambi; (c) un aumento dell’efficienza dei
processi produttivi grazie alla possibilità di usare più e meglio
l’informazione (per esempio il rapporto continuo in rete con i clienti permette
ad un’impresa, piccola o grande, di ridurre le scorte di magazzino e relativi
costi); (d) la nascita di un settore totalmente nuovo in forma di aziende che
offrono servizi su e via Internet. Così ha scontato in anticipo ed
entusiasticamente tali prospettive finanziando a piene mani i primi che
tentavano l’avventura su Internet e i settori da questa trainati (telefonici,
media, computer e server, produttori di software, ecc.). Va subito detto che il
mercato ha compiuto un’analisi corretta e che resta ancora valida. Ma, in
particolare dal 1998, su questa promessa razionale di decollo della novità si
sono inseriti degli eccessi speculativi.
Esempi. Gli speculatori hanno percepito l’entusiasmo
al riguardo di Internet e, visto che era altissima la probabilità di crescita
dei valori azionari collegati, non ha esitato a prendere soldi a prestito e ad
usarli per comprare azioni del cosiddetto triangolo Tmt (tecnologici, media e
telecomunicazioni). Dal settembre 1999 al febbraio 2000 ben 236 miliardi di
dollari (più di cinquecentomila miliardi di lire) sono stati mobilitati in tal
modo e riversati sul Nasdaq. Il cui indice è salito dell’88%. Altri
investitori, vedendo la crescita inarrestabile dei valori azionari della New
Economy, si sono aggiunti. Gli europei, osservando tale cuccagna in America,
l’hanno velocemente replicata in casa.
Il tutto ha creato una spaventosa bolla, cioè una sopravvalutazione dei
titoli oltre qualsiasi misura razionale. Tale fenomeno è stato ulteriormente
amplificato da altri giochini speculativi. Per esempio, quoto una nuova azienda
Internet le cui azioni, per i motivi di entusiasmo detti sopra, so che tutti
vogliono comprare senza neanche guardare di cosa esattamente si tratti. Tengo
il controllo del più delle azioni e ne metto sul mercato poche. E faccio in
modo che queste poche siano scambiate sempre al rialzo, fino, per dire, a
ragiungere crescite del 1000%. Ad un certo punto vendo il grosso, incasso, me ne
vado. E l’azienda “reale”? Dieci persone, una stanza, qualche computer ed una
capitalizzazione magari superiore a quella della Fiat. Follia. Ed infatti ad un
certo punto qualcuno – da marzo in poi - si è accorto che ormai si era superato
qualsiasi buon senso, che c’era troppa acqua sporca. In poche settimane la
bolla si è sgonfiata ed i titoli Tmt, in tutto il mondo, hanno perso circa la
metà del valore conquistato negli ultimi mesi. Adesso il problema è che la
caduta – sia dei valori azionari sia della fiducia sulle prospettive Internet -
sta andando troppo in basso. Se, da una parte, è giusto (e sano) che la bolla
si sia sgonfiata, dall’altra restano inalterate, anzi confermate, le buone
prospettive del settore. Le connessioni Internet stanno aumentando vertiginosamente
nel mondo (e l’Italia sta recuperando con sorprendente velocità il ritardo che
aveva nel passato). Si comincia a capire meglio quale sia il miglior uso della
rete. Per esempio, la possibilità del commercio di merci generiche on line
appare molto più limitata di quanto gli analisti prevedevano. Ma l’uso della
rete negli scambi commerciali tra imprese (business to business o “B2B”) mostra sviluppi sorprendenti ed imprevisti.
In sintesi, la Internet Economy “reale” sta finendo il suo svezzamento e solo
ora mostra cosa saprà fare da grande. Moltissimo. In particolare, si sta
confermando il fenomeno – già anticipato in queste pagine – che tutta la “old
economy” sta diventando “new”. E ciò aumenterà la capacità competitiva dei
settori tradizionali (scarpe, sedie, mobili, ecc.). In conclusione, avremo una
forte espansione non solo di aziende specializzate in operazioni Internet, ma
anche di tutto il resto che dovrà per forza e per vantaggio operare in rete. Il
che lascia ipotizzare una sinergia espansiva formidabile tra vecchio e nuovo.
Quindi sarebbe sciocco, dopo l’eccesso di entusiasmo, cadere in un altrettanto
irrazionale pessimismo al riguardo della Internet Economy.