APPUNTI DI METODOLOGIA GENERALE

Scienza e metodo secondo una prospettiva di "sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale"

 

Di Carlo Pelanda

 

Istituto di Statistica, Università di Trieste

 

Gennaio 1985

 

Avvertenza: Nell'eventuale citazione di questo testo si prega

di segnalarne la natura preliminare.

 

 

SOMMARIO

 

0 Premessa

 

1 L'analisi della scienza attraverso modelli evoluzio-

nistici (scheda essenziale)

 

1.1. - Modelli per l'analisi della scienza. Nota introduttiva.

1.2. - L'evoluzionismo epistemologico e gnoseologico di K.R. Popper, D.T. Campbell e S. Toulmin ed il modello dei "Programmi di ricerca" di

 

- Il darwinismo epistemologico di Karl Popper (cenni)

- La gnoseologia evoluzionistica di Donald T. Campbell (cenni)

- Il lamarkismo epistemologico di Stephen Toulmin (cenni)

- Il modello dei "Programmi di ricerca" di Imre Lakatos (cenni)

- Commento

 

Digressione sul panorama di sistemica evoluzionistica

 

2.1. - Un inciso sulla polisemia del termine "sistema"

2.2. - Definizione di sistema autoreferenziale (autoevolutivo)

2.3. - Le "relazioni di indipendenza" come forma standard delle eteroreferenze dei sistemi autoevolutivi

2.4. - La natura metasistemica dell'ordine di sistemi

2.5. - Individuazione dell'unità d'analisi centrale nei processi dell'evoluzione

2.6. - Il principio dell'autoevoluzione locale

2.7. - Il principio di evoluzione macroscopica come generazione indeterministica di determinismi specifici

2.8. - Un inciso su diversità e comunanza con altri modelli

2.9 - Il panorama globale dell'evoluzione e sua neutralità macroscopica

2.10. - Descrizione dell' "ordine di sistemi "

2.11. - Il principio dell'ordine mediante sostituzione evoluzionistica

2.12. - La mente antropica come "ordine di sistemi" e la razionalità autoreferenziale

2.13. - Sistemi ed individui. Il meccanismo del doppia autoreferenzialità come base per processo autoevolutivo dei sistemi

2.14. - Il principio di normalizzazione cognitiva autoreferenziale

 

3 La visione di sistemica evoluzionistica ed autoreferenziale come modello per l'analisi dei processi della scienza e della conoscenza

 

3.1. - Scienza ed evoluzione specificità ed isomorfismo sistemico

3.2. - Autoevoluzione dei sistemi nella scienza

3.3. - Motivi della configurazione empirico-induttivista dell'autoteoria criterio della scienza

3.4. - Il principio di gnoseologia autoreferenziale

3.5. - Il trattamento dei fatti nell'ambito del principio di gnoseologia autoreferenziale

3.5.1 - Normalizzaizone autoreferenziale a livello di autoteorie metascientifiche

3.5.2. - Normalizzazione cognitiva autoreferenziale a livello di autoteorie scientifiche

3.6. - Conclusione

 

4 Il metodo scientifico (scheda essenziale)

 

4.1. - Premessa di carattere elementare

4.2. - Logicismo, positivismo logico ed empirismo logico

4.2.1 - Logicismo

4.2.2. - Positivismo ed empirismo logico

4.2.3  - Le caratteristiche del metodo scientifico (livello delle procedure)

 

5 Status (auto)epistemologico del metodo scientifico

 

5.1. - Indecibilità macroscopica

5.2. - Il metodo scientifico come statuto autovalidantesi di creazione dei livelli di realtà

5.3. - Sostituzione del concetto di verità semplice

5.4. - Il metodo come decisione realizzativa autovalidantesi

5.5. - Il problema del metodo come problema di tolleranza all'ambiguità?

5.6. - Conclusione

 

6 Note

 

7 Riferimenti bibliografici


"ALS OB"

 

O. Premessa

 

Questi appunti si configurano come note d'accompagnamento a parte del corso integrativo di "Metodologia generale" agganciato a quello istituzionale di "Statistica 1". In tal senso, essi sono finalizzati alla memorizzazione, da parte dello studente, di alcune schede essenziali relative sia ai modelli di lettura delle scienze sia ad alcune dottrine metodologiche sia al metodo scientifico come convenzionalmente codificato. In altre parole, lo studente del corso sopra citato troverà, sotto la denominazione "scheda essenziale", delle formulazioni estremamente sintetiche di alcuni argomenti già trattati nel ciclo di lezioni. Preghiamo di tenere a mente tali schede ai fini dei commenti richiesti in sede d'esame.

Troverà anche, in forma separata dalle schede, una lunga esposizione relativa sia all'impianto teorico di "sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale" sia all'impieqo di quest'ultimo nell'analisi della scienza e del metodo a quest'ultima riferito. Lo studente non è assolutamente obbligato ad esibire alcuna memorizzazione a questo specifico riguardo, sia per la complessità dell'approccio e del linguaggio sia per la visione eterodossa presentata. Saremmo, tuttavia, felici se lo studente tentasse anche di esplorare i contenuti relativi a questa parte. Per non pregiudicarne a priori la possibilità di lettura abbiamo cercato di semplificarne al massimo l'esposizione.

Al fine di evitare confusioni è meglio ricordare che il resto degli argomenti trattati nel corso è reperibile in altri testi distribuiti nell'ambito del corso stesso.

Queste righe sono anche indirizzate ai ricercatori e collaboratori impegnati nel "Programma Sociosistemica" dell'ISIG col particolare scopo di esibire come l'impianto di sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale (a loro già noto in precedenti versioni) individui l'isomorfismo autoepistemologico degli schemi culturali, scientifici e metodologici.

 

Carlo Pelanda

Docente di "Metodologia generale", Istituto di Statistica, Facoltà di economia, Università di Trieste (A.A. 1984/85)

 

 

 

 

 

1 - L'analisi della scienza attraverso modelli evoluzionistici

 

1.1. - Modelli per l'analisi della scienza. Nota introduttiva

 

La scienza, da un punto di vista filosofico e storiografico, è stata letta, nel corso dei secoli, attraverso modelli di natura diversa (1). Per esempio, ancora nel periodo del tardo Rinascimento e primo Illuminismo era sulla scena il "modello statico", diretto erede dell'anteriore e medioevale pensiero del primato dello "a-priori", basato sull'assunzione classicista che il pensiero antico (romano, greco-arabo) già incorporasse il massimo livello possibile di conoscenze, metodo, stile, ecc. Nel 18° secolo prese piede e si sviluppò il "modello della crescita" o del progresso della scienza. Tale modello, codificato da D'Alembert nel "Discours Preliminaire" alla "Encyclopedie" (1758), si basava sulla individuazione di un inalterabile (cioè indipendente dalle contingenze storiche) progresso della scienza verso la conquista piena della verità, che poteva essere solo ritardato momentaneamente dalle contingenze delle vicende umane, ma non interrotto. Il modello di progresso continuo, necessario ed indipendente della scienza seduce ancora in tempi contemporanei molti studiosi (2), oltre a configurarsi come (improprio) schema di lettura di senso comune al riguardo della storia della scienza stessa.

Molti altri schemi si sono succeduti nel tempo, alcuni sparendo, altri - cumulando una miriade di variazioni persistendo in parallelo, tipo il modello delle "rivoluzioni-scientifiche" come interpretato da Kant fino

Koyré, se non - con molti distingúo - a Kuhn (3). Recentemente il campo di elaborazione dei modelli per la lettura ed analisi della scienza e dei processi scientifici esibisce una notevole turbolenza e densità di prospettive. Tale turbolenza poi, è incrementata dall'irruzione dell'approccio sociologico e psico-sociologico (la sociologia della scienza, vedi per es. quella di Merton) in un ambito tradizionalmente dominato da storiografi della scienza e filosofi. Per un verso tale irruzione ha comportato un approccio radicale e "dissacratorio" (vedi ad esempio i lavori - l'anarchismo epistemologico - di Feyerabend, sul lato della filosofia della scienza, e di Collins sul lato della sociologia della conoscenza e della scienza) teso a smontare sia l'idea dominante della scienza come unità specifica ed indipendente sia l'idea dell'esistenza univoca (il "monismo metodologico") di un metodo scientifico ad applicabilità generalizzante (il che, a sua volta, ha suscitato la contro-reazione accesa dei filosofi della scienza e metodologi neo-razionalisti, tipo M. Pera). Per un altro ha influito sulla costruzione di modelli per l'analisi della scienza basati sull'indagine del complesso dei fattori psicologici e storico-sociali che determinano i processi della scienza e dell'agire in essa, tipo il "modello gestaltico" (denominazione di Richards, 1981: 46) di Hanson e di Kuhn (4). Un'ulteriore complicazione è data dalla rottura del campo unitario della "Scienza" in favore di una visione pluralistica delle "scienze" (in particolare quelle sociali) ognuna con (presunti o reali) problemi epistemologici, metodologici, autoriflessivi, storici suoi propri.

 

(2 pagine mancanti)

 

 Oppure, come in sociologia, a fronte di teorie radicalmente consensualistiche ed integrazioniste contrapposte ad altre teorie radicalmente conflittualistiche, qualche spirito soave - a furor di senso comune s'è messo a scrivere che, beh, nella società c'è sia conflitto che consenso, indissolubilmente compenetrati. Il dirla così, la cosa non ha senso perchè è un ritorno al problema concettuale di partenza, ovvero è un tipico "indicatore" dell'impossibilità di catturare la complessità del fenomeno nell'ambito del linguaggio teorico adottato. Pertanto non si tratta, generalmente, di reintegrare - attraverso una mediazione reciprocamente compenetrante - le posizioni teoriche polarizzate agli estremi di una coppia concettuale, quanto di interpretare questo stato contingente di un tema di ricerca come segnale per abbandonare il linguaggio teorico entro cui s'è generata la dicotomia e cercarne un altro ove il problema di ricerca venga totalmente reimpostato, e avanti così.

Nello specifico che qui interessa, tali considerazioni servono a dire che la diversità (e in alcuni rilevanti particolari, la polarizzazione) di posizioni riscontrata nel ristretto insieme (da noi generato arbitrariamente assumendone la natura pseudo-campionaria dell'insieme più vasto) di modelli prima citati è generata da una messe di ambiguità a livello di linguaggio teorico (es- il modello generale di evoluzione) e unità d'analisi (individui, gruppi, teorie, Programmi di ricerca "scienza", paradigmi o cosa altro?). Ed è a tale livello che tenteremo di reimpostare radicalmente - non risolvere, ovviamente tale messe.

 

2 - Digressione sul panorama di sistemica evoluzionistica

 

 

Nel precedente discorrere sui modelli della scienza (ristretti al sottoinsieme dell'appr~ccio evoluzionistico più Lakatos) abbiamo voluto individuare due ambiguità fondamentali. La prima riguarda il tipo di modello generale dell'evoluzione, la seconda riguarda il problema della definizione dell'unità d'analisi. Daremo, adesso, dei cenni - nel modo più semplice che c; è possibile derivati dal nostro lavoro corrente al riguardo dell'integrazione tra evoluzoinismo e sistemica entro un "nuovo" (le virgolette devono essere sempre di prammatica a contorno di tale attributo) linguaggio teorico, denomina-


to di "sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale" (pur in fase di prima elaborazione, tale schema è già connotato in alcuni dei suoi fondamenti in Pelanda 1984a e 1985).

Vediamo, prima di tutto, che cosa evolve, ovvero l'unità d'analisi base dei processi evoluzionistici di materia, energia ed informazione. L'affermazione che e precursore all'individuazione di tale unità d'analisi è che ciò che evolve sono "sistemi".

 

Un inciso sulla polisemia del termine "sistema"

 

Un inciso molto importante, da farsi subito, riguarda il termine "sistema" (6). Nell'uso di linguaggio comune sistema è qualsiasi cosa che esibisca una certa coerenza, presunta o reale (è, anche, comune sinonimo di "procedura"). Nell'uso disciplinare generalizzato "sistema" indica un insieme di entità, ed attributi, caratterizzati dall'essere - o dal presumere od imporre che siano - in qualsivoglia relazione tra loro. A livello di "sistemica", ovvero di quadri disciplinari esplicitamente basati su una "teoria dei sistemi" il termine assume connotazioni specifiche e significanti a seconda del tipo di teoria in cui ne avviene il trattamento (per esempio nella Teoria Generale dei Sistemi di von Bertalanffy, per sistema (aperto) viene intesa un'organizzazione in regime di scambio, energetico, materiale e informazionale con un ambiente. In sistemistica matematica, ingegneristica, ecc. - da non confondersi con "sistemica" - per sistema viene inteso qualsiasi insieme, numerico, simbolico, ecc. composto da entità sottoponibili a regime relazionale confinato - per es. entro una matrice. E via così). La connotazione definitoria che vogliamo dare al (concetto) termine sistema non riguarda nè il livello di linguaggio comune nè l'uso in senso meramente relazionale di esso. In altri termini, per noi, "sistema" delimita un campo relazionale altamente specifico, e nòn generico. Poichè abbiamo buoni motivi per mantenere il termine "sistema' e poichè ne riconosciamo la diffusa genericità e polisemia, individuiamo il significato specifico di quest'ultimo attraverso un attributo (in realtà) ridondante, cioè "sistema autoreferenziale". Vediamone la definizione, di tipo non meramente nominalistico, coerente ad una visione di teoria dei sistemi autoreferenziali.

 

 

2.2. - Definizione di "sistema autoreferenziale (autoevolutivo)"

 

Per sistema (autoreferenziale) si intende un campo relazionale di materia, energia, informazione (quest'ultima estesa a comprendere anche il concetto di "significato") specificato dai seguenti requisiti vincolanti:

 

 

Il complesso vincolantemente congiunto di tali requisiti è denotabile come "sistema autoreferenziale" ovvero come organizzazione autocoerente - "determinismo specifico" - che tende a rimanere tale in qualsivoglia substrato e/o regime relazionale in cui sia inserita. Ouesta definizione è applicabile sia ai sistemi "teorici" (es. idee organizzate, schemi religiosi, ideologie politiche, teorie scientifiche, ecc. - che verranno denominate come "automi teorici") che "concreti”. In sintesi, si assume che ogni sistema vivente (o assimilabile), nella propria configurazione sia astratta che concreta, si costituisca come sistema autoreferenziale, ovvero come determinismo specifico autoevolutivo e, in tal senso, unità centrale d'analisi nei processi generali e particolari dell'evoluzione.

 

 

 

2.3. - Le "relazioni di indipendenza" come forma standard delle eteroreferenze dei sistemi autoevolutivi

 

 

Per caratterizzare meglio il tipo di relazione più generale che un sistema autoreferenziale tende ad instaurare sia con l'ambiente sia con altri sistemi autoreferenziali, aiutiamoci dapprima con l'immagine di sistema autopoietico (cioè auto(ri)generantesi) come elaborata da Varela e Maturana (1974) a livello - e la loro teoria complessiva, si badi bene, non è estendibile automaticamente ad altri livelli di organizzazione del vivente - di biologia cellulare. Tale immagine, qui resa nel modo più semplice, definisce un sistema autoorganizzantesi, e il tipo di sue relazioni con l'ambiente, come una organizzazione chiusa autoevolutiva inserita entro una struttura aperta ("dissipativa" in altri linguaggi) attraverso i quali avvengono gli scambi di informazione, energia e materia con l'ambiente (in termini di substrato generale e generico) e con altri sistemi.

Cosa vuol dire questo? vuol dire che un sistema autoevolutivo (si pensi ad una cellula) è caratterizzato da flussi di scambio, nei due sensi, con un ambiente e, pertanto ha caratteristiche di "sistema aperto"; ma che tale regime relazionale non influisce direttamente sull'esecuzione (tendenziale) delle funzioni "interne", che tendono ad essere svolte in esclusivo (auto)riferimento al modulo ordinatore delle funzioni stesse; in tal senso il sistema ha caratteristiche di organizzazione chiusa e, perciò, è autoevolutivo.

Queste considerazioni, estratte arbitrariamente - per mera comodità illustrativa - dall'ambito specifico da dove sono state generate, ci aiutano a far comprendere meglio il concetto di relazione di indipendenza" che è la forma standard (da cui discendono tutte le molte variazioni) delle relazioni che un sistema autoreferenziale instaura con gli altri e con l'ambiente. Tale sistema è in "relazione" con l'ambiente, in quanto il precursore della sua esistenza è un regime di scambio, ma di "indipendenza" in quanto tale scambio regge l'anello autoevolutivo - autoorganizzativo (i due termini non sono sinonimi) specifico che caratterizza il modulo ordinatore del sistema (il suo "programma", anche se è improprio usare questi termine). In sintesi gli scambi con l'ambiente sono il prerequisito dell'esistenza di un sistema, ma essi non influiscono direttamente sulla natura dei processi di autoesistenza.

Un sistema si organizza ed evolve in esclusivo riferimento a sè stesso, cioè tende a mantenere una traiettoria autocoerente in qualsiasi contingenza che caratterizza il regime di scambio, ovvero tende a stare in relazione di indipendenza con tutto ciò che non sia se stesso.

 

2.4. - La natura metasistemica dell'ordine dei sistemi

 

L'individuazione delle "relazioni di indipendenza" come forma standard delle relazioni eteroreferenziali (leggi in riferimento all'esterno) instaurate dai sistemi autoreferenziali, ha un'implicazione fondamentale a livello di modello di

renziali. Essi, congiuntamente, non formano "sistemi" secondo i requisiti vincolanti di individuazione dati poco sopra. Non tendono a comporsi, cioè, entro sistemi autoreferenziali di livello superiore. In altri termini i sistemi non si fondono l'uno nell'altro convergendo "evolutivamente" ~

Al contrario essi formano "ordini di sistemi" caratterizzati da un regime di relazioni che, pur esibendo particolari livelli di coerenza, mantiene sempre la forma standard delle "relazioni di indipendenza". Una società così come una mente antropica, un'organizzazione, un individuo ecc. non sono sistemi caratterizzati dai requisiti di autoreferenzialità, ma ordini di sistemi autoreferenziali, dove quest'ultimi tendono a restare indipendenti l'uno dall'altro pur nell'ambito di un regime di legami più o meno forti (qui l'affermazione rilevante è che in qualsiasi tipo di ordine di sistemi autoreferenziali quest'ultimi tendono sempre ad autoevolvere, isoreplicarsi, isodiffondersi in esclusivo riferimento a sè stessi, cioè tendono a restare in relazione di indipendenza con tutto ciò che non sia essi stessi). Tra poche righe daremo il principio dell'ordine elaborato secondo l'approccio di sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale. Prima, però, continuiamo l'identificazione dell'unità base dell'evoluzione e pronunciamoci su quest'ultimo concetto.

 

2.5. - Individuazione dell'unità d'analisi centrale nei processi dell'evoluzione

 

Per noi, l'unità base dell'evoluzione è costituita da sistemi autoreferenziali. Questi assumono svariate forme, ma tale variabilità si esprime nel rispetto dei requisiti definitori sopra dati. Pertanto ciò che è oggetto e soggetto, generale e specifico, dell'evoluzione sono sempre sistemi autoreferenziali, a qualsiasi livello del vivente e del para-vivente (tale tipo di isomorfismo non è deterministico - come, per es., quello della sistemica organicista - in quanto non pone alcun vincolo alla varietà tipologica su cui possono distribuirsi i sistemi autoreferenziali).

 

2.6. - Il principio dell'autoevoluzione locale

 

Facciamo ora un'affermazione osservativa arbitraria, ma plausibile, di carattere iper-semplificato ed estraiamo da questa due tipi di evoluzione. L'affermazione è: una volta acquisite caratteristiche autoreferenziali (quelle date nella definizione) un sistema tende ad autoevolvere in esclusivo riferimento a sè stesso fino a che non è selezionato negativamente da un qualche evento ambientale. In altri termini, una volta formata - per eteroreplicazione da altri sistemi o per ontogenesi spontanea (autopoiesi) - i sistemi tendono a compiere traiettorie evolutive autocoerenti, ovvero a replicarsi e diffondersi (tendenzialmente) uguali a sè stessi. Ancora in altri termini i sistemi non si adattano ad un ambiente ma "navigano" su di esso in puro autoriferimento fino a che qualcosa o qualcuno non li seleziona negativamente (qui non c'è spazio per approfondire, ma è opportuno segnalare che fa una bella differenza dire che un sistema è sopravvissuto perchè "adattato" ad un ambiente e dire che un sistema è sopravvissuto solo perchè "non ancora selezionato negativamente" nell'eseguire il proprio programma autoevolutivo, ferma restando la natura tautologica di ambedue le affermazioni -

argomento nella sezione finale di questo scritto). In sintesi, i sistemi autoevolvono in relazione di indipendenza con l'ambiente. Chiamiamo questo insieme di affermazioni, qui sbrigative, principio dell'autoevoluzione locale (o principio di composizione sistemico-autoevolutivo; nella sezione dedicata al meccanismo di doppia autoreferenzialità verrà data una descrizione più puntuale di tale principio a livello di (auto)evoluzione dei sistemi culturali).

L'individuazione del principio dell'autoevoluzione locale, tuttavia, è solo una parte del panorama generale dell'evoluzione stessa. Finora infatti, abbiamo catturato un principio che delinea la cornice descrittiva al riguardo della natura dei processi autoevolutivi a livello di singolo sistema autoreferenziale e dal momento in cui un sistema ha già acquisito le caratteristiche di autoreferenzialità (cioè, congiuntamente, regime di legami forti, tendenza alla strutturazione dell'indeterminazione, tendenza isoreplicativa ed isodiffusiva, tendenza autoevolutiva). Ci manca il quadro di generazione dei sistemi e di condizioni di selezione degli stessi. Ovvero la cornice macroscopica entro cui avviene l'insieme di processi autoevolutivi locali.

 

2.7. - Il principio di evoluzione macroscopica come generazione indeterministica di determinismi specifici

 

Alla ricerca della massima semplificazione, arbitraria, ma congetturalmente plausibile, definiamo così il principio dell'evoluzione macroscopica- l'evoluzione macroscopica è un processo di generazione indeterministica di determinismi specifici. Per giustificare l'adozione di una frase così semplificata come descrittore del principio dell'evoluzione macroscopica (o principio di necessario farecomposizione sistemico-evoluzionistica) è alcune affermazioni ausiliarie.

Prima di tutto esplicitiamo il concetto-termine "determinismo specifico". Quest'ultimo si riferisce sia ai sistemi autoreferenziali sia al quadro di relazioni intersistemiche ed ambientali (per esempio le relazioni e gli eventi di selezione, vincoli-stati-ambientali contingenti, ecc.). Cioè a tutto ciò che assume una connotazione specifica in un definito ambito spazio temporale. Vediamo poi il termine "generazione indeterministica". Con "generazione" indichiamo semplicemente che la creazione dei determinismi specifici è una proprietà generale della materia, ovvero esiste una qualità intrinseca della materia che da origine ai determinismi specifici. Per evitare affermazioni generali e particolari, di carattere ontogenetico (scomode nell'economia del nostro modello) qualifichiamo tale "generazione" attraverso l'attributo di "indeterministico". Il che significa che postuliamo l'esistenza un principio di creazione dei determinismi specifici non rappresentabile attraverso alcun modello deterministico o necessitista. E tale principio è costante ed invariante. Ovvero la generazione indeterministica di determinismi specifici è un processo invariante, costante e discontinuistico a tutti i livelli della materia (dell'energia e dell'informazione e, per il socioculturale, del "significato") in quanto proprietà intrinseca-postulata-della stessa.

 

E ciò è rilevante, fra gli altri, per due motivi. Il primo consiste nel dare ad "evoluzione macroscopica" il significato di processo costantemente presente (in termini di linguaggio compositivo indeterministico che descrive dall'esterno la genesi e le traiettorie autoevolutive dei sistemi) nel gioco relazionale dei sistemi. Il secondo consiste nella "astoricità" del concetto di "evoluzione" (macroscopica). Esso è solo, e sempre, generazione indeterministica di determinismi specifici. In altre parole l'evoluzione macroscopica non è "storia naturale" o "sentiero di progresso" o "cammino evolutivo" attraverso cumuli adattivi" o "storia". L'evoluzione macroscopica è un principio che compone indeterministicamente i sistemi e le relazioni tra essi (per es. quelle di selezione). Così concettualizzata, l'evoluzione macroscopica è indefinitamente neutrale nei confronti di qualsiasi criterio "sistemico" non ha direzione, non ha finalità, non ha storia ecc.

 

2.8 - Un inciso su diversità e comunanza con altri modelli

 

Sarebbe importante, ora, segnalare le diversità e le comunanze tra questo modo di trattare evoluzione (distinta in macroscopica e locale) e sistemi e tutta la famiglia di modelli a tali concetti, di riffa o di raffa, dedicati. Qui non c'è spazio altro che per sottolineare che tale concettualizzazione incorpora alcuni fondamenti del darwinismo, della sintesi neo-darwiniana (genetica di popolazione), della Teoria degli equilibri puntuati (Gould), della teoria termodinamica dell'ordine mediante fluttuazione (Prigogine), della teoria dell'autopoiesi cellulare (Varela e Maturana), di quella dell'ordine spontaneo degli aggregati molecolari (Eigen, Atlan, ecc.), del modello di sociosistemica evolutiva (7) (Gallino), di quello di sociosistemica autoreferenziale (8) (Luhmann), della teoria dei sistemi neghentropici (Schrodinger), degli automi cibernetici (Ashby) ecc. Tuttavia non incorpora in senso dominante nessuno di questi schemi (anche se nei confronti di qualcuno di essi è debitore e variatore in modo diretto). Ne prende semplicemente spunto (esplicito ed implicito) per costruire il proprio livello di linguaggio teorico basato sul criterio della ricerca della massima sintesi, generalizzabilità e semplicità, senza per questo cadere nel riduzionismo ed isomorfismo deterministici di tentativi, alla lontana analoghi, prodotti nell'ambito della ricerca sui sistemi (tipo quello di Miller). Tale concettualizzazione peculiarmente ipersemplificante ed isomorfica ha anche lo scopo di togliere il concetto di evoluzione da ambiti disciplinari specifici (tipo la biologia) e portarlo ad oggetto centrale di ricerca nel campo globale delle scienze della complessità. E ciò riteniamo - è preliminarmente possibile se viene identificata l'unità centrale di evoluzione, in termini estendibili a qualsiasi organizzazione di materia, energia ed informazione, senza per altro imporre all'insieme dei campi disciplinari il linguaggio teorico (e i problemi) di una singola branca della scienza (sia essa la fisica, la sociologia, la cibernetica, ecc.). Ecco perchè l'attenzione sul concetto di per sè metadisciplinare di sistema. Ecco perchè la necessità di specificarlo, in quanto unità di analisi base, in modo vincolante (per noi le caratteristiche di autoreferenzialità) e non generico. E avanti così.

 

2.9. - Panorama globale dell'evoluzione e sua neutralità macroscopica

 

Ma tDrniamo al punto. Il panorama globale dell'evoluzione è semplificabile in due principi uno macroscopico, in cui l'evoluzione assume l'esclusivo significato di generazione indeterministica di determinismi specifici (reso con l'attributo "evoluzionistico"), ed uno locale in cui per evoluzione si intende l'autoevoluzione specifica di sistemi autoreferenziali, presi ad uno ad uno (reso con l'attributo "(auto)evolutivo"). Pertanto indicheremo con "principio di composizione sistemico-evoluzionistica" la creazione dei sistemi da un substrato metasistemico, la costituzione delle popolazioni di sistemi, la generazione degli eventi di selezione, ecc., tutti caratterizzati da tenore indeterministico (termine, che per buoni motivi, preferiamo a "casuale" ed a "alla cieca"); con "principio di composizione sistemico-autoevolutiva" indichiamo la natura dei processi e delle traiettorie temporali ed ambientali dei sistemi autoreferenziali locali (in relazione al metasistema evoluzionistico). In che relazione stanno questi due principi? Essi sono totalmente ed invariantemente asimmetrici. Cioè il modo con cui vengono composte le popolazioni di sistemi ed il modo con cui i sistemi autoreferenziali locali compongono le proprie traiettorie autoevolutive sono del tutto ed invariantemente  incompatibili.

 Il principio di composizione sistemico-autoevolutiva non satura il quadro globale e macroscopico dell'evoluzione complessiva che, pertanto, è metasistemica, ovvero neutrale nei confronti di qualsiasi sistema locale autofinale.

L'immagine complessiva più semplice e sintetica che possiamo dare è questa i processi dell'evoluzione sono caratterizzati da un insieme immenso di sistemi autoevolutivi costantemente generati e selezionati negativamente su base indeterministica da un ambiente con il quale instaurano una persistente relazione di indipendenza. Un sistema autoreferenziale ed autoevolutivo tende a non mutare il proprio "programma", formatosi per generazione indeterministica, fino a che un evento non lo distrugge. Mentre a livello di evoluzione macroscopica la materia è immensamente flessibile, a livello di organizzazione chiusa autoevolutiva la sua flessibilità è vincolata dai requisiti sistemici di autocoerenza cioè dalla necessità sistemica di instaurare un confine tra esso e l'ambiente e tra esso ed altri sistemi, condizione base - e forse unica finalità - dei processi autoevolutivi.

 

2.10. - Descrizione dell' "ordine di sistemi"

 

L'azione parallela dei due principi sopra citati è il motore costitutivo che definisce la qualità degli ordini di sistemi. Evoluzione indeterministica ed autoevoluzione, in altri termini, caratterizzano l'alternarsi ed il tipo di ordini di sistemi che frequentano il panorama complessivo dell'evoluzione.

In molti schemi teorici a vocazione generalizzante, lì dove è il momento di descrivere le relazioni "ordinate" tra sistemi, si assiste, per lo più all'adozione di un tipo convenzionale di soluzione. Essa consiste nel generalizzare ad un complesso le caratteristiche locali di un sistema o, nel nostro linguaggio- "di sistema" (forma di generalizzazione induttiva). In altre parole i sistemi (definiti in modo diverso dal nostro, ma sempre con connotazioni di autocoerenza) vanno a formare un sovrasistema. Se ciò avviene, o persiste, allora v'è ordine. Se il sistema generale non si forma o si frammenta allora vi è disordine. Una delle caratteristiche principali della sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale consiste nella negazione che sistemi autoreferenziali compongano tra loro un sovrasistema con analoghe caratteristiche; pone cioè un limite esplicito e vincolante al raggio del tipo di organizzazione sistemica.

In altri termini, per esempio, una società (nazionale), un'organizzazione aziendale, ecc., per noi, non sono sistemi. Ovvero lo possono essere nel senso relazionale che ai nostri fini è banale - ma non nel significato proprio di sistema autoreferenziale (per noi l'unico che dia specificazione a tale termine). Ancora più radicalmente, ciò che finora abbiamo detto implica che presi, due, tre, etc... n. "sistemi" essi non formano mai un "sistema". In altre parole i processi dell'ordine non sono alimentati da una spinta di convergenza evolutiva dei sistemi in uno che li comprenda tutti (o molti) fondendoli funzionalmente in esso, e diventando esso stesso autoevolutivo. In qualsiasi schema d'ordine i sistemi autoreferenziali mantengono (pur in modo variatissimo) la forma standard delle "relazioni di indipendenza" (cioè, ogni relazione variazione nell'ambito delle "relazioni di indipendenza", ovvero in qualsiasi regime ordinato i singoli sistemi tendono a mantenere le proprie caratteristiche autoreferenziali ed autoevolutive). Ma se non si compongono in modo integrativo e funzionale, come stanno in piedi e si formano gli ordini di sistemi?

Per rispondere a tale domanda, nello spirito del nostro impianto teorico, torniamo, dapprima, ad una delle caratteristiche di identificazione del concetto di sistema autoreferenziale. Quest'ultimo esibisce la tendenza a riprodurre e diffondere copie di se stesso (isoreplicazione e isodiffusione).

Per esempio la "lingua italiana" è un tipo di sistema autoreferenziale (chiamiamo, d'ora in poi, "automi teorici" i sistemi autoreferenziali "astratti"). Tale automa teorico viene riprodotto a traino dei processi di socializzazione che avvengono in tale lingua (la mamma, la maestra, ecc. che insegna al baby come esprimersi); si diffonde in relazione alla dinamica spaziale dei suoi portatori (ed in relazione alle "vittorie" o "sconfitte" di quest'ultimi); viene (micro)variato da continue invenzioni prodotte dalla ricombinazione attuata da sempre nuovi portatori; una volta formatosi e consolidatosi, sulla base della composizione indeterministica di molti precursori, in termini di struttura codificata, esso continua ad autoevolvere in riferimento a sè stesso; cioè tende a strutturare in sè stesso le variazioni indeterministiche che intervengono lungo le traiettorie isoreplicative. Diciamo, pertanto, che tutti i sistemi autoreferenziali tendono ad isoreplicarsi ed isodiffondersi.

Adesso passiamo, per esempio, ad un altro automa teorico, per esempio uno denominabile come "religione xy". Si forma attraverso ricombinazione indeterministica di precursori eterogenei, ad un certo punto si fissa - cioè acquisisce le caratteristiche di sistema autoreferenziale o automa teorico - e inizia le proprie traiettorie autoevolutive così come già accennato sopra per l'automa teorico "lingua italiana".

Ecco, vediamo adesso in che tipo di relazione stanno questi due automi teorici. Abbiamo già postulato che la forma standard di essa è una "relazione di indipendenza", pertanto dobbiamo specificare che tipo di relazione di indipendenza "connette", e come, i due automi teorici. Essa è, nel linguaggio teorico qui instaurato una "relazione di allineamento". Diciamo cioè che l'automa teorico "lingua italiana" allinea l'automa teorico "religione xy". Come? Per autoevolvere, isoreplicarsi ed isodiffondersi l'automa teorico "religione xy" deve esibirsi, isoreplicarsi ed isodiffondersi nell'ambito dell'autoevoluzione dell'altro sistema autoreferenziale. Tale "relazione di allineamento" costituisce, ad un livello, molto banale, una "relazione d'ordine". Quest'ultima è caratterizzata da un sistema che allinea, vincola, la traiettoria autoevolutiva di un altro.

Ma che natura ha questo vincolo? Prima di tutto, essendo una "relazione di indipendenza", i due automi non sono contenutisticamente mescolati nè fusi. Ciascuno continua l'esecuzione del proprio "programma" in indipendenza "contenutistica" dall'altro. (non è, cioè, una relazione sistemico-funzionale). Come controprova arbitraria si può dire, infatti, che se, per un certo motivo, (per esempio una occupazione militare che imponga il mutamento della lingua) l'automa teorico "lingua italiana" viene selezionato negativamente, ciò non comporta (se indifferente al tipo specifico di selezione negativa) solo per questo fatto un mutamento contenutistico nell'automa teorico "religione xy". ~uest'ultimo verrà allineato dalla lingua che sostituisce quella italiana, continuando ad autoevolvere in esclusivo autoriferimento (fino a quando non sarà anch'esso sostituito per selezione negativa da un altro schema religioso portato da altri, o dagli stessi, "vincitori"). Pertanto una relazione di allineamento è intrinsecamente metastabile in quanto non comporta nè fusione nè interdipendenza funzionale (attiva). Cosa comporta? Comporta il "semplice" fatto che il sistema allineato si riproduce e si diffonde nell'ambito del dominio del sistema allineante, senza per altro perdere le proprie e specifiche autofinalità.

Chiarito coisa sia  una "relazione di allineamento (come forma "ordinata" di relazione di indipendenza tra sistemi autoreferenziali), diciamo che, preliminarmente, un ordine di sistemi è tale in quanto esiste una gerarchia plurilivello di allineamenti intersistemici di tal fatta. Il punto importante è che tale ordine è composto da sistemi che invariantemente tendono ad eseguire il proprio programma autoevolutivo in relazione di indipendenza con tutti gli altri (tale ordine, cioè, non è un sistema autoreferenziale). Una società, per esempio, è un ordine di sistemi autoreferenziali, astratti e concreti, di quantità immensa (ovvero è immenso il regime degli allineamenti). Gli ordini di sistemi sono intrinsecamente metastabili proprio per la natura metasistemica (evoluzionistica), contingente, reversibile, ecc. del loro regime relazionale.

Con questo è stata solo abbozzata la pittura generale. Mancano ancora parecchie cose, di cui è impossibile tralasciare una ulteriore specificazione sul regime di allineamento e sul meccanismo di sostituzione di un ordine con un altro.

In qualsiasi ordine di sistemi esiste un sottoinsieme di questi ultimi che esibisce, chiamiamolo per semplicità, potere allineante su tutti o - molti - dei requisiti. Definiamo tale insieme come "modulo criterio dell'ordine di sistemi", inteso come pacchetto di sistemi autoreferenziali che, grazie ad isodiffusione particolarmente estesa ed isoreplicazione contingentemente non perturbata, diviene l'ambito vincolante entro il quale si riproducono (isoreplica allineata) le traiettorie autoevolutive dei restanti sistemi che caratterizzano il campo di popolazione.

L' "Ordine" dei sistemi è tale in quanto tali traiettorie tendono ad essere "ordinate" in riferimerllo allineante al modulo criterio. Per esempio, in un ordine di sistemi a livello di società antropica avremo un modulo criterio composto da migliaia di automi teorici e concreti contingentemente dominanti, di tipo culturale, economico, istituzionale, morale, tecnologico, amministrativo, ecc. che allineano, per dire, miliardi di altri. Ovviamente lo schema d'ordine dei sistemi, a questa scala, deve essere moltiplicato milioni di volte.

Un'organizzazione aziendale, per esempio, è un ordine di sistemi; così una famiglia e, persino un individuo (sul problema dell'individuo come unità d'analisi propria diremo tra poco qualcosa). In tal senso un'ordine di sistemi ne contiene altri, ognuno allineato da un modulo criterio, in una cascata immensa di traiettorie autoevolutive ordinate, ma metastabili. Qui non vogliamo neanche sfiorare tale complessità, ma solo sottolineare l'affermazione rilevante che tale complessità è un'immensità cognitivamente dominabile (normalizzabile) moltiplicando la descrizione generale dell'ordine di sistemi per allineamento.

Dato un ordine di sistemi, a qualsivolgia livello, troviamo che alcuni di essi, facciano parte o meno del modulo criterio, persistono in isoreplica autocoerente per migliaia di anni (es. automi religiosi) altri per centinaia, (es. automi teorici di carattere politico ideologico) altri per decine di anni (es. automi teorici scientifici) altri per un lustro (es. automi teorici tecnologici), altri per un anno (es. mode), altri per ancora meno fino alla manciata di secondi di un'idea che entra e sparisce (selezionata negativamente) in quel particolare ordine di sistemi che è la mente antropica. In chiave metasistemica, ovvero nell'ambito dei livelli di realtà del metavivente la cui autocoerenza è diversa al tipo di organizzazione autoreferenziale del (para)vivente, troviamo tassi di persistenza che vanno dagli eoni (es. gli universi; chissà con che scala è misurabile il contenitore degli universi?) ai nanosecondi (es. il livello di realtà materiale creato negli esperimenti di fisica delle particelle). Ed in mezzo a tali estremi (arbitrari - perchè tarati sulla scala antropica, ovvero scala "mesoscopica" e non certo definitivi) si dispiega l'immensità dei diversi tassi di persistenza degli elementi materiali, energetici, informazionali il cui ricombinarsi indeterministico è precursore della formazione dei sistem autoreferenziali. Di questo turbinio di livelli di realtà autoreferenziale e non, qui ci interessa in particolar modo - oltre alla sottolineatura del tasso differenziale di persistenza dei livelli di realtà stessi - la persistenza e la sostituzione dei sistemi autoreferenziali che compongono il modulo criterio di un ordine di sistemi, in quanto, a tale livello, avvengono i mutamenti rilevanti da un punto di vista socio- e meso-scopico.

 

- Il principio dell'ordine mediante sostituzione evoluzionistica e sfondamento isodiffusivo

 

Stabiliamo che un ordine di sistemi autoevolutivi (intrinsecamente metastabile per ragioni già addotte) esibisca, ad un dato periodo, una certa stabilità. Tale stabilità implica che il pacchetto di sistemi che formano il modulo criterio stanno saldamente in sella, ovvero che le loro singole e parallele traiettorie autoevolutive siano sufficientemente diffuse da allineare la maggior parte di sistemi che compongono la popolazione complessiva. Nell'ambito di tale stato vi può essere una notevole turbolenza a livello di sistemi esterni al modulo che ciò pregiudichi minimamente la stabilità di quest'ultimo. Cioè il modulo criterio rimane indifferente al gioco di sostituzioni, selezioni negative ecc. che avviene tra i sistemi del campo, in quanto "riesce" a (re)instaurare con i sistemi emergenti relazioni di allineamento (isodiffondersi in essi) e a contenere (cioè restare strutturalmente indifferente) l'isodiffusione e l'isoreplica (selezione negativa da parte del modulo criterio) dei sistemi incompatibili (cioè in relazione apertamente conflittuale con il modulo). Al diminuire della forza allineante del modulo criterio e/o per l'isodiffusione non contenuta di un sistema emergente incompatibile al modulo (si pensi all'emergere ed al diffondersi dell'automa teorico "comunismo" nell'ambito, dovuto alla guerra, dell'indebolimento allineante del (o parte del) modulo criterio dominante nella Russia zarista; si pensi anche all'emergere dell'automa teorico nazismo nell'ambito del mancato consolidarsi del settore politico-istituzionale del modulo criterio della Germania di Weimar) il modulo stesso viene ricombinato o spaccato in modo tale da modificarne sostanzialmente ed improvvisamente, il regime complessivo di allineamento precedente.

Diamo, su questa base ed in forma semplificata, il "principio dell'ordine mediante sostituzione evoluzionistica e sfondamento isodiffusivo."

Definiamo un campo di transizione da un tipo di ordine localmente stabile ad un altro come fluttuazione del regime di legami che connette per allineamento una popolazione di sistemi. Tale fase è caratterizzata da un regime di legami deboli generalizzato tra sistemi non plU allineati in riferimento ad un modulo criterio (od a una parte rilevante di esso) dove i singoli sistemi competitori di quelli del modulo criterio acquisiscono improvvisamente un potenziale di "isodiffusione equivalente" (fase del "lussureggiamento delle equivalenze"; si pensi, per esempio, alla fase 1945-47 in Italia caratterizzato da un alto numero di automi teorici politici in competizione a potenziale equivalente di isodiffusione e, quindi, di penetrazione nel modulo criterio politico-istituzionale; oppure alla fase intermedia tra crollo del modulo zarista e presa del potere da parte dei soviet; oppure all'intermezzo tra crollo della dittatura in Portogallo ed instaurarsi di un governo consolidato - qui usiamo riferimenti esemplificativi a livello storico-politico solo perchè li riteniamo dotati di maggior probabilità d'essere noti al pubblico cui queste righe sono rivolte. Non venga dimenticato, tuttavia, che

principi espressi hanno vocazione generalizzante e non settoriale). Tale stato viene interrotto quando uno specifico sistema emerge dal regime delle equivalenze e si isodiffonde nel campo di popolazione acquisendo slatus allineante. Cioè quando "sfonda" il regime delle equivalenze e (si) sostituisce (nel) il modulo criterio, ovvero cattura la fluttuazione inaugurata dalla svolta in senso metastabile dovuta all'indebolirsi della forza allineante di un sistema criterio o del modulo intero precedenti. Sia l'entrata in fase di metastabilità dell'ordine di tipo di sistemi specifici che sfondano per sono processi indeterministici, ovvero evoluzionistici. In tal senso l'alternarsi di "ordini di sistemi" qualitativamente diversi l'uno dall'altro è un processo di sostituzione evoluzionistica dei sistemi che, per sfondamento isodiffusivo, costituiscono il modulo criterio.

Ovviamente questa è una descrizione ipersemplificata di un principio che, nella sua formulazione compiuta ed estesa, deve tener conto di molti processi qui tralasciati. Uno di questi riguarda il fatto che nei salti discontinuistici da un ordine all'altro non tutti

sistemi di un modulo criterio precedente vengono sostituiti, ma restano indifferenti. Considerazione che ci porta dritti a valutare il legame di continuità nei processi di sostituzione evoluzionistica degli ordini di sistemi. Tale valutazione è sostanzialmente indecibile o a vocazione tautologica in quanto la continuità è data dal tasso di persistenza di sistemi criterio specifici nelle fasi di sostituzione ricombinante del modulo.

Per esempio, automi teorici linguistici restano inalterati nell'ambito di sostituzione di quelli politici; poi vi sono automi teorici bio-culturali, tipo schemi sessuali, caratterizzati da persistenza remota e iperstabile; ecc. Ciò che è importante, tuttavia, è che il mutamento evoluzionistico tra un tipo di ordine ed un altro, sia a livello di società che di organizzazione aziendale o di idee scientifiche ecc., non è un processo lineare, morbido, cumulativo. In altre parole il processo di sostituzione evoluzionistica si configura come evento singolare ("catastrofico" in senso Thomiano) non rappresentabile attraverso alcun modello deterministico e lineare, indipendentemente dalla persistenza continuistica di alcuni sistemi a traiettoria autoevolutiva remota e iperstabile. Tale immagine ne implica un'altra. Gli ordini di sistemi, ed i sistemi autoreferenziali, quando formati, tendono a persistere fino a che qualche evento non li selezioni negativamente favorendo l'emergere di nuovi ordini e l'isodiffusione di nuovi sistemi. A livello di immagini generale, qui - e solo qui - ci avviciniamo ad esempio al modello di evoluzione attraverso equilibri puntuati, cioè a una visione di evoluzione fatta di "salti" che inframezzano più o meno lunghi periodi di stabilità di questa o quella configurazione di popolazione di eco- e socio-sistemi. I due modelli in realtà sono molto diversi per unità d'analisi, enfasi, implicazioni, ecc., ma divengono cugini (e si può tirar dentro anche il modello d'ordine mediante fluttuazioni di Prigogine e tanti altri, recenti, che qui è inutile citare) nel contrastare l'immagine darwiniana (e post-) di evoluzione gradualista e continuista.

Quanto appena detto, tuttavia, è solo un punto di partenza del nostro impianto teorico, che serve a definire l'unità centrale dell'evoluzione sia biosferica che socioculturale, cioè i sistemi autoreferenziali con le caratteristiche date, nonchè a rappresentare il come questi sistemi si connettano e il come essi, una volta configuratisi come tali su base indeterministica (evoluzionistica), evolvono in esclusivo autoriferimento senza mutare sostanzialmente fino a che qualche evento non li selezioni negativamente. Le implicazioni dell'immagine generale, qui data in modo sommario, sono moltissime. Tra queste diamo cenno ad alcune che riteniamo precursori essenziali per l'analisi, reimpostata in coerenza con la visione teorica qui instaurata, dei proc~ zione culturale e delle scienze.

 

 

- La mente antropica come "ordine di sistemi" e la razionalità autoreferenziale

 

Consideriamo la mente antropica come una particolare popolazione di sistemi autoreferenziali, nel caso automi teorici, orientata da una famiglia di moduli criterio (cioè un ordine di sistemi) che si alternano a diversi livelli di persistenza, secondo uno schema analogo a quello dell'ordine mediante sostituzione e sfondamento dato in precedenza. Definiamo, poi, per realtà "cibernata" un livello di realtà generata in coerenza ad un automa teorico mentale.

Ora, le azioni che un individuo antropico esibisce ad un dato momento sono sempre basate sulla generazione (contingente o remota) di un livello di realtà coerente a - cibernato da - un automa teorico. Tale automa, tuttavia, emerge per sostituzione evoluzionistica e sfondamento isodiffusivo nella mente, cioè viene "metacibernato" nell'ambito della mente stessa, ovvero generato da essa in base a criteri selettivi contingenti

comunque da un ambito di indeterminazione non strutturata (per il peculiare ambito della mente antropica sarebbe meglio dire "indeterminazione semistrutturata"). In altri termini un'azione e le attribuzioni di significato ad una situazione costituiscono un livello di realtà autoreferenziale. Pertanto ogni azione è intrinsecamente autoreferenziale; ovvero basa su se stessa la propria "razionalità". Una delle implicazioni più importanti di quanto sostenuto è che ogni azione individuale viene condotta sulla base di un livello di realtà mentale in relazione di indipendenza con il livello della situazione “oggettiva” .

 

Secondo questo approccio ogni azione antropica si basa su una "razionalità" di tipo autoreferenziale. E', in altre parole, sempre coerente all'automa teorico che contingentemente allinea una mente. La varietà degli automi teorici - e dell'agire antropico - è basata sul meccanismo della doppia autoreferenzialità che reola le relazioni tra sistemi ed individuo (lo vediamo nel paragrafo successivo) ed è evoluzionisticamente metastabile. Pertanto la nostra visione teorica porta (trasformandolo) il problema della razionalità al livello del meccanismo di composizione congiuntamente autoevolutiva ed evoluzionistica dei sistemi socioculturali.

In tal senso il concetto di "azione autoreferenziale" esibisce una vocazione sostitutiva nei confronti di quello di "azione razionale", comunque elaborato dalle diverse teorie, classiche e correnti, che ad esso si dedicano. Esibisce anche una vocazione sostitutiva al riguardo degli schemi tradizionali con cui è concettualizzato il "soggettivismo".

 

2.1.3. - Sistemi ed individuo. Il meccanismo della doppia autoreferenzialità come base per il processo autoevolutivo dei sistemi.

 

Ogni azione antropica è orientata dal concorso di vari sistemi (automi teorici) di fonte genetica (es- orientamento isoriproduttivo), di base culturale, che definiscono la visione del mondo generale del soggetto (es.: automa teorico "religione"), da altri ancora relativi a modelli di cultura specifica, al linguaggio e via così. Pertanto gli automi teorici trasmessi per via genetica e culturale sono i soggetti reali dell'azione antropica, non l'individuo di per se. Ogni singolo automa teorico presente in una mente è l'isoreplica variata di un automa teorico generale che è riuscito a diffondersi in una popolazione sociosistemica- lingua, religione, estetica, modelli culturali generali e specifici ecc. A tale livello un individuo è un mero portatore delle isorepliche degli automi teorici generali che si sono isodiffusi per sfondamento nella popolazione sociocultural .

ca di cui l'individuo stesso fa parte. Questo, ovviamente non è il quadro completo, ma solo una parte. Se, infatti, ci fermassimo a tale livello dovremmo assumere l'immagine dell'individuo perfettamente determinato dal regime (socio- e bio-) sistemico dominante nel suo contesto. Ulteriormente dovremmo definire l'individuo come unità d'analisi secondaria - soggetto indiretto delle azioni in quanto quella primaria sarebbe costituita dalla dinamica dei moduli criterio sistemici. Tale unità d'analisi secondaria avrebbe rilievo solo in quanto isoreplica microvariata dei sistemi biologici e culturali e assumerebbe una connotazione di piena "eteroreferenzialità" (in quanto servomeccanismo o protesi fenotipica sia di un genotipo che di un modello culturale metaindividuale).

L'individualità è data dal fatto che il complesso dei fattori allineanti "esterni" è ricombinato in base ad una specificità di ambiente interno che persiste in relazione di indipendenza con i primi (e con i fattori allineanti di fonte genetica). L'ambito della mente antropica non è solo un luogo di variazione di moduli "esterni" ad essa, ma soprattutto un luogo di generazione autonoma di livelli di realtà, questi ultimi di natura autoreferenziale.

In sintesi la specificità dell'individu è data sia dal fatto di essere portatore di sistemi generali in isodiffusione nel suo campo d'ordine sociale specifico (elemento passivo di varietà) sia da quello d'essere un generatore autonomo di livelli di realtà (elemento attivo di varietà).

Stando a quest'impostazione parrebbe lecito dire che l'individuo è un'unità d'analisi corretta in quanto soggetto primario delle azioni. E invece non è così semplice. L'azione individuale è sempre orientata dagli automi teorici del modulo criterio mentale. Tale modulo è specifico in quanto generato autonomamente. Tuttavia gli automi che lo compongono si configurano sempre come una (micro)variazione (9) di un sistema generale. In tal senso l'individuo antropico è il luogo dove avviene il processo di composizione autoevolutiva dei sistemi metaindividuali nonchè la loro diffusione in termini di isorepliche variate. Questo processo avviene attraverso "salti creativi" che sono tali proprio perchè le (micro) variazioni vengono create in un luogo la mente antropica - che tende all'autoreferenzialità ovvero che approssima una relazione di indipendenza con tutto il resto che non sia essa stessa. Nessun "salto - a meno che non si configuri come sistemogenesi vera e propria - tuttavia, rompe il regime continuistico con qualche sistema meta-individuale (automa teorico culturale o genetico) già presente nel contesto in cui l'individuo è inserito. Quest'ultimo è un creatore di livelli di realtà, ma tali livelli di realtà sono null'altro che i passi del processo di composizione sistemico auto-evolutiva di un automa teorico generale che già da tempo navigava in quelle acque.

I processi autoevolutivi degli automi teorici socioculturali si alimentano di una doppia autoreferenzialitàla propria e quella degli individui che ne isoreplicano copie variate in regime di autonomia creativa.

 Il soggetto primario delle azioni antropiche è l'automa teorico (e il modulo criterio) che allinea una mente interpretato come (micro)variazione di un automa teorico generale. L'unità d'analisi, pertanto, non è costituìta nè dal "sistema" nè dall' "individuo", ma dalla loro composizione. Tale composizione non è da intendersi nè in senso funzionale (determinazione dell'individuo da parte del sistema) nè in senso soggettivistico (il sistema in quanto creazione autonoma prodotta dall'individuo) proprio perchè "sistema" ed "individuo" sono connessi da un allineamento basato su una relazione di indipendenza, ovvero costituiscono un'organizzazione coerente basata su una doppia autoreferenzialità.

In sintesi, l'individuo antropico è un "soggetto misto", ovvero un generatore autonomo di livelli di realtà (sia in senso "astratto" che "concreto"), tuttavia vincolato dal regime sistemico di cui è - occasionale e, per lo più inconsapevole portatore. Per rendere il più semplicemente possibile il concetto, si può fare questo esempio. Quando, in linguaggio comune, si dice che "un'idea è legata ai tempi" - cioè che qualcuno ha inventato quella specifica cosa o prodotto quell'azione perchè il contesto era maturato in quel senso, allora nel linguaggio qui adottato si può dire che un'unità antropica - individuale o collettiva - ha generato autonomamente un livello di realtà, quest'ultimo, tuttavia, caratterizzato dal fatto di essere una microvariazione di un qualche sistema generale meta-individuale già in - avvio di - isodiffusione. In sintesi, per soggetto misto si intende un luogo dove i livelli di realtà antropica vengono creati sì autonomamente, ma in modo vincolato al regime sistemico meta-individuale contingente.

La varietà complessiva delle popolazioni bio-culturali antropiche viene generata attraverso due fasi. Ad un primo livello la varietà viene mantenuta attraverso la riproduzione dei sistemi bioculturali

gli individui sono i portatori di sistemi genetici e culturali altamente specifici grazie all'isoreplica genetica ed alla socializzazione (riproduzione socioculturale). Ad un secondo livello gli individui - cioè i loro ordini mentali - si costituiscono come elaboratori e trasmettitori autonomi delle micro variazioni che costituiscono il processo di composizione autoevolutiva dei sistemi. Per esempio (in senso illustrativo) il sistema "lingua italiana" autoevolve in riferimento a sè stesso microvariandosi attraverso le elaborazioni autonome degli individui socializzati (allineati) attraverso tale schema linguistico. E così per qualsiasi automa teorico. In tal senso la doppia autoreferenzialità e il meccanismo allo stesso tempo di conservazione e creazione della varieta bioculturale complessiva che è l'oggetto dei processi indeterministici di selezione. Si suggerisce che gli individui, le azioni, le idee, i comportamenti ecc. antropici non possano essere analizzati in dimensioni separate dal panorama complessivo qui dato.

 

2.1.4. - Il principio di normalizzazione cognitiva autoreferenziale

 

Abbiamo detto poco sopra che una delle implicazioni più importanti dell'approccio consiste nel ritenere che ogni azione individuale venga condotta sulla base di un livello di realtà mentale che sta in relazione di indipendenza con il livello di realtà che caratterizza la situazione oggettiva. A livello di mente antropica ciò significa che una situazione viene "analizzata" e definita da un individuo sulla base di un ordine mentale tesso, autoreferenzialmente. Tale tendenza si configura come processo di "normalizzazione" di una realtà in riferimento a se stessa da parte della mente posta a contatto con una situazione (vedremo meglio questo concetto nella sezione successiva). In altri termini gli individui non "percepiscono" o "conoscono", ma "normalizzano" (leggono la realtà generando un proprio livello di realtà autoreferenziale) in coerenza con il proprio ordine mentale contingente (finchè dura quella configurazione specifica) ciò che avviene nel loro ambiente. Ovvero allineano i fatti secondo un ordine coerente a quello già presente nella loro mente. La qualità dell'allineamento dei fatti dipende dal tipo di automa teorico (o, complessivamente, modulo criterio) dominante. Quest'ultimo, a sua volta, dipende sia dal tipo specifico di automi teorici che sono penetrati nella mente attraverso, per dire, la socializzazione e l'educazione (cioè allineamento sia spontaneo che deliberato) sia dal tipo di ricombinazione autonoma che ha microvariato i primi, secondo l'ormai familiare - anche se solo accennato - principio della doppia autoreferenzialità.

 

 

Il “sistema autoreferenziale" come modello per l'analisi dei processi delle scienze e della conoscenza

 

Utilizziamo adesso, pur in modo sbrigativo, l'impianto di sociosistemica autoreferenziale a livello di elaborazione di un modello per l'analisi dei processi delle scienze e della conoscenza.

Definiamo prima di tutto 1'unità d'analisi (la cui mancata esplicitazione pregiudica ab-origine qualsiasi discorso). Abbiamo visto che l'unità centrale dei processi autoevolutivi ed evoluzionistici e costituita dai sistemi autoreferenziali (secondo la definizione data). La scienza, pertanto, è un ordine specifico di sistemi socioculturali nell'ambito dell'insieme più vasto degli ordini di sistemi socioculturali stessi (a livello di processi culturali, come già inaugurato, chiamiamo "automi teorici" i "sistemi autoreferenziali" possedendo i primi le stesse caratteristiche dei secondi).

 

3.1. - Scienza ed evoluzione: specificità ed isomorfism~ sistemico

 

Vediamo ora il problema della "specificità" della scienza. Che lo studente ricordi che tale problema ha carattere fondamentale nell'ambito delle riflessioni su quest'ultima, in quanto il modo

trattato e risolto, è un precursore diretto del problema della specificità o meno del "metodo scientifico". Ovvero della possibilità di discriminare cosa sia "scienza" da ciò che non lo è.

Ad un primo livello, la scienza, in quanto ordine di automi teorici - cioè di sistemi di idee -, non è specifica. Ovvero è composta da sistemi che hanno le stesse caratteristiche generali di qualsiasi automa teorico culturale. Lo sehema fondamentale di un automa teorieo scientifico è analogo a quelli religiosi, ideologiei, eulturali in genere. Tale isomorfismo (leggiidentità morfologiea), tuttavia, si ferma al livello in eui si rieonosee ehe tutti i paeehetti, per dire, di "idee" nell'evoluzione eulturale hanno la eonfigurazione, e i requisiti, dei sistemi autoreferenziali. Sono, in altre parole, "autoteorie", ovvero statuti di segni che si sostituiscono su base evoluzionistiea (indeterministica, discontinuistica) e, una volta acquisita l'autocoerenza. autoevolvono in riferimento a se stessi.

 Esiste, in altre parole, un livello d'analisi in eui l'autoteoria "religione indù", l'autoteoria "marxismo", l'autoteoria "cibernetica", ecc. esibiscono una comune identità morfologica, in quanto sistemi autoreferenziali ed autoevolutivi (secondo il meccanismo, preeedentemente accennato, della "doppia autoreferenzialità"). Ulteriormente il perchè, o meglio, il come certe autoteorie seientifiche divengano dominanti e decadano è rappresentabile attraverso il già deseritto processo dell'ordine mediante sostituzione evoluzionistiea e sfondamento isodiffusivo. Cioè attraverso un meccanismo che – nella visione convenzionale qui presentata - ha carattere generale nell'evoluzione socioeulturale.

Prima di vedere dove e come è specifiea la scienza restiamo ancora al primo livello, cioè a quello isomorfico. Molti filosofi e storici della scienza, nonchè molti scienziati, tendono a dare di questa l'idea che essa evolva e muti sulla base di eventi e criteri squisitamente interni ad essa stessa (per esempio, in Lakatos, per un verso, in Popper per un altro). Pur non essendo di per sè falso, ciò appare improprio in quanto il gioco delle sostituzioni nell'ordine di sistemi "scienza" non è per nulla isolato dal più generale turbinio, e regime contingente di allineamento (se ne ricordi la definizione), che caratterizza l'insieme complessivo degli ordini di sistemi socioculturali in un dato tempo e luogo. Ciò non vuol dire che un singolo automa teorico scientifico non evolva un eselusivo autoriferimento. Vuol dire ehe il perehè e il eome esso riesea ad isodiffondersi (fino ad assumere status di modulo eriterio), allineare altri automi teoriei, ad essere selezionato negativamente eec., non dipende solo da processi interni all'ordine dei sistemi scientifici, ma dal sostituirsi e permanere di una famiglia più vasta di automi teorici socioculturali (in realtà tale affermazione è banale ed ha senso riportarla solo perchè c'è ancora qualcuno - appunto che dà della scienza un'immagine imistica di entità esclusivamente in sè, mentre essa non è - complessivamente - un sistema autoreferenziale, ma un ordine metastabile di tali sistemi che non possiede caratteristiche globalmente autoevolutive.

Stando sempre al livello generalissimo in cui e possibile sostenere una visione sintetica isomorfica, e utile adesso affrontare il problema dell'unità d'analisi "scienza".

L’elemento ordinatore è rilevabile prima di tutto nello sfondamento isodiffusivo  di un automa teorico specifico che ha allineato, e in parte continua, un settore rilevante dell'attività conoscitiva-realizzativa antropica. Chiamiamo, per comodità, "Galileiano" tale automa teorico specifico. Esso, acquisite proprietà autocoerenti, è riuscito a sfondare per isodiffusione il metodo dominato (per semplificare) dalla filosofia scolastica, in un periodo - il 17° secolo e passa - in cui il ruolo criterio di essa era notevolmente indebolito dall'aggressione di nuove visioni del mondo (es. quella copernicana). In altri termini, quelli del principio d'ordine attraverso sostituzione evoluzionistica, l'automa teorico "Galileiano" ha sfondato un regime di equivalenze assumendo status di "autoteoria criterio". Tale automa teorico, dotato di caratteristiche altamente specifiche isoreplicandosi, isodiffondendosi ed autoevolvendo (come descritto nel meccanismo di doppia autoreferenzialità) si è costituito come il "metodo scientifico". Da tale posizione, poi, ha allineato tutta una serie di altri automi teorici o codici culturali e protocollari, che, con esso hanno formato i vari “ moduli criterio " dominanti i periodi di stabilità di un contingente ordine di automi teorici scientifici, tra una ''rivoluzione" (per noi "sostituzione evoluzionistica") e l'altra. L'automa teorico "Galileiano", poi, ha resistito - come " membro " principe del modulo criteri alla sostituzione di molte autoteorie di livello paradigmatico e non (esempio, il newtonismo, il meccanicismo positivista ecc.) "rinforzandosi", così, nel ruolo di ''metasistema" entro cui avviene il turbolento sostituirsi delle visioni generali e particolari della "scienza".

Recentemente l'emergere continuamente discontinuistico di nuove idee si è anche orientato verso l'aggressione all'automa teorico "Galileiano”, cioè il "metodo scientifico", ovvero il criterio che distingue che cosa è scienza da ciò che non lo è. Tale attacco, i cui portatori diretti sono i seguaci e costitutori della "nuova filosofia della scienza", è, in realtà, (stato) favorito da una più generale aggressione alla visione del mondo implicita nell'automa teorico Galileiano. Quest'ultima riguarda l'emergere del "pluralismo metodologico" contrapposto a1 " monismo “ (cioè l'invarianza del metodo "Galileiano" a qualsiasi livello dell'agire conoscitivo scientifico) come di centinaia di altre visioni, generali e particolari, sostanzialmente incompatibili con tale automa teorico plurisecolare (vedremo nel seguito la difesa del metodo scientifico di fronte a tali attacchi, impliciti ed espliciti, come svolta da M. Pera impegnato nel tentativo sia di ricondurre sotto l'ala allineante dell'automa teorico Galileiano il dibattito corrente sul metodo scientifico sia, attraverso questo, di ripristinare, a livello dottrinario il confine tra scienza e non-scienza).

Tralasciando, per il momento, il seducente panorama entro cui il potere allineante dell'automa teorico Galileiano sta - a ragione o a torto - indebolendosi, restiamo sul punto specifico di queste righe.

Il termine "scienza" assume significato e specificita propri solo nell'ambito della persistenza allineante del peculiare automa teorico Galileiano e della sua traiettoria autoevolutiva (comunque (micro)variata). Allora la specificità della scienza consiste "nient'altro" che nella persistenza di tale autoteoria fondamentale. Essa


definisce il ~arattere distintivo - in senso formale del far "scienza". Quest'ultimo e individuato (1~1 contenuto dell'autoteoria Galileiana (e varianti ad essa compatibile e da essa allineata) e rimarrà "esclusivo" fino a che tale autoteoria persisterà in ruolo dominante e non verrà sostituita da un'altra, con analogo status di

,ecDndo cui "scienza" assumerà connotazioni diverse.

Quest'ultime banalità servono a sottolineare un'immagine generale. Come in qualsiasi altro ordine di automi teorici culturali, anche in quello delle autoteorie scientifiche il carattere specifico dell'ordine stesso e dato dal contenuto dell'automa teorico che ha posizione centrale nel modulo criterio. Pertanto un periodo di stabilita nelle scienze, a livello paradigmatico, e basato sulla isodiffusione estesa di una autoteoria fondamentale che, fino a quando non e sbattuta giu per selezione negativa, resta uguale a se stessa, isoreplicandosi attraverso portatori (gli individui) che ne riproducono copíe microvariate - cioe compatabili ad essa - e allinea in autoriferimento le altre autoteorie del campo. E cio, in termini generali, e un processo sostanzialmente analogo in tutto il complesso degli automi teorici autoevolutivi di tipo socioculturale.

Pertanto il gioco evoluzionistico ed autoevolutivo nelle scienze, ad un primo livello, è isomorfo (cioe morfologicamente identico) a quello di qualsiasi ordine - popolazione di sistemi culturali. La specificità, ovvero il confine con il campo complessivo, non e rilevabile a livello di dinamiche e caratteristiche generali dei sistemi autoreferenziali (ripetiamo, le unita centrali dell'evoluzione), ma a livello del contenuto dei singoli automi teorici. Per esempio, come abbiamo già detto, le forme generali dell'automa teorico "Galileiano" e quella dell'automa teorico “religione Indu" sono identiche, in quanto sistemi autoreferenziali, autoevolutivi e sottoposti a regime indeterministico sia al loro costituirsi e diffondersi come entita autocoerenti sia nel loro essere selezionati negativamente. Tale identità, tuttavia, sparisce a livello di contenuto specifico di ogni singola autoteoria. Pertanto è legittimo dire che l'ordine dei sistemi scientifici è peculiare per contenuto e metodo, ma tale specificità e quella dell'autoteoria (o del modulo) contingentemente dominante. Ed e quest'ultima che crea il confine per cui l'autoteoria "Indu" viene selezionata negativamnete nell'ambito del dominio di quella "Galileiana~ e viceversa. Questi cenni servano a sostenere la riflessione sul problema del tipo di specificità della scienza intesa come estensione per allineamento dell'autoreferenzialità di un peculiare automa teorico (o modulo di) contingentemente dominante (la stessa immagine, poi può essere applicata alla definizione dei caratteri distintivi di ogni singola scienza o disciplina particolari).

 

3.2. - Autoevoluzione dei sistemi nella scienza

 

Affrontiamo ora un parziale di scenario che trova sostanzialmente contrapposte le idee di Popper e Toulmin al riguardo del modello generale di evoluzione delle discipline scientifiche. Come abbiamo visto nelle schede sommarie relative a questi due prestigiosi pensatori, il primo dipinge in modo pressochè totalmente indeterministico la formazione di nuove congetture e schemi mentali mentre il secondo le vincola a processi di pre-selezione determinati dall'effetto filtrante di procedure già consolidate.

Cosa propone l'impianto di sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale al riguardo? Propone la rilettura del problema richiamando il già citato meccanismo della doppia autoreferenzialità come base per l'autoevoluzione degli automi teorici scientifici. S'era detto che gli individui, in questo caso gli scienziati, sono "portatori e ricombinatori di sistemi". Nel processo di socializzazione generale e specifica, il ricercatore viene allineato dalla famiglia autoteorie che frequentano contingentemente il suo campo di interazione. Nella socializzazione specifica egli diviene il portatore di uno o dell'insieme di sistemi che qualificano l'ambito disciplinare a cui è dedicato. Nella sua attività di ricerca ricombinerà tali sistemi riproducendone copie microvariate (cioè attuerà una isoreplica microvariata di un'autoteoria gia esistente ricombinandola in modo non incompatabile alla stessa) o copie macrovariate (cioè darà origine a sistemi che sono una variazione sostanziale dei sistemi stessi).

Inseriamo, a questo punto, tre livelli di indecidibilità il primo riguarda la valutazione se la ricombinazione prodotta del ricercatore sia o non sia la forma microvariata di un qualche automa teorico già in navigazione o emergente (cioè l'attributo "nuovo" è oggetto di indecibilità anche nella sua graduazione); il secondo riguarda la valutazione e la rappresentazione del processo di ricombinazione-creazione che avviene nella mente del ricercatore (cioè e indeterminabile quale gioco di ghiribizzi generi un peculiare schema teorico o enfasi o approccio ecc.); il terzo riguarda il destino del prodotto del ricercatore (è, cioè, indeterminabile il gioco dei fattori che portano una teoria, per dire, ad isodiffondersi). In altre parole, la ricombinazione produzione, successo o fallimento delle idee scientifiche non è rappresentabile attraverso un modello deterministico (si badi che una delle implicazioni di tale affermazione riguarda anche la natura indecidibile dei processi di controllo empirico delle ipotesi).

Questo andrebbe radicalmente a favore del versante popperiano? No, in quanto un ricercatore ricombina in modo indeterministico i sistemi, contingentemente presenti nel suo campo di interazione, così come allineati dal modulo criterio, anch'esso contingente, che ne influenza il tipo d'ordine. In altre parole, ciò e assimilabile al concetto di Toulmin di pre-selezione e pre-formismo nel procedere delle scienze. Tuttavia per questo autore ciò implica un'immagine in qualche modo continuista e relativamente determinista del formarsi delle idee scientifiche. Alla luce del nostro impianto possiamo dire che, salva la natura pre-selettiva prodotta da specifici sistemi teorici e prescrittivi contingentemente dominanti, quest'ultimi vengono ricombinati in modo indeterministico e discontinuo dalla popolazione dei loro portatori. In sintesi, un ricercatore incorpora per allineamento il "Programma di ricerca" (nel nostro linguaggio l'autoteoria criterio) così come è configurato nella sua disciplina in un dato momento, (eredita un ambiente preformato nel linguaggio di Toulmin), ma poi il come ricombina e "microvaria" i sistemi di cui è portatore non è rappresentabile attraverso - decidibile alla luce di - alcun modello deterministico (se non quelli del tutto arbitrari di retrodizione storica). Il che è abbastanza banale, ma serve a sottolineare che , non solo a livello di grandi salti paradigmatici, ma anche a livello di fasi stabili delle scienze, il procedere di quest'ultime - cioè le loro traiettorie autoevolutive - è, complessivamente, indeterministica, ovvero - per noi è sinonimo - evoluzionistico. Forse è meglio aggiungere che, sulla scorta di quanto detto, la traiettoria autoevolutiva di un qualche automa teorico non implica che al tempo 1 sia determinabile la configurazione al tempo 2, pur postulando che l'automa stesso tende a replicare isocopie di se stesso. In sintesi la continuità autoevolutiva avviene attraverso passi indeterministici e il fatto di definire a posteriori come continuistici sia i processi autoevolutivi che evoluzionistici è solo una comodità metodologica convenzionale.

 

 

 

3.3. - Motivi della configurazione empirico-induttivista dell'autoteoria criterio della scienza

 

In questo settore del nostro discorso possiamo ricordare che, nel mettere a scheda l'evoluzionismo epistemologico popperiano, avevamo detto che ciò era stato impiegato (anche o soprattutto, chissà?) nell'ambito della sua polemica contro l'induttivismo. In altri termini l'enfasi sull'indeterminismo pieno nel formarsi delle idee sembra essere servito a Popper per sostenere che il loro emergere sia svincolato da un atto osservativo, ovvero dall'esperienza. Vediamo, prendendo lo spunto da ciò, di accennare come si comporta il nostro approccio nei confronti della posizione induttivista (che del resto vedremo in modo "più tecnico" nel seguito).

La posizione empirico induttivista - detta in modo molto semplificato e parziale - si basa sull'assunzione che la mente osservi (sia in grado di osservare) i fatti della realtà libera da pre-condizionamenti. E' assunto, inoltre, che tali fatti siano distinguibili l'uno dall'altro - cioè ognuno è osservabile come entità discreta - e che vengano poi associati dalla mente. Un processo, cioè, di composizione dei fatti "elementari" entro un quadro associativo mentale non vincolato da assunzioni aprioristiche. Questa posizione - che è centrale nelle scienze allineate dall'autoteoria criterio Galileiana - contiene, mescolate, sia una vocazione gnoseologica che una di carattere prescrittivo.

La fonte di quella prescrittivi è da ricercarsi nell'ambiente di formazione e consolidamento dell'autoteoria criterio Galileiana. Il competitore, dominante in quei secoli, di quest'ultima era un altro tipo di autoteoria criterio (poi sostituita per sfondamento da quella Galileiana stessa) basata sul principio - prescrittivo - della conoscenza aprioristica, cioè di un tipo di conoscenza trascendente la realtà empirica a cui quest'ultima doveva - appunto aprioristicamente - adeguarsi per postulato. L'assunzione di autocoerenza della teoria Galileiana era basata sulla possibilità di distinguere il far scienza dal - per dire - far filosofia o teologia. E il far scienza era distintivo in quanto lo scienziato era tale perchè si metteva ad osservare la realtà dei fatti dell'esperienza tenendo libera la mente da assunzioni aprioristiche, cioè facendo in modo che la "realtà" dei fatti stessi non fosse storpiata da presunzioni metaempiriche e metafisiche.

L'enfasi ed il modo con cui era formulata tale impostazione aveva un significato ben preciso nell'ambito della polemica con l'apriorismo. Decaduto quest'ultimo o, meglio, rilegato all'ambito metascienfico, l'autoteoria Galileiana ha mantenuto - per gli ormai noti principi dell'evoluzione in autoriferimento - la versione radicale della posizione empirico-induttivista. Tale posizione - adesso ne vedremo il secondo elemento - "doveva" implicitamente assumere la possibilità gnoseologica che la mente potesse osservare i fatti libera da presunzioni. Doveva, in altri termini, assumere che i fatti potessero entrare nella mente senza essere "distorti" nella loro realtà oggettiva.

Il riportare così riduttivamente tali posizioni - su cui il dibattito è accesissimo da almeno quattro secoli, per non dire millenni - qui serve solo a segnalare che, a nostro avviso, la componente gnoseologica della posizione empirico-induttivista si è assestata come teoria ausiliaria di sostegno alle esigenze (radicali, dato l'ambiente conflittuale) di autocoerenza dell'autoteoria Galileiana. In altri termini quest'ultima ha normalizzato in riferimento a se stessa (terminologia che chiariremo tra poco) una visione del conoscere. Ciò che vogliamo dire è che l'impianto gnoseologico (ovvero la teoria dell'agire conoscitivo) della posizione empirico-induttivista è stato allineato (nella sua forma e sostanza) sulla base delle esigenze prescrittive ("politiche") dell'autoteoria Galileiana in fase di consolidamento e sfondamento. La persistenza della traiettoria autoevolutiva di quest'ultima ha trainato anche tale tipo di visione gnoseologica.

 

 

 Il principio di gnoseologia autoreferenziale

 

Ora non ci mettiamo ad analizzare criticamente l'impianto gnoseologico empirico-induttivista da posizioni formulate nell'ambito della controparte di deduttivismo (ipotetico) e rimandiamo lo studente, che voglia approfondire, alla letteratura sull'argomento, con particolare riferimento ai lavori di Popper e seguaci. Non riportiamo, qui, nemmeno le formulazioni gnoseologiche elaborate dai nuovi filosofi della scienza (per es. Hanson e Kuhn) che, incorporando i temi della psicologia della Gestalt, presentano uno scenario ove è centrale il processo di pre-organizzazione delle osservazioni empiriche, in contrapposizione, pertanto, con la posizione empirico-induttivista. Desideriamo, piuttosto, presentare per cenni l'impianto gnoseologico coerente al (e derivato dal) nostro approccio generale, ovvero la "gnoseologia autoreferenziale".

Quest'ultima, di fronte alla domanda classica della gnoseologia, cioè come la mente conosca la "natura" e come essa si fa conoscere dalla mente (ad es. per Toulmin ciò avviene perchè la mente è adattata alla natura), risponde dicendo che la mente non "conosce" la "natura", ma "normalizza" quest'ultima in riferimento a se stessa. In altri termini la mente interagisce con la realtà empirica normalizzandola sulla base dell'autoteoria che e contingentemente dominante (cioè che ha status di modulo criterio) nell'ordine dei sistemi mentali. Ancora in altri termini, l'autoteoria criterio in una mente antropica si "proietta" nella realtà esterna alla mente stessa creando, in autoriferimento, uno schema - un livello di realtà - entro cui "si collocano" i fatti empirici che, così organizzati, passano alla mente. In tal senso l'interazione mente osservante, fatti, mente percepiente è un anello autoreferenziale, ovvero un circuito innescato da un automa teorico (contingentemente dominante) mentale che compie una "normalizzazione cognitiva autoreferenziale" di un campo di realtà esterno ad esso. Ulteriormente in altri termini, la mente osserva la realtà esterna ad essa sulla base di un livello di realtà proprio e autoreferenziale. I due livelli di realtà si trovano in "relazione di indipendenza" tra loro. Ovvero i fatti non passano inalterati alla mente, ma vengono normalizzati in riferimento ad uno schema mentale precostituito. Per "normalizzazione" intendiamo la generazione di un livello di realtà coerente ad un modulo criterio mentale, in cui la realtà "esterna" viene ricombinata in autoriferimento al modulo mentale stesso, qualunque esso stesso sia.

Facciamo subito un esempio, prima di continuare nci cenni di precisazione relativi all'impianto di gnoseologia autoreferenzia~e. Lo studente che sta leggendo queste righe è impegnato nello studio dei fondamenti preliminari della statistica nell'ambito di un corso istituzionale (a cui, il nostro, di "metodologia generale" e agganciato per scopi integrativi) dove acquisisce una estremamente precisa famiglia di tecniche. Una volta assorbite, e ulteriormente composte entro un quadro coerente in seguito ad insegnamenti di perfezionamento successivo, tali tecniche si configureranno con lo status di (specifica) autoteoria criterio nella sua mente (cioè lo studente diviene un portatore dell'autoteoria "Statistica”. Quando sarà impegnnato professionalmente ad osservare ei fatti "vedrà" e tratterà quest'ultimi riorganizzandoli sulla base del metodo statistico precostituito, e consolidato, nella sua mente. Cioè metterà ordine in un campo di realtà potendo percepire (e comunicare in ambito intersoggettivo specifico) tale ordine solo se esso e coerente con quello fornito dall'autoteoria statistica. Nel nostro linguaggio egli compirà una "normalizzazione cognitiva autoreferenziale" coerente al contenuto normativo e sostanziale dell'autoteoria statistica (cioè osserverà i fatti attraverso il livello della statistica, ovvero generando i fatti stessi in autoreferimento a quest'ultima). Un suo collega, per esempio, addestrato esclusivamente alla visione qualitativo-fenomenologica, sarà portatore di un'altra autoteoria e il suo tipo di normalizzazione cognitiva autoreferenziale genererà, al riguardo dei medesimi fatti indagati da ambedue, un diverso tipo di ordine (es. rappresentazione) in quanto è di contenuto differente l'autoteoria ordinatrice.

Questi esempi banali di relativismo cognitivo servono solo a sottolineare che i fatti non passano alla mente senza pre-organizzazione e che la mente stessa genera i fatti attraverso la sua proprieta di creare un livello di realtà autoreferenziale che sta in relazione di indipendenza con quella esterna e che normalizza quest'ultima in riferimento a sè. In sintesi, ogni mente vede il mondo alla luce dell'automa teorico criterio (o del modulo) contingentemente allineante l'ordine di sistemi mentali.

Una, tra le tante, radicali differenze tra questo approccio (ed altri di spirito, anche se non di forma, analoghi) e quelli della gnoseologia empirico-induttivista è che quest'ultima si basa su un'immagine "passiva" della mente osservante e percepiente (i fatti entrano, possono entrare, devono entrare  nella mente così come sono senza manipolazioni preventive) mentre la nostra immagine implica che la mente è sempre "attiva" nell'osservazione e trattamento dei fatti, ricombinandoli e generandoli in riferimento a se stessa.

 

Gnoseologia autoreferenziale

 

Vediamo ora una possibile domanda ma allora i fatti della realtà oggettiva non influenzano per nulla il livello di realtà mentale? A questa domanda, ovviamente, non ci può essere una risposta di "sì" o di "no" assoluti. Vediamo perchè.

 

3.5.1. - Normalizzazione autoreferenziale a livello di autoteorie metascientifiche

 

Prendiamo una ~ente allineata, per lo più esclusivamente (solo per comodità di esempio), da una autoteoria religiosa, autocoerente in quanto dotata di una identità esplicativa e rappresentativa autonoma riprodotta come tale dai suoi portatori - traiettoria autoevolutiva. Dato il contenuto dogmatico ed aprioristico di tale autoteoria, dovrebbe essere più probabile trovare che essa è immodificabile di fronte all'esperienza empirica. Cioè, la mente così allineata tende ad usare sempre la medesima tavola interpretativa nel trattamento di qualsiasi fatto ed evento "osservato" nel campo reale. Se qualche evento resiste - in quanto controevidente - alla normalizzazione da parte dell'autoteoria religiosa, quest'ultima - ovvero la proprietà complessivamente ricombinante della mente da essa allineata - tenderà a "microvariare" l'autoteoria stessa fino a farle "coprire" anche quel controesempio o trovando una spiegazione "cervellotica" costituita come esplicazione arbitraria esclusivamente vincolata alla coerenza con l'autoteoria o dimostrando l'irrilevanza del controesempio a livello di nucleo centrale dell'autoteoria (si ricordi Lakatos quando dice che inizialmente il "nocciolo" dei "Programmi di ricerca" viene salvato scaricando i controesenpi ad esso diretti sulle teorie ausiliarie, che possono mutare o scomparire senza far danni al nocciolo stesso).

Di esempi uno ne può trovare tanti. Pensi alle spiegazioni miracolistiche o, in generale, di intervento divino nei fatti umani e fisici (es. il terremoto come atto di Dio), oppure pensi al modo con cui la Chiesa ha glissato (scaricandolo a livello ausiliario) il problema della falsificazione del geocentrismo (che era anche un Teocentrismo); si pensi ulteriormente come la Chiesa stessa oggi gio~no fa (ammirevoli del resto) salti mortali per mant~nersi come "tavola di spiegazione del mondo" di fronte alla vocazione sostitutiva di essa da parte delle sci~nze (è carino, in quanto capolavoro politico-diplomatico, il business tra scienziati e religiosi di non rompersi le scatole a vicenda; non è poi da sottostimare l'alleanza tra mito religioso e scientifico che caratterizza l'attività di molti ricercatori, particolarmente nella fisica per esempio, Abdus Salam, Nobel per la fisica, che dice - più o meno - "cercando Dio ho ridotto, en passant, da quattro a tre le forze fondamentali della fisica"; o Carlo Rubbia - anch'egli Nobel nella stessa disciplina - che va alla caccia delle Supersimmetrie, animato - qui non ne sappiamo valutare il sapore metaforico - da una teologia dell'ordine fondamentale, ecc.). Poi se u~o vuole trovare esempi recenti di distorsioni dogmatiche di fonte religiosa nello specifico dominio delle scienze, vada a visitare la teoria creazionista dell'evoluzione, frequentata - e con virulenza pole~ica - da parecchi ricercatori con status accademico (per lo più negli USA.). Tra l'altro è interessante, al riguardo, che i creazionisti usino argomentazioni "scientifiche" per aggredire la teoria darwiniana dell'evoluzione, sottolineando che essa non è corroborata a livello empirico in quanto non si trovano i

L         storia naturale - gli anelli mancanti - che sosterrebbero tale modello evolutivo. Ovvero aggrediscono, a favore di una visione neo-teologica, il nocciolo dell'autoteoria darwiniana attraverso una teoria ausialiaria di essa (il gradualismo continuista) indebolita da una labile corrispondenza empirica. Labilità, come abbiamo già accennato in una nota, del resto messa in luce dalla teoria (laica) degli equilibri puntuati che, probabilmente, è in procinto di sostituire quella ausiliaria del gradualismo (cioè gli anelli mancanti non si trovano per il semplice fatto che non ci sono in quanto l'evoluzione non è continuisticamente graduale, ma va a salti discontinuistici inframezati da periodi di stabilità). Ecc.

 

(mancano due pagine)

 

Ma torniamo al punto. Possiamo dire che una mente antropica tende a "resistere" ai fatti, ovvero tende a normalizzare l'esperienza in riferimento a se stessa nonostante la controevidenza.

Per queste autoteorie, allora, i fatti sono irrilevanti? Sì e no. Sì perchè i fatti - i controesempi fattuali - non sono direttamente in grado di modificare l'autoteoria. No in quanto non c'è una totale indipendenza tra fatti ed autoteoria ("relazione di indipendenza", infatti non vuol dire totale separazione tra una cosa e l'altra, ma indica il particolare regime di relazioni eteroreferenziali con l'ambiente che caratterizza i sistemi autoreferenziali).

Di fronte ai controesempi l'autoteoria subisce modificazioni. Ma di che tipo? Modificazioni che non tendono ad intaccare il nocciolo dell'autoteoria (per es. scaricandole sui livelli ausiliari) e, quindi, il contenuto sostanziale della sua traiettoria autoevolutiva. Tuttavia questa assume, nel tempo, stati qualitativi diversi in relazione al tipo di esempi controfattuali (e le autoteorie competitrici) che ha do~uto normalizzare volta per volta. Si pensi alla sostanziale continuità, ma anche ai mutamenti intervenuti nel corso della traiettoria autoevolutiva bimillenaria dell'autoteoria "religione cattolica". In sintesi, la maggior parte degli automi teorici culturali tendono a compiere - fino ad abbattimento - traiettorie autoevolutive che sono influenzate dai "fatti" a livello, per dire, di componenti ausiliare, ma non del nocciolo dell'autoteoria. Cioè fatti ed automi teorici stanno sì in "relazione", ma di "indipendenza".

 

3.5.2. - Normalizzazione cognitiva autoreferenziale a livello di autoteorie scientifiche

 

Vediamo ora - sempre nella risposta alla domanda relativa al rapporto tra realtà fattuale e livelli di realtà delle autoteorie - cosa si può dire al riguardo delle autoteorie scientifiche, ovvero quegli automi teorici che sono - dottrinalmente - allineati dall'autoteoria criterio Galileiana caratterizzata da prescrizioni esplicite, e codificate intersoggettivamente, al riguardo della correggibilità delle teorie attraverso il controllo del regime di allineanento tra autoteoria Metodo e quella di campo specifico, in cui quest'ultima allinei la prima. Riteniamo che quest'ultimo caso sia molto più frequente che non il primo. In tal senso, succede che la normalizzazione dei fatti attuata in autoriferimento dalla teoria di campo specifico non è sostanzialmente vincolata dalla prescrizione dell'autoteoria metodologica. Il che non vuol dire che il ricercatore non metterà la sua teoria alla prova con i fatti, ma che tenderà a resistere fortemente agli esempi controfattuali, probabilmente preferendo buttar via questi - fino a che c'è una minima possibilità di farlo - piuttosto che la teoria, e/o generando variazioni o appendici ausiliarie che evitino e reinterpretino l'insieme controfattuale.

In parole povere, una volta fissatasi in testa una teoria, un ricercatore tende a far tutto il possibile per salvarla, nonostante un regime più o meno ampio di controfattualità (c'è da dire, uno, che ciò non implica assolutamente malafede o cinismo metodologico - anche se di brogli è piena la storia delle scienze -; due, che ciò avviene anche perchè il più dei ricercatori che esibiscono una vocazione (ed una identità) teorica, prima di buttar fuori il loro prodotto - se non sono pressati da qualche competitore potenziale - esplorano mentalmente o sperimentalmente un vasto arco di controfatti possibili; il che non dice nulla sulla validità, ma indica un sostanziale processo di autoconvincimento nel ricercatore, nonchè l'atteggiamento di questi nei confronti della "sua" teoria).

Quanto detto apre una considerazione complessiva. Nell'ambito delle discipline scientifiche è rarissimo che sia lo stesso ricercatore ad elaborare una teoria di "peso" ed a falsificarla o, meglio, a sottoporla convincentemente a falsificazione. Quest'ultimo processo è svolto dall'ambiente disciplinare ed i criteri adottati sono molteplici. Cioè il processo di accettazione o rifiuto di una teoria scientifica è "anche" caratterizzato da criteri di purismo metodologico, nella marea di altri "criteri" del tutto metascientifici. In altri termini, si avvera anche in tale tipo di ordini di sistemi lo scenario di sostituzione evoluzionistica, secondo i principi dati.

Torniamo, tuttavia, al punto relativo alla domanda di qualche pagina fa. Le autoteorie non sono direttamente e automaticamente falsificate e/o influenzate dai "fatti". Sono teorie orientate al dominio dei fatti. Ma il processo attraverso cui tale dominio avviene concretamente è analogo (pur nella fondamentale diversità metodologica delle autoteorie scientifiche) a quelli che caratterizzano la composizione evoluzionistica e l'autoevoluzione delle autoteorie metascientifiche.

 

3.6. - Conclusione

 

In sintesi, ad un primo livello - quello dell'isomorfismo sistemico -, ogni soggetto antropico in relazione con una realtà esterna ad esso tende a normalizzare cognitivamente quest'ultima in riferimento al tipo di autoteoria criterio che allinea contingentemente (o remotamente) il suo ordine mentale. In altri termini ogni relazione cognitiva e percettiva tra una mente ed un campo di fatti è una costruzione di un livello di realtà attuato in autoriferimento dalla mente stessa, sulla base sia del tipo di autoteorie sia del tipo di ricombinazione (ricordarsi il meccanismo di doppia autoreferenzialità) che caratterizzano la configurazione di essa stessa. Ovvero riteniamo generalizzabile a qualsiasi attività percettiva e cognitiva il principio di gnoseologia autoreferenziale sopra dato.

Ciò significa che esiste un livello - appunto quello sistemico-isomorfico - in cui non facciamo distinzione tra attività cognitiva metascientifica e scientifica.

La differenziazione dei modi e degli esiti delle attività cognitive avviene ad un secondo livello, ovvero a quello del contenuto delle singole autoteorie criterio. Tuttavia, anche a tale livello, non viene variata la forma standard del principio di gnoseologia autoreferenziale, ma ne viene variato il modo ed il campo in cui esso opera. L'autoteoria criterio della scienza prescrive un particolare atteggiamento nei confronti della realtà fattuale che è peculiare nei confronti di tali teorie. Ciò non significa che, in tale ambito, la tendenza alla normalizzazione (percettiva e) cognitiva autoreferenziale smetta di essere tale, ma significa che tale specifico tipo di costruzione di un livello di realtà (o ordine) è peculiarmente vincolato al dominio diretto dei fatti stessi, cioè tende ad essere selezionato negativamente "più facilmente" lì dove tale dominio (corrispondenza con "alcuni fatti", operatività di uno strumento tecnologico, ecc.) risulti, in un modo o nell'altro, labile. Tuttavia, la scienza, come ogni altra attività comune, è un'azione autoreferenziale di costruzione di livelli di realtà.

 I ricercatori inseguono la realizzazione di un disegno mentale che non gli entra in testa attraverso procedure induttive e svincolate dal regime d'ordine già pre-esistente (che sarebbe la posizione standard dell'induttivismo), ma attraverso la generazione indeterministica di un modo di vedere specifico, basato sulla composizione evoluzionistica, nell'ambito della mente del ricercatore, delle autoteorie - scientifiche e no - in traiettoria autoevolutiva persistente nell'ambiente del ricercatore stesso. Tale composizione evoluzionistica in ambito mentale specifico è la fonte del peculiare programma di ricerca dello scienziato. Ovviamente questo tipo di composizione (la genesi dell'ordine mentale soggettivo) è anche influenzata dall'esperienza fattuale, ma da un'esperienza sempre normalizzata in autoriferimento alla contingente configurazione mentale (ciò venga memorizzato, anche se è improprio metterlo così, come posizione di "deduttivismo" - o razionalità - autoreferenziale).

Il ricercatore, prima di tutto e nonostante tutto, tende a realizzare il proprio programma di ricerca (e la relazione di esso con un Programma più generale è cosa rappresentabile attraverso il principio di doppia autoreferenzialità più volte citato) facendo salti mortali affinchè quest'ultimo non venga selezionato negativamente nè dalla realtà empirica nè dall'ambiente dei colleghi e del pubblico in condizione giudicante. Tali salti mortali non sono (come nel caso dei portatori professionali di programmi politici, religiosi o del genere) compiuti alla beduina. Il ricercatore, preventivamente - a parte

molti casi in cui l'angoscia dell'ambizione genera la follia di truccare deliberatamente le prove a favore tende a svolgere controlli vasti e faticosi del suo impianto nel corso della costruzione dell'autocoerenza di quest'ultimo. Una volta costituitosi, però, il programma di ricerca è tendenzialmente difeso (coscientemente o inconsapevolmente) allo stremo da parte del ricercatore, in quanto esso ormai allinea in modo consolidato la visione specifica tendenzialmente resistente ai controesempi fattuali (che, del resto, non hanno mai potenza di immediata e totale evidenza contraria).

In altre parole i ricercatori tendono a realizzare nonostante i fatti - creando gli stessi in autoriferimento ecc. - le loro visioni specifiche e generali. Buona parte dell'attività di diffusione-accettazione di una teoria assume quel tenore di "azione politica" che i nuovi filosofi della scienza (e sociologi della stessa) tendono (il più radicale è Feyerabend) a riportare nella riflessione sui processi scientifici in posizione contraria a coloro che ritengono (o vogliono) che tali processi siano esclusivamente basati su criteri di pura "razionalità scientifica".

Quest'ultima considerazione ne invita ad un'altra.

C'è una bella differenza tra il come viene attuata la riflessione sul far scienza dall'esterno e il come viene attuata la ricerca da chi realmente la fa. Quest'ultimi per lo più - tendono a non essere vincolati dalle rarefatte e - forse - inutilmente rigorose prescrizioni formali di verità e metodo. Sono spinti da una visione realizzativa che non può essere - e non è - imprigionata da procedure, regole e tecniche fisse. Quando si forza la realtà a realizzarsi in schemi desiderati e desi~erabili, si usa l'immaginazione (una autoteoria) svincolata da ogni cosa che non sia la realizzazione stessa del proprio disegno. Sul come quest'ultima, poi, si mette in relazione con i fatti è oggetto di piena indecidibilità, nonostante lo sforzo di filosofi ed epistemologi (o scienziati che fanno anche gli) di cercare ed imporre regole. Buona parte dei prodotti della scienza (tecnologici, computazionali, ecc.) hanno fondamentalmente carattere convenzionale ed autovalidante (per es. un computer e la teoria macchina che ne è precursore non sono nè veri nè falsi, ma semplicemente autoesistenti). Il che, nella nostra visione, significa che essi semplicemente "esistono, ovvero hanno creato la propria verità semplicemente" riuscendo ad esistere. Tale "esistenza" non significa che "esistano" in totale indipendenza con i fatti, ma significa che il livello di realtà costruito ha forzato i fatti a disporsi secondo uno schema desiderato e che ciò non è stato oggetto - ancora - di selezione negativa (e questa non è solo una proprietà delle discipline realizzative tecnologiche - "strategiche" - ma anche di quelle, anche se in modo diverso, interpretative). La costruzione della realtà, possibile grazie alla immensa flessibilità della materia, e non la dipendenza da una realtà fissa data per sempre è l'oggetto reale della scienza come attività realizzativa sia di schemi interpretativi che di prodotti tecnologici.

 

La maggior parte dei filosofi della scienza (o pensatori su di essa di varia estrazione) di scuola tradizionale non ha catturato granchè di questo aspetto a cui noi stiamo dando enfasi (perchè ha un impatto diretto sul problema del Metodo). I motivi sono tanti e fra questi possono aver giocato sia l'orientamento filosofico "veritista", ovvero un tipo di ricerca della verità altamente restrittivo, sia l'essere un po' creduloni nei confronti dei rendiconti da "angioletti" fatti dagli scienziati "operativi" quanto autodescrivono la propria attività sia la "necessità" di isolare un campo di studio - la "scienza" appunto - dandogli connotazioni arbitrariamente iper-peculiari sia chissà cos'altro. In parole povere il bisogno di "certezza" di chi riflette sulla scienza è molto diverso da - e notevolmente superiore a quello che caratterizza chi la ricerca la fa.

Prima di essere fucilati dalla comunità dei filosofi, storici della scienza, studiosi sul Metodo, gnoseologi, ecc. è opportuno segnalare che lo sviluppo di tali punti di vista "esterni" ha importanza fondamentale.

Quest'ultimi favoriscono l'esplicitazione del problema del metodo in modi tali da correggere le soventi ipersemplificazioni - es. criteri di comodità - prodotte dai ricercatori (si pensi alle riflessioni metodologiche elaborate dai ricercatori di orientamento empirista-logico). Poi, raffinandoli continuamente e criticamente, contribuiscono sostanzialmente allo sviluppo ed al consolidarsi dei codici della ricerca scientifica, il che è fondamentale per i requisiti della comunicabilità intersoggettiva. Ed avanti così, sapendo di poter enumerare decine di "ruoli positivi" al riguardo della riflessione sulla scienza dall'esterno. Quest'ultima,

molta fatica ad abbracciare la comPlessità dei processi scientifici di elaborazione e

fino al punto che, nella versione tradizionale, isola arbitrariamente questi stessi da quelli più generali dell'evoluzione socioculturale o usa quest'ultima tavola in modo non sempre - anche per l'oggettiva difficoltà "proprio".

In queste righe - il motivo perchè sono state "tante" - abbiamo cercato di basare la riflessione sulle scienze su una (auto)teoria generale dei sistemi e dell'evoluzione che stiamo sviluppando nel nostro lavoro di ricerca (vedi Pelanda 1984a, 1985). Al di là del contenuto di questa visione - del resto qui data in modo sommario resti allo studente - ed all'occasionale e cortese lettore - il fatto che quanto detto è anche una autodescrizione del come un ricercatore stia consolidando la propria autoteoria. Il che chiude - invitando ad individuarne la doppia natura paradossale e reale l'anello autoreferenziale di queste righe.

 

Ma penso, e non sono il solo, che le tautologie possano essere generative: la conoscenza è una decisione autoriferita.

 

 

4. Il metodo scientifico (scheda essenziale)

 

4.1. - Premessa di carattere elementare

 

Spulciando una certa varietà di testi dedicati a corsi introduttivi di statistica e di matematiche applicate alle scienze sociali (economia, psicologia sociale, sociologia, ecc.), abbiamo trovato, con una notevole regolarità, la medesima - nella sostanza - descrizzione di che cosa sia il metodo scientifico e di come in esso venga attuato il trattamento formale dei dati empirici. Tra i volumi che abbiamo occhieggiato - per lo piu rivolti a studenti statunitensi - ne abbiamo scelto uno (Kemeny e Snell 1973) di cui parafrasiamo parte dell'introduzione - che può essere considerata esemplificativa di molte altre - in modo tale che lo studente a cui sono rivolte queste righe conosca cosa viene detto a molti dei suoi colleghi.

Parafrasiamo e traduciamo Kemeny e Snell 1973: 3-4.

Per capire il ruolo giocato dai modelli matematici nella scienza dobbiamo possedere qualche nozione al riguardo della natura del metodo scientifico. Il metodo scientifico può essere inizialmente descritto come un processo ciclico attraverso il quale gli esseri umani imparano dall'esperienza. Come l'evidenza si accumula, possono essere formulate teorie sempre meglio in accordo con il reale operare della natura. Il ciclo fondamentale del metodo scientifico puo essere diviso in tre passi induzione, deduzione e verifica. L'induzione è il passo che porta lo scienziato dall'osservazione fattuale alla formazione delle teorie. Queste teorie possono essere formulate sia in modo molto ravvicinato ai fatti in quanto semplici schematizzazioni di fatti osservati,

modo altamente astratto, come quelle della moderna fisica teorica. Il passo induttivo è necessariamente creativo e, sebbene siano state proposte varie regole, quest'ultime sono, al meglio, dei tracciati generali di carattere incerto (uncertain guides), piuttosto che criteri la cui adozione garantisce il successo. Lo scienziato è in grado di indagare un processo solo sotto un piccolo numero di condizioni; dopo di cio egli deve tentare di spiegarlo nella sua completa generalità. Così, anche una teoria ispirata e, in parte, una congettura ispirata.

Una volta che una teoria sia formulata con precisione, gli strumenti della logica e della matematica sono disponibili per dedurre conseguenze da essa. Ed è proprio a livello di deduzione, il secondo passo, che la formazione delle teorie diviene rilevante per lo scienziato. E ciò perchè è durante il processo di deduzione che lo scienziato scopre un numero di conseguenze della sua teoria che possono non essere state immediatamente evidenti. In alcuni casi la catena di deduzione può prendere molti anni ed i risultati possono essere del t

Una volta che un insieme di conseguenze rilevanti e stato dedotto dalla teoria, queste devono essere sottoposte alla prova della verifica sperimentale. In alcuni casi i nuovi fatti dedotti dalla teoria riguardano eventi gia osservati, in altri saranno necessarie nuove osservazioni ed esperimenti per controllare le predizioni. Nel primo caso si parla di una teoria che è servita per spiegare nuovi fatti, nel secondo, si dice che la teoria è servita per predire l'avverarsi di eventi.

La fiducia nei confronti di una teoria aumenta man mano che essa risulti capace di generare predizioni vere. D'altro conto succede spesso nella storia della scienza che un regime di controlli ulteriori persuada al rigetto della teoria precedentemente accettata. Molto frequentemente il rigetto di una teoria stimola direttamente la formulazione di un'altra, migliore cioè una che spiega sia quei fatti sui quali era basata la teoria scartata sia quelli nuovi che hanno condotto al rigetto della vecchia teoria stessa.

Probabilmente lo studente sarà invidioso dei suoi colleghi che, al posto del nostro modo così complicato di mettere le cose, si sentono riportare con toni pacati una descrizione così semplice e rassicurante di che cosa sia il metodo scientifico (e, indirettamente, il mondo che ne è oggetto). Andiamo,adesso~a vedere cosa ci sia dietro.

 

4.2. - Logicismo, positivismo logico ed empirismo logico

 

Seguiamo,  nella  formulazione  di  questa  parte  della scheda, una traccia già percorsa da Brown, 1984: 10-18.

 

 

4.2.1. - Il logicismo

 

Il punto centrale della posizione logicista, uno degli oggetti principali dei "Principia Mathematica" di Whitehead e Russell (1910) è reso dalle seguenti parole di Russell. "Tutta la matematica pura tratta esclusivamente di concetti definibili in termini un numero estremamente ristretto di concetti logici fondamentali, e tutte le sue proposizioni sono deducibili da un numero piccolissimo di principi logici fondamentali (Russell 1903 XV)".

"La caratteristica centrale della logica dei Principia è di esserre una logica estensionale; in particolare, nel caso della logica proposizionale, è una logica vero-funzionale. Si stabilisce una distinzione fra proposizioni "elementari" o "atomiche" e proposizioni "molecolari", laddove le proposizioni molecolari sono costruite sulla base delle proposizioni elementari mediante l'impiego di operatori. Le proposizioni elementari sono vere e gli operatori proposizionali sono definiti in modo tale che il valore di verità di una proposizione molecolare e determinato unicamente dai valori di verita delle proposizioni elementari che la costituiscono. A nessun livello il significato o contenuto delle proposizioni costituenti svolge un qualche ruolo nella valutazione delle proposizioni molecolari. Per esempio, la congiunzione delle proposizioni "p" e "q" è vera allorchè sia "p" sia "q" sono vere, altrimenti è falsa. Così, entro la struttura della logica dei "Principia" non c'è alcuna differenza significativa fra il congiungere due proposizioni che si riferiscano al medesimo argomento, come accade per "L'elettrone "e" è in un campo gravitazionale" e "L'elettrone "e" è in un campo magnetico", ed il congiungere due asserti che non vertano su di un argomento comune, come avviene per la congiunzione di uno dei precedenti asserti con "George Washington nacque il 22 febbraio". Questa caratteristica della logica dei "Principia", come vedremo, ha esercitato un'influenza significativa sull'opera degli empiristi logici, i quali hanno adottato la logica dei "Principia" come loro strumento primario per l'analisi della scienza (Brown, 1984:11)".

Buona - o una - parte del lavoro di Whitehead e Russell è rivolta al problema della validità dell'inferenza matematica. "Affinchè l'inferenza di "q" da "p" possa essere valida è necessario solamente che "p" sia vero e che la proposizione "non - p" o "q" sia vera. Ogniqualvolta si dia questa evenienza, e evidente che "q" deve essere vero (Russell 1919 153)" In pratica il succo dell'elaborazione di logica estensionale vero- funzionale (nell'ambito della logica proposizionale, trattata in termini di filosofia della matematica rivolta ai peculiari problemi della matematica pura) è il poter sostenere che ciò che è implicato da una proposzione vera sia vera. In tal senso la matematica (pura) può procedere attraverso passi in cui la verità viene estesa per implicazione dedotta da una verità "principiale", cioè di natura assiomatizzata. Ma quanto è vera una verità matematica di carattere "principiale", cioè quanto - o, meglio, "come" - è vero uno o l'insieme ristretto di concetti logici fondamentali dai quali viene iniziato, dedotto ed esteso (e controllato) per implicazione il processo di costruzione inferenziale della verità matematica? In altri termini come è che la matematica è vera?

Russell, di fronte al problema della verità della matematica, trasforma quest'ultimo in termini di problema della verità logica e - qui non c'è spazio per trattare meglio questo punto - ci basti ricordare che buona parte degli studiosi di campo specifico è concorde nel ritenere insoddisfacente la sua soluzione (il problema poi, e oggetto di geniale trattamento da parte di Godel, sul quale diremo qualcosa in una nota nel seguito). E' importante, tuttavia, rilevare come Russell - pur nell'ambito di un breve, ma famoso inciso (anche perche cita un'osservazione del suo famoso allievo Wittgenstein) sospetti che la natura della verità logica sia di tipo tautologico.

Al punto, è molto importante - e cruciale per il seguito - menzionare la posizione di "formalismo matematico" come sostenuta da Hilbert. Secondo tale impostazione la matematica pura di per sè non dice nulla sul mondo e fino a qui "logicisti" e "formalisti" sono d'accordo). Ma l'affermazione principale e che, secondo i formalisti, la matematica e la logica non sono ne vere nè false al contrario dei logicisti che sostengono la natura vera della matematica e della logica stesse. Cioè, per il formalista, la matematica e la logica hanno l'esclusivo status di giochi nè veri nè falsi con simboli governati da regole (riprenderemo in modo variato ed esteso questo concetto in termini di autoepistemologia o epistemologia autoreferenziale).

 Per mero inciso, riteniamo che il problema della verità della matematica della logica e di qualsiasi altro statuto di segni antropico trovi, se non soluzione, opportuna rappresentazione nell'ambito del principio di gnoseologia autoreferenziale dato nella sezione precedente.

E fin qui siamo all'interno di una riflessione sulla matematica di per sè e non ci inoltriamo di più in tale campo.

 

4.2.2. - "Positivismo" ed "empirismo" logico

 

Il campo dove quanto detto poco sopra assume significato ai nostri fini è quello del matrimonio tra logicismo matematico ed empirismo, ovvero la fusione tra empirismo positivista (cioè la posizione per cui l'unica conoscenza legittima è quella basata direttamente sull'esperienza) e logica simbolica dei "Principia mathematica" (cioè la posizione - logicista - di logica estensionale, vero-funzionale, sopra menzionata) ( 10 ) .

Un punto di partenza fondamentale (che qui rendiamo in forma del tutto succinta e sbrigativa) è fornito dal lavoro di Ludwig Wittgenstein (1921) così come interpretato ed accettato nell'ambito del Circolo di Vienna. Cosa fa (o, meglio, come viene interpretato) Wittgenstein, in parole poverissime? Porta a livello di trattamento dei fatti empirici il logicismo matematico vero funzionale nonche la sintassi (relazioni formali tra simboli) di quest'ultimo. Cioe, individuate proposizioni empiricamente vere, da esse e possibile comporre una proposizione aggregata altrettanto vera, se il processo e attivato nell'ambito di procedure logico-formali "vere" e vincolanti. Ovvero viene creato un "metodo" per il trasferimento di verita da un livello proposizionale semplice (esempio la descrizione di un fatto) ad uno complesso (es. l'associazione di fatti) (11). Tale metodo è lo stesso, sia per natura che per forma, a quello già visto nel cenno sul modo logicista di trattare l'implicazione (ovvero cio che e implicato da una proposizione vera è vero). Se un fatto empirico vero viene trattato correttamente secondo i dettati del simbolismo estensionale vero-funzionale, allora verrà individuata una "proposizione significante", secondo il ristretto (beh, ripetiamo) significato che ciò assume nell'ambito del positivismo logico (che, proprio per quanto appena scritto consiglieremmo di chiamare "logicismo positivista").

Ma quale e il punto di partenza della verita induttivo empirista che possa avere le stesse caratteristiche della "verita íniziale" che regge l'inferenza deduttiva del logicismo matematico? Wittgenstein (ripetiamo, come interpretato ed accettato dal Circolo di Vienna) individua questo punto di partenza nel concetto di fatto come proposizione atomica elementare (in questo compie una rielaborazione - nel senso di entita logicamente distinta - del concetto di "fatto" in Hume, che qui non c'e spazio per riportare), cioe il livello fondamentale della conoscenza empirica. Vediamo come prosegue Brown, meglio di noi, su questo punto:

"Per Wittgenstein, similmente, le proposizioni atomiche che costituiscono il livello fondamentale della nostra conoscenza empirica sono tutte logicamente distinte (come per Hume le idee semplici sono tutte logicamente distinte). Nessuna proposizione atomica dedotta da un'altra proposizione atomica, ne alcuna proposizione atomica puo contraddirne un'altra. "Il genere piu semplice di proposizione, una proposizione elementare, asserisce il sussistere di uno stato di cose", e "Un segno della proposizione elementare è che nessuna proposizione elementare puo essere in contraddizione con essa".

Essenziale per l'argomentazione di Wittgenstein e un'ulteriore distinzione fra "fatti" (tatsache). "Il mondo si divide in fatti", e "stati di cose" (sachverhalt). "Uno stato di cose e un fatto logicamente possibile, un fatto e uno stato di cose che in effetti sussiste davvero. Ogni proposizione che corrisponde ad uno stato di cose è significante, una proposizione che corrisponde ad un fatto e anche vera, e una proposizione e lo stato di cose cui si riferisce hanno la medesima forma logica. Una proposizione significante e una raffigurazione logica di uno stato di cose, ed in un linguaggio logicamente corretto tutte le combinazioni insignificanti di parole, tutte le pseudo - proposizioni, violeranno le regole sintattiche del linguaggio. Non c'e bisogno di dire che nessun linguaggio soddisfa queste condizioni. Una delle preoccupazioni centrali del positivista logico e la costruzione di un siffatto linguaggio logicamente corretto, e non dovrebbe suscitare meraviglia che il formalismo logico dei "Principia Mathematica" sia assunto come base per la costruzione di questo linguaggio (Brown, 1984)".

In parole povere, secondo le prescrizioni del positivismo logico il ricercatore dovrebbe costruire proposizioni complesse vere componendole nell'ambito di un processo in cui, per inferenza, vengono estese due verita iniziali congiuntamente operanti, quella relativa ai fatti del mondo reale e quella relativa alla natura vera della sintassi logico-formale impiegata per collocare e comporre la prima.

Usiamo, ancora una volta, le parole di Brown per veder complessivamente la seguenza di passi coerente con la dottrina metodologica (perche di altro non si tratta) del positivismo logico

"In primo luogo ci sono le proposizioni puramente formali, tautologie e contraddizioni. Queste sono significanti, e ne determiniamo il valore di verita esaminandone la forma. In secondo luogo ci sono le proposizioni atomiche. Pure queste sono significanti, e ne determiniamo il valore di verità osservando se esse si conformano o meno ai fatti. In terzo luogo ci sono le proposizioni molecolari. Queste sono funzioni di verita delle proposizioni atomiche, e se ne determina il valore di verita determinando dapprima il valore di verita delle proposizioni atomiche costituenti, per poi applicare le definizioni delle costanti logiche. Da ultimo ci sono tutte le altre combinazioni di parole, che non rientrano in alcuna delle precedenti classi. Queste sono pseudo-proposizioni, pure combinazioni insignificanti di suoni o di segni prive di un contenuto cognitivo. In tal modo il valore di verita di una qualsiasi proposizione significante pua essere determinato una volta per tutte valendosi soltanto dell'osservazione e della logica (Brown, 1984-17)".

Quanto detto sostiene la posizione centrale del positivismo logico - per la cronaca quella oggetto di attacco da parte del pensiero falsificazionista e ipotetico -deduttivista di Popper -, ovvero quella verificazionista - il credere che sia possibile fare un controllo conclusivo di una teoria -, nel peculiare senso di "Teoria verificazionista del significato". La tesi di quest'ultima e che una "proposizione contingente è significante se e solo se puo essere verificata empiricamente, vale a dire se e solo se c'e un metodo empirico per decidere se e vera o falsa; se un tale metodo non esiste essa e una proposizione insignificante (Brown 1984- 15). Il processo di verificazione, poi, avviene nell'ambito dei passi gia descritti nella precedente citazione, ovvero nel panorama di fusione tra veritismo empirista e veritismo formalista.

Qui non sottoponiamo a critica le tesi del positivismo logico sia perche chi ha letto le nostre righe precedenti ha gia capito in che direzione divergiamo, sia perchè e almeno un quarantennio che le tesi del positivismo logico sono aggredite da più parti (non per questo la cosa è stata distrutta) sia perche, piu rilevante, tale posizione e stata perpetuata in forma rielaborata nell'ambito dell' "empirismo logico" in termini sia di prassi che filosofia di ricerca. Ed e a quest'ultima dottrina metodologica, infatti, che stiamo per rivolgerci.

Il miglior modo per comprendere l'empirismo logico e di considerarlo una visione moderata del positivismo logico (Brown, 1984 17), con il quale, tuttavia resta pressoche indissolubilmente connesso in quanto basato sull'uso del metodo logico ("logicista") d'analisi, come elaborato da Withehead e Russell (e da Peano, Frege, ecc.). In altre parole il secondo mantiene il medesimo carattere distintivo del primo nei confronti delle precedenti forme sia dell'empirismo che del positivismo.

Una rielaborazione fondamentale del positivismo logico in sede di empirismo logico (sempre nell'ambito del Circolo di Vienna, citato in precedenza e descritto, per i dati di cronaca, in nota 10) riguarda la "teoria verificazionista del significato", ovvero una riformulazione dell'impianto confermazionista che caratterizza i due "ismi" qui oggetto. Tale teoria implica sia un trattamento puramente formale dei processi della conferma (12) sia la possibilita di verificare le proposizioni scientifiche (rese "significanti" attraverso i passi logicisti prima citati) nell'ambito di un insieme finito di asserti osservativi. Al riguardo della prima componente, la maggior parte dei positivisti scelse "di rinunciare alla teoria verificazionista stretta del significato, e di sostituirla con il requisitio secondo cui una proposizione significante deve essere controllabile mediante un riferimento all'osservazione. Questi controlli non devono essere conclusivi, ma devono fornire l'unica base per determinare la verita e la falsita nelle scienze. ed all'esperimento (Brown 1984- 18). Cioe veniva formulato esplicitamente il requisito di verificabilità empirica, - aggredito dal pensiero falsificazionista di Popper - in un modo (che qui non c'e spazio per dettagliare) che ammorbidiva l'enfasi totalmente formalista del verificazionismo positivo-logicista. Al riguardo della seconda componente, Rudolf Carnap (nel suo saggio "controllabilita e significato" del 1937, considerato da molti come atto costitutivo dell'empirismo logico; al riguardo di tale autore, per aspetti generali, lo studente di statistica troverebbe certo interessante Kuipers 1984) revisiona l'enfasi totalmente verificazionista del positivismo logico riconoscendo l'impossibilita di verificare in modo conclusivo una qualsiasi proposizione scientifica e proponendo di sostituire la nozione di "verificazione" con quella di "conferma gradualmente crescente".

In tale forma (qui data in modo del tutto sommario) l'empirismo logico si e costituito come programma di ricerca sia di chi riflette su di esso e sul suo metodo sia di chi lo incorpora in termini di criteri guida nella prassi della ricerca stessa. Dai tempi della sua costituzione tale programma ha subito variazioni continue dall'interno e attacchi formidabili, dall'esterno. Nonostante queste variazioni ed attacchi - e l'insolubilita dei paradossi da esso generati - l'empirismo logico mantiene ancora oggi le sue caratteristiche di programma di ricerca (nel senso di visione del mondo e di prescrizione metodologica) che, se non proprio condiviso di ricerca, tuttavia orienta e influisce in modo rilevante, se non addirittura dominante in alcuni settori, il modulo standard della scienza.

 

 

4.2.3. - Le caratteristiche del metodo scientifico (livello delle procedure)

 

Utilizziamo qui un tracciato seguito da M. Pera (1982), autore il cui lavoro, pur distante dai nostri orientamenti definisce certamente con chiarezza le prescrizioni del "metodo scientifico" (lo fa nel particolare ambito di una "controffensiva" al riguardo degli attacchi a quest'ultimo da parte della nuova filosofia della scienza, ovvero da parte di Feyerabend, Hanson, Kuhn, Toulmin, ecc.).

Innanzitutto quale e lo scopo del metodo scientifico (nel nostro linguaggio sarebbe- quale e il contenuto dell'autoteoria-denominazione convenzionale-Galileiana)? Lo scopo, sottolinea Pera (1982- 11), e quello di perseguire gli ideali ed i valori codificati come "conoscenza scientifica", ovvero la "sistematicita"e l'"oggettivita". In tale ambito la posizione sostenuta da Pera e che esista un solo metodo per ottenere tale finalita, e questo e il metodo scientifico, che, quindi, deve essere applicato invariantemente e omogeneamente a qualsiasi livello ed oggetto di realta, indipendentemente dall'ambito disciplinare, se si vuole ottenere una conoscenza "sistematica" ed "oggettiva".

Vediamo come questo autore definisce il metodo.

"Metodo" o "metodo scientifico" e termine polisignificante. Esso contiene almeno tre diversi explicanda che e indispensabile distinguere.

In primo luogo il metodo scientifico è una procedura, una strategia generale che indica una sequenza ordinata di mosse (o stadi) che lo scienziato deve eseguire (o percorrere) per raggiungere lo scopo della propria ricerca. E' in questo senso che si parla del "metodo deduttivo" o del "metodo induttivo" o del metodo "ipotetico-deduttivo" e simili... .

In secondo luogo, il metodo scientifico e un insieme di regole o di norme di condotta o di raccomandazioni per ciascuna delle mosse in cui si articola la procedura. Cosl, se la procedura prevede che una mossa della ricerca sia quella di inventare ipotesi e un'altra mossa quella di sottoporle a controllo mediante confronto con l'esperienza delle conseguenze osservative derivate, il metodo scientifico in questo secondo senso e l'insieme delle regole di prescrizione delle ipotesi ammissibili e di valutazione degli argomenti di controllo accettabili...

Infine, in terzo luogo, il metodo scientifico e un insieme di tecniche, concettuali o operative, con cui si effettua una delle mosse prevista dalla procedura e regimentata dalle regole. In questo senso si parla, ad esempio, di metodi (o tecniche o metodiche) di osservazione, di classificazione, di calcolo, di esecuzione degli esperimenti, ecc. Sempre nello stesso senso, si dice, ad esempio che la sociologia si serve del "metodo" del campionamento ... e cosi via (Pera, 1982: 14-15).

Da questo schema definitorio, Pera ricava il compito della metodologia. Quest'ultima deve:

1) individuare le procedure della scienza, stabilire se essa sia o no invariante rispetto alla molteplicita delle discipline

   zione;

2) fissare e giustificare un sistema di regole che disciplinano ciascuna delle mosse previste dalla procedura;

3) determinare le tecniche ammissibili o i criteri che esse devono soddisfare affinche il loro uso sia ammissibile (Pera 1982: 16)".

La metodologia, nell'assolvere tali compiti, fissa la forma del sapere scientifico ai diversi livelli in cui esso si articola. Per esempio, la sequenza postulazioniteoremi fissa la forma del processo deduttivo-matematico. Quella osservazioni-ipotesi-controlli individua la forma del processo induttivo o empirico, ecc.

La procedura fondamentale della scienza empirica, da molti detta il "metodo scientifico" - cioe la componente procedurale del - e quella indicata dallo schema seguente (come in Pera 1983- 16).

 

O  -- H  -- O  -- H

p          c            c

 

in cui °i sta per osservazioni iniziali, H per ipotesi plausibile, O per osservazione di contrllo, H per ipotesi controllata, connesse da un legame logico.

Questa è la procedura del metodo scientifico, ovvero la sequenza empirico-induttiva che caratterizza la forma standard del conoscere scientifico. E tale procedura e ~imposta come invariante (posizione di "monismo metodologico") nell'analisi scientifica di tutti i campi di realta. Ovvero non viene ammessa la legittimita di una pluralita metodologica per ottenere la conoscenza "sistematica ed oggettiva" (pubblicita e giustificazione), che e il compito della scienza. In parole povere non e ammesso che si faccia scienza empirica al di fuori della procedura induttiva descritta e come descritta.

Vediamo come Pera dia enfasi a questa posizione:

   "In realta,  riferito alla procedura,  il metodo della scienza è unico. Almeno a questo livello, la controversia fra monismo e pluralismo metodologico è facilmente risolvibile: la procedura della scienza è unica perche in ogni caso, quale che sia l'oggetto specifico della ricerca, si tratta di risolvere problemi cognitivi. Ora, non sembra esista modo migliore per risolvere un problema cognitivo empirico di quello consistente nell'avanzare una soluzione provvisoria e nel controllarla severamente.

Ve sono altre possibili, ma... qualunque alternativa a questo metodo priverebbe la conoscenza delle due caratteristiche - sistematicita ed oggettivita - che si sono ritenute essenziali alla scienza (Pera 1982: 18).

In sintesi il metodo della scienza è quello induttivo-sperimentale ed è unico, cioe invariantemente applicabile, se si vuole ottenere un tipo di conoscenza oggettiva e sistematica, ovvero condividibile e giustificabile a livello intersoggettivo. In tal senso il profilo prescrittivo che individua il confine tra cosa e sclenza e cosa non lo è.

Questo, nei suoi aspetti essenziali (e qui ridotti all'osso), è, nel nostro linguaggio, il contenuto di quel sistema autoreferenziale-autoevolutivo che, nella sezione precedente, abbiamo chiamato autoteoria Galileiana. Pertanto, nell'ambito del nostro modello di (socio)sistemica evoluzionistica il "Metodo" ha lo status di (una) autoteoria criterio che guida il processo di "normalizzazione cognitiva autoreferenziale" di chi e "allineato" da essa, come abbiamo tentato di descrivere in forma semplificata nell'ambito di un'altra sezione (facoltativa, si badi, per lo studente). Il che modifica tutto il panorama, e le implicazioni, del discorso sul metodo come qui riportato.

Resti, tuttavia, allo studente - e la memorizzi - la definizione "standard" di quella che e ritenuta la forma standard del metodo scientifico da Galileo fino ad Einstein.

Resti anche che la "Statistica" e lo statuto di segni ed operazioni che costituisce lo strumento principe del metodo scientifico, cosi definito. Da quest'ultimo, la prima e legittimata ad essere un modulo computazionale, ordinatore e criterio, invariantemente applicabile all'analisi e trattamento di qualsiasi campo di realta (13).

 

 

5. Status (auto)epistemologico del metodo scientifico

 

Dando al "metodo scientifico" status di autoteoria (con gli stessi requisiti definitori, quindi, di sistema autoreferenziale) ne individuiamo il problema generale della validita e verita non nell'ambito del suo contenuto, ma in quello del panorama evoluzionistico (come gia detto, preghiamo lo studente di non eguagliare tale termine a "storico" o "storicistico") in cui tale autoteoria riesce ad esistere in persistenza autoevolutiva attraverso le ricombinazioni compatibili ad essa prodotte dai suoi portatori a loro volta allineati, per esempio attraverso l'insegnamento universitario, da essa stessa. Pertanto, ed innanzitutto, la genesi del metodo scientifico e la sistemogenesi di una autoteoria, ovvero di un sistema autoreferenziale (secondo i requisiti dati). La "isodiffusione per sfondamento", il suo diventare (o penetrare il) modulo criterio, il suo persistere, ecc. e rappresentabile nell'ambito del gia descritto principio dell'ordine attraverso sostituzione evoluzionistica e sfondamento isodiffusivo. Ma restiamo sulla sistemogenesi.

 

5.1. - Indecidibilita macroscopica al riguardo dei vincoli della realta

 

La formazione di un sistema autoreferenziale e un processo indeterministico. Questo semplicemente significa che nessun modello necessitista e in grado di predire la qualita di una sistemogenesi. Estendiamo di molto questa affermazione, tralasciando molti passaggi, e arriviamo a dire, in coerenza con essa, che non esiste uno stato della realta che richieda un, ed un solo, metodo per dominarne cognitivamente e praticamente i processi.

Questa` affermazione, banale del resto, non vale a particolari livelli di realta deterministicamente confinata, come l'automobile (che nonostante 1' "auto" non ha status di sistema autoreferenziale, cosi per scherzare un po'), dove esiste, per esempio, uno ed un solo modo per girare a destra e a sinistra - modo che se non e usato in modo appropriato produce una "falsificazione" pressoche immediata del guidatore nonche una "conferma gradualmente crescente" dell'ipotesi, composta "correttamente" associando fatti elementari o atomici, che se in tl si gira a destra in modo tale da, senza frenare, porsi in corrispondenza vettoriale diretta con un ostacolo duro allora in t2 la carrozzeria del veicolo non sarà qualitativamente isomorfa alla carrozzeria come in t,. Basta scherzare e riprendiamo il filo.

La dimensione non-necessitista riportata (ovvero la caratteristica fondamentale dell'evoluzione) implica che il tipo di sistemi che si formano è "in relazione di indipendenza" con l'ambiente.

I sistemi, nel nostro modello - ed in altri cugini - non si "adattano" ad una realtà, cioé non si trasformano in riferimento ad essa, ma navigano autoevolutivamente su di essa. Ovvero la selezione, in quanto determinismo specifico, "decide", volta per volta, quali sistemi non hanno una contingentemente sufficiente varieta di risposte per resistere in regime di autocoerenza ad un evento ambientale, ma non "decide" la forma di quelli che non sono ancora stati selezionati negativamente. In altre parole, l'ambiente non influisce in prima battuta sulla forma e contenuto dei sistemi autoevolutivi. Lo fa in seconda battuta (nel senso proprio e cattivello della parola) selezionandoli negativamente (e su base indeterministica).

Visione che si può rendere con l’idea che un sistema sopravissuto all’evoluzione non è necessariamente più adatto di altri in assoluto.

Che poi l'osservazione a livello fenotipico presuma di trovare organismi con funzioni coerenti ad uno stato ambientale di certa persistenza temporale non e un "adattamento", e solo un "prodotto morfologico" autoevolutosi per i cavoli suoi che, in quanto non ancora selezionato negativamente, sta in qualche relazione (di indipendenza) con un ambiente. Che questa relazione sia poi interpretata come una determinazione diretta da parte dell'ambiente sulla configurazione di un organismo o come una scelta dell'organismo stesso, sono posizioni, a nostro avviso, altamente improprie. Cosl come e improprio pensare che l'evoluzione sia un processo generale dal piu semplice al complesso. Questa e metafisica. Una cosa e l'autoevoluzione per isorepliche variate dei sistemi presi ad uno ad uno e una

processo per una tendenza generalizzata ed intrinseca dell'evoluzione complessiva. Quest'ultima, ovvero la `materia, non ha direzione, e va beh, ma soprattutto non ha una tendenza intrinsecamente complessificante in se. Molte delle idee sull'adattamento sono trasformazioni antropormofizzate di processi (cognitivamente normalizzate in autoriferimento) in realta svincolati da criteri con cui quel tipo d'occhio vuole vedere (ricordarsi che "adattamento" comportamentale ha ben altro significato). Cio tocca sia il senso scientifico che quello comune e nel campo delle immagini sull'evoluzione la cosa è visitabile a piacere. Non insistiamo di piu sul punto, anche perche cade su argomenti su cui il dibattito e acceso e in modi ed ambiti piu propri di questo.

 

5.2. - Il metodo scientifico come statuto autovalidantesi di creazione di livelli di realta

 

Lo spendere un po' di righe sull'indeterminismo generalizzato delle relazioni tra i sistemi e l'ambiente e precursore dell'immagine relativa al loro formarsi analogamente indeterministico. L'autoteoria Galileiana, in quanto sistema autoreferenziale peculiarmente discernibile, e di origine indeterministica (o assimilabile ad essa, in base a ragionamenti piu complessi e sofisticati). E questo e acqua, a noi pare. Ma quale ne e l'implicazione principale?

Essa e che il contenuto di tale autoteoria, cioe del "metodo scientifico" e autovalidantesi cos; come qualsiasi altra autoteoria (come detto in altre pagine di questo testo). Cio significa che la sua validita non consiste nell'essere di per se il vero ed unico strumento di dominio della realta, ma nel non essere stato ancora selezionato negativamente da un campo di realta, con cui, del resto, esso permane in "relazione di indipendenza" e, pertanto continua ad evolvere in autoriferimento.

Perche e anche utile la configurazione tautologica dell'ultima frase? Perche assimila in (in realta basterebbe lo schema di isomorfismo delle autoteorie gia commentato) lo status epistemologico dell'autoteoria "Metodo scientifico" a quello autoepistemologico dell'autoteoria "matematica" che, nel senso formalista, non e ne vera ne falsa (14).

Ma come possono restare in vita autoteorie ne vere ne false? Lo possono in quanto si configurano come strumenti di creazione dei livelli di realta. E questo vale per tutte le autoteorie (es. una religione che organizza materia cerebrale - gli ordini mentali allineati da essa - con particolare conseguenze di visione, comportamento, finalita, ecc. a livello antropico, lo fa in quanto genera un livello di realta autoreferenziale).

Prima che si rivoltino nella tomba o nel letto quello che nel passato e nel presente hanno faticato per distinguere la razionalita scientifica da altre autoteorie culturali andiamo a vedere cosa significa "costruzione dei livelli di realta" a livello di scienza, il cui metodo abbiamo detto essere di natura autoepistemologica (cioè crea da se la propria verita).

Nell'ambito di qualsiasi autoteoria, la generazione dei livelli di realta riguarda, ad un primo livello, la creazione di un campo confinato entro cui la realta metantropica viene antropizzat~, cioe ne viene attuata una trasformazioen compatibile con, per dire, l'occhio che sta guardando. Viene generato, in altre parole, un punto d'ordine autoreferenziale che limita l'indeterminismo del campo osservato. Ovvero viene generato uno statuto di segni entro il quale la materia (o la rappresentazione di essa) si riorganizza in autoriferimento alla mente che e contingentemente soggetto. (Si ricordi che, convenzionalmente, il pensiero razionale occidentale ha inizio in base ad una codifica del metodo come strumento che pone limiti all'illimitato).

Che caratteristica ha lo statuto di segni del metodo scientifico? Esso impone alla realtà empirica di disporsi entro una configurazione "desiderabile". Di cosa e composta tale desiderabilita? E' composta di protocolli simbolici che prescrivono il come devono essere "normalizzati" i fatti, il regime di controllo degli stessi associati in ipotesi, ecc. In sintesi si puo riportare la struttura del metodo scientifico entro il concetto di statuto di segni che estrae un ordine antropizzato da un'altro tipo d'ordine metantropico, permettendo la costruzione di un livello di realta ne vero ne falso, che tuttavia produce un dominio reale, pur contingente, di alcuni fatti.

Con questo vogliamo dire, anzi ripetere, che la specificita del metodo scientifico non consiste nell'essere uno schema libero dalla decisione antropica, quindi libero dal vincolo di desiderabilita - mentre la dottrina dell'empirismo logico voleva e vuole eliminare la "decisione" nel processo di analisi sostituendola con un algoritmo logico fisso per sempre -, ma consiste nel fatto che tale desiderabilità contiene vincoli relativi ad uno specifico atteggiamento nei confronti della realta empirica. E, in effetti, cio lo differenzia da altre autoteorie. Tuttavia tale contenuto non ne modifica la natura autoepistemologica di statuto ordinatore nè vero nè falso, (preghiamo lo studente

concetto di formalismo matematico che non coincide con quello di status autoepistemologico - stessa cosa al riguardo della dottrina convenzionalista, già molto frequentata nella scienza).

Pertanto il metodo scientifico e un livello di realtà finalizzato ad un peculiare regime di dominio dei campi di realtà. Il "fatto" che tale dominio avvenga, anche con esiti spettacolari, non puo produrre alcuna affermazione sulla verità intrinseca del metodo scientifico ne della scienza. Il metodo scientifico, ripetiamo, e uno statuto di segni autoreferenziale attraverso il quale si estrae un tipo d'ordine antropizzato da un'altro tipo d'ordine meta-antropico, permettendo la costruzione di un livello di realta ne vero ne falso, ma "solo" autoesistente e, in quanto tale, produttore di un peculiare dominio di (alcuni) insiemi di realta. In sintesi, è la materia, in quanto immensamente flessibile, che si riorganizza nell'ambito di uno statuto di segni teorici. In tal senso una teoria cosmologica o un tostapane vengono creati dal medesimo processo ordinatore.

 

5.3. - Sostituzione del concetto di verità semplice

 

Quale è il concetto di verità che sta sotto queste nostre parole. Per Popper, che rielabora il concetto di Tarski, la verità e "corrispondenza con i fatti". Questa definizione è povera e semplicistica. Contro di essa, ed in "arricchimento" di essa, diciamo che la verita e una decisione sui fatti che permette un dominio su di essi attraverso l'esecuzione di un'azione ordinatrice su essi stessi. Pertanto ogni verita, a livello iniziale, e un livello di realta autoreferenziale, ovvero basato su una "decisione ordinatrice" prodotta in autoriferimento da un qualsiasi schema mentale consolidatosi contingentemente o remotamente.

~In empirista stretto direbbe "va beh, ammettiamo che si cominci cosi, ma poi che cosa decide se uno schema teorico è vero o falso? per me si rientra sul problema della "corrispondenza con i fatti", riportando quest'ultima ad unico criterio dell'azione che vuol chiamarsi scientifica".

Noi, a tale obiezione, daremmo una risposta molto articolata il cui succo e il seguente. Qualsiasi schema di livello teorico, ipotetico ecc. e, prima di tutto, una decisione ordinatrice dei fatti che si caratterizza come livello di realta entro cui i fatti sono "forzati" a disporsi. Considerando una popolazione vasta ("statistica") di tali livelli di realtà (es. teorie scientifiche) poniamo di "osservare" che alcune di esse vengono selezionate negativamente ("spariscono", tipo la teoria del "flogisto" in chimica o dell'etere in fisica). Altre persistono a bassissimo profilo. Ed è "bene" che idee considerate false ad un tempo, riescano a persistere nella cultura in quanto alcune di esse in un altro tempo, possono poi rivelarsi "vere" - il caso del solecentrismo di Aristarco, "falsificato" dal geocentrismo ellenistico fino allo sfondamento copernicano. Mentre altre no. Un empirista stretto direbbe che quelle teorie (i livelli di realtà) elaborate da ricercatori che seguono le prescrizioni del metodo scientifico standard hanno una notevole probabilità di essere selezionate negativamente in base al rilevamento di una loro labile corrispondenza con i (o certi) fatti. Noi diremmo, o.k. passiamo per buona questa parte del discorso, ma focalizziamo sulle teorie che persistono. Quest'ultime, in quanto non ancora selezionate negativamente, non hanno status ne di verita nè di falsità (sarebbe anche per le prime, ma qui è troppo complesso esibire il ragionamento di sostegno). E ciò perché se, per un verso, la selezione negativa di una teoria ci permette una identificazione di essa in relazione al criterio di "verita semplice" (la "mera" corrispondenza con i fatti), per un altro la persistenza non ci permette nessuna affermazione sulla verita eteroreferenziale (cioe la validità della corrispondenza con i fatti di un ambiente) di essa, ma solo l'individuazione della sua natura di livello di realtà autoreferenziale (ovvero di "autoteoria").

L'empirista stretto, un po' seccato, ci risponderebbe che questo non è altro che una forma variata del ragionamento falsificazionista popperiano e che un buon ricercatore forza la teoria di cui è portatore a scontrarsi con il maggior numero di fatti proprio per vedere fin dove tiene. Trovato il punto dove non tiene piu, l'abbandona o la rielabora per dominare i fatti "non dominati" della prima, e avanti così. Ci concederebbe che il ricercatore "corrobora", in una prima fase, la sua teoria in modo un po' "sportivo", cioè la difende "politicamente" dai controesempi, ma ciò è lecito in quanto, in fase di consolidamento, la teoria non e ancora ben configurata, ma la sua plausibilità è tale per il ricercatore che questi cerca di tenerla in piedi fino a quando non raggiunge il suo specifico potenziale predittivo. Egli, poi, sbotterebbe dicendo che bisogna pur fissare qualcosa (un punto d'ordine) per poi sbatterlo a falsificazione. Ci concederebbe inoltre che la ricerca trova significato proprio nel suo costante farsi e che nessuna prova a favore di una teoria potrà permettere di affermare che essa e stabilmente corrispondente con i fatti di sua competenza, cioe vera in quanto confermata da verifica empirica, ma solo che è gradualmente confermata, o come noi, non ancora selezionata negativamente. Poi potrebbe aggiungere che a lui basta il concetto semplice di verità come "corrispondenza" con i fatti in quanto cio gli semplifica molto il lavoro non dovendo portare entro quest'ultimo riflessioni e prescrizioni filosofiche che fanno solo perdere tempo. Potrebbe anche dire "se trovo qualcosa che funziona, non sto mica a pensare se ho rispettato o meno qualche regola"; tutto va bene (come dice Feyerabend) se porta a realizzare concreti prodotti scientifici, ma non si puo dire perche i colleghi o il pubblico possono dubitare che il prodotto "scientifico" sia stato ottenuto "scientificamente", a scapito della credibilita del primo. Il che non va bene né per la presentazione della teoria né per il finanziamento". Potrebbe proseguire ancora dicendo "prima trovo qualcosa che funzioni concretamente in relazione al criterio di corrispondenza con la realtà, poi mi pongo il problema di inventarmi qualche processo rigoroso per descrivere la storia scientifica del mio lavoro. Insomma è importante la realizzazione di cose che funzionano perchè corrispondenti con i fatti e siano i filosofi a divertirsi nel fare regole. Anzi lo facciano perche cosi ci fanno pubblicità codificando un metodo scientifico che, in realta, serve solo a qualificare la vocazione al dominio empirico che rende specifico il lavoro - la cultura - dello scienziato e a fornire un linguaggio convenzionale intersoggettivo. Che serve poi a guidare il lavoro dei ricercatori che fanno scienza normale (es. analisti di laboratorio, ricercatori che lavorano non sui fondamenti, ma sulla traccia di un Programma di ricerca già consolidato, ricercatori applicati, ecc.) ma non certo quelli di "spinta" che il "metodo reale" se lo inventano passo dopo passo, inseguendo un mito realizzativo personale, pardon, un' "osservazione induttiva ".

 

Ad un collega - facendogli i nostri complimenti per l'esplicitazione di un tale misto di ortodossia ed eterodossia - che ci parlasse cosi, diremmo sorridendo che siamo d'accordo con lui sugli elementi di prassi e che quest'ultima, alla fine, vale in se. Tuttavia vorremmo fargli notare la natura convenzionale del principio empirista di verita da egli adottato, tornando sul problema delle teorie non ancora selezionate negativamente.

Non c'e un motivo "necessitista" per cui quest'ultime siano tali. In altre parole una teoria non ancora selezionata negativamente non ha di per se un regime privilegiato iniziale di corrispondenza con i fatti tale, pur magari dimostrandosi labile nel seguito, da reggerne su base eteroreferenziale (legata ad un campo di realta) la prima pretesa di plausibilità. Ma allora perche stanno in piedi nonostante i fatti? A parte le gia date vie esplicative di ambito piu tradizionale (per es. il principio di corroborazione, o "falsificazione debole", di Lakatos poi anche riutilizzato recentemente da Popper nell'ambito della revisione del suo falsificazionismo stretto) o tautologiche (la spiegazione evoluzionista che una cosa e cosi perche e cosi) accenniamo ad una risposta, già più volte percorsa e precorsa in e da queste righe, coerente con l'impianto di sociosistemica evoluzionistica autoreferenziale.

Quello che tende a restare in piedi (basta che acquisisca i requisiti di autoreferenzialità) e la "decisione" del ricercatore o lo statuto di segni che caratterizza una specifica autoteoria (sia essa una disciplina intera o una specifica teoria; a livello di generalismo isomorfico esse sono ambedue trattate come "ordini di sistemi") che qui compattiamo, per comodità, sotto l'etichetta "decisione". Cioé un ricercatore o uno statuto di segni  "decidono" la creazione di un livello di realtà, per dire, teorico entro cui i fatti vengono (per desiderabilità reale o metaforica, quest'ultima assimilabile alla prima) forzati a disporsi in forma "concreta" o "rappresentata".

Qual è lo status epistemologico di tale decisione?

Facciamo un esempio, che forse rende meglio l'idea. Considerate un automobile (o qualsiasi altro prodotto tecnologico). Essa e prima di tutto una "decisione", ovvero uno statuto di segni generato sulla base di una desiderabilità (venga chiamato automa teorico in senso proprio) che costringe la materia a disporsi secondo i suoi dettati e cosi trasformarsi in automa concreto coerente a quello teorico stesso. Tale decisione non è sottoponibile ad analisi nè di falsita ne di verità. E' solo desiderabile. Se tale decisione, ovvero il suo statuto di segni ovvero l'automa teorico, è realizzata entro una configurazione discernibile di materia, energia ed informazione, allora avremo un prodotto concreto che attualizza e fissa un livello consolidato di esistenza della decisione stessa (15). Il progetto di un'automobile si è consolidato realmente consolidando in senso realizzativo esso stesso.

Nessuno avrebbe problemi con tale descrizione se la riferissimo alla tipica creazione di un prodotto tecnologico. Ma qui riteniamo che le pretese di verità del razionalismo siano costruite nello stesso modo: il metodo scientifico ha lo status epistemologico della tecnologia.

Che tipo di livello di realta è questo? E' ancora ne vero ne falso? Per un verso si, in quanto esso e una realizzazione di uno statuto di segni nè vero nè falso; per un altro verso no in quanto la "materia" si e realmente disposta entro il disegno. Ovvero il disegno ha forzato un livello di realtà a disporsi (allinearsi) entro un altro. Ma che tipo di corrispondenza con i fatti esibisce il livello di realtà realizzato? Non corrispondenza diretta e lineare, "rappresentativa", ma un tipo di corrispondenza normalizzata in autoriferimento all'automa teorico desiderabile.

Dove gioca la frizione dei fatti, qui? Gioca al livello della realizzazione. La realta, i fatti, seleziona negativamente gli automi teorici che non riescono a trasferire la propria autocoerenza a livello di automi concreti, lasciandoli nel limbo di autoteorie desiderabili, ma irrealizzabili o non ancora realizzabili. La decisione realizzata, pertanto, mantiene il suo status autoepistemologico (vero in se stesso), ma nell'ambito di uno statuto di segni né vero né falso che crea un livello di realtà che forza i fatti a disporsi in esso. Tale livello di verità non è caratterizzato da un rapporto semplice con la realtà, ma da un rapporto normalizzato su base autoreferenziale.

 In tal senso la "verita" e una decisione realizzata in coerenza ad uno statuto di segni autoepistemologico. Dove il confine tra verità e falsita è dato dall “realizzazione”.

 Per esempio, le teorie cibernetiche hanno tale status di verità. La matematica ne ha uno assimilabile a quanto detto. Così la statistica, nella sua configurazione di statuto di segni ordinatore e computazionale, ecc. Tali autoteorie non vengono selezionate negativamente in base alla loro verità, ma perchè in grado di forzare la realta a disporsi in esse, mantenendo esse stesse una "relazione di indipendenza" con il problema della verita empirica ("relazione" perchè il livello di realtà desiderato non puo desumere dal campo di trasformabilita, o flessibilità, intrinseco del livello di realtà attraverso cui passa la realizzazione; "di indipendenza" perche lo schema desiderato entra in contatto con la realta empirica forzando quest'ultima a realizzarsi in autoriferimento ad esso). La nostra tesi e che tutte le autoteorie possiedano tale regime di autoverità.

 Ovviamente questo non vuol dire che la fisica sia incapace di dominare una realtà. Significa che la domina attraverso un processo normalizzazione selettivo.

 

5.4. - Il metodo come decisione realizzativa autoreferenziale

 

Tale affermazione farebbe sobbalzare molti epistemologi. Alcuni di essi, infatti, potrebbero dire che stiamo impropriamente unificando il campo della "scienza pura" con quella "realizzativa", stando le due in regime di separatezza al riguardo del problema del metodo e della verita. Inoltre ci accuserebbero di non saper o voler fare una distinzione tra "agire scientifico puro" ed "agire strategico finalizzato" (lo studente veda una brillante esposizione del problema, anche se ad un livello che non coincide con quanto stiamo esponendo, in Scardovi e Monari 1984). Grazie, il problema lo abbiamo bene in mente e quello che stiamo

proprio il riportare nel medesimo ambito epistemologico i processi delle scienze a-finalizzate con quelle finalizzate-realizzative Le prime, secondo certa tradizione, si distinguono dalle seconde in quanto, libere da scopi realizzativi contingenti, sono dedicate alla ricerca "di base" sulle "verita" generali. Le seconde utilizzano tali verità per scopi finalizzati.

Non abbiamo alcun problema a riconoscere che esistano ricercatori in un campo e altri nell'altro. Ma tale divisione del lavoro scientifico non giustifica affatto l'assunzione che i modi della ricerca scientifica pura siano epistemologicamente diversi quelli della ricerca finalizzata. Ambedue sono basati su "decisioni", statuti di segni, che forzano un campo di realta a disporsi entro il livello di realta autoreferenziale generato dalle decisioni stesse. Qui l'esempio non e solo a livello di Carlo Rubbia che, con il - e grazie al - team del CERN, forza la materia a crearsi per farsi analizzare da schemi ordinatori antropizzati (volendo scoprire o "scoprendo realmente" Susy, oggetto seducente, ovvero la Supersimmetria della materia?), che giocherebbe sulla figura dello scienziato a triplo ruolo, cioe: puro, applicato-sperimentale e manager - come Fermi del resto. Diamo, infatti, status autoepistemologico - cioe di decisionismo metodologico - a tutti gli schemi di scienza empirica, pura o applicata, ovvero agli statuti di segni con il piu alto profilo - a livello dichiarativo - di corrispondenza empirica sia in entrata (formulazione di ipotesi agganciate ad un regime osservato di fatti) che in uscita (continuo controllo di ipotesi formulate in base a criteri di falsificabilita).

Ovviamente tali parole devono essere prese con un granello di sale, e ne deve essere compreso il peculiare livello ove esse si applicano. Tuttavia ne vogliamo sottolineare con forza il senso generale. Le implicazioni di cio hanno esito eversivo entro certi schemi di lettura delle scienze e del problema del metodo mentre in altri no. Anche per tale differenziazione resistiamo al desiderio di approfondire questo punto, mancandone qui lo spazio.

 

5.5. - Il problema del metodo come problema di tolleranza all'ambiguita?

 

Usiamo lo spazio di cui sopra, invece, per sottolineare un altro punto. Lo studente si sara accorto che le implicazioni di quanto diciamo portano ad una relativizzazione di tutto cio che il pensiero standard sulla scienza e sul metodo tenta di fissare in un quadro immutabile di verita che controlli i modi con cui la conoscenza scientifica evolve autocorreggendosi continuamente alla ricerca della verita stessa. In effetti il nostro modello dice che indaghiamo le realta attraverso statuti di segni autoepistemologici, di origine indeterministica, che creano un livello di realta autoreferenziale dove la realta indagata e forzata a disporsi. Ulteriormente è implicazione del nostro approccio che non solo la realtà oggettiva, ma anche le verita ad esse riferite, evolvano su base indeterministica. In sintesi diamo uno scenario di piena indecibilita immensamente (non infinitamente) flessibile a qualsiasi "decisione" che si configuri come statuto di segni autoreferenzialmente coerente. Cosi come i fatti (sulla corrispondenza con i quali si basa il concetto di verita semplice per noi insoddisfacente) sono immensamente flessibili ad essere normalizzati, concettualmente e concretamente , ovvero nell'ambito sia di automi teorici che concreti. L'esatto opposto, pertanto, di chi crede o vuol credere, che esista una verita, una realta ed un unico metodo per catturare e capire la seconda nell'ambito di procedure basate sulla prima.

Ma chi crede a quanto espresso nell'ultima frase? Per lo piu chi riflette sulla scienza alla luce dei miti razionalisti e neoclassici, eredi del ~

immutabile ed infinitamente stabile, ovvero dell'episteme, cioe della verita che contiene tutto il mutamento possibile e lo imprigiona in strutture di predicibilita del divenire. Ma tale ambito concettuale (o autoteoria per noi) e estraneo all'idea di evoluzione intesa come generazione indeterministica dei livelli di realtà, ed è - era - basata sull'idea che il presente contenesse il futuro, presente e futuro legati da processi catturabili in termini di leggi universali, ottenute con un metodo, unico ed invariante, che cogliesse - colga - tale verità nell'ambito di procedure stabilmente vere.

La teoria darwiniana - che in "realtà" è una variazione della teologia naturale - non ha aggredito fino in fondo il mito della legge e verità immutabili e universali in quanto l'indeterminismo di cui era portatrice restava confinato entro un modello continuistico, gradualista ecc. del mutamento, ovvero un modello compatibile con il mito della legge universale stessa. L'irruzione del pensiero indeterministico, poi, è stata a lungo contrastata attraverso concettualizzazioni che a tale termine riferivano una semplice incapacità di un osservatore di determinare per bene un fenomeno.

Allo studente di statistica piacerà ricordare che in alcuni ambiti, per esempio, la "probabilità" e concettualizzata come tecnica di determinazione dell'incertezza (cioe è trattata, come strumento di determina%ione); il che ha un suo significato in campi determministicamente confinabili, ovvero campi in cui il mettere uno zero da una parte e un uno all'altro estremo ha un significato reale e non solo di comodità convenzionale, come la cibernetica ingegneristica o la teoria statistica dell'informazione nei - ambito vincolante - canali di comunicazione, ma non ha senso dove il campo sia sostanzialmente indeterminabile e solo convenzionalmente delimitabile.

In altre parole si è fatto fatica, ancora in questo secolo, a comporre i concetti di "probabilita" e "analisi di popolazione" per generare il regime stocastico che sostituisce il metodo analitico e causalista (molti lo chiamano "Laplaciano") proprio della scienza meccanicista, universalista e singolarista. Infatti la statistica, versante "stocastico", è il metodo di quella scienza che ha accettato l'indeterminismo generalizzato senza per questo rinunciare a produrre leggi, ma leggi "statistiche", ovvero leggi che basano la loro stabilità non su quadri deterministici universalisti, ma sul peculiare tipo di stabilita che viene generato dall'ordinare dati relativi a grandi popolazioni di fatti secondo modi svincolati dalle esigenze deterministiche della tradizione causalista. Ma quanta fatica anche in questo.

Per esempio quelli che ritengono di poter usare gli schemi del, chiamiamolo per semplicità, probabilismo allo scopo di predire eventi futuri, non distinguendo la "predizione" attuata in funzione del controllo di un'ipotesi locale proiettata in campo generale, o di un'ipotesi tout court - per esempio l'ipotesi: la luce viene curvata da un campo gravitazionale - dalla previsione di eventi che, poiche non contenuti in alcun presente o passato o livelli di realta analoghi, sono oggetto di creazione indeterministica e pertanto, sfuggono alla prefigurazione e, per questo, intrattabili nell'ambito di qualsiasi schema predittivo convenzionale (lo studente veda a piacere, pur in altra forma, come il tema e trattato nel saggio di Scardovi presentato nel corso delle lezioni. Abbia poi, nel seguito dei suoi studi, la capacita di rileggere questo problema nell'ambito del dibattito sul teorema di Bayes).

Sembra quasi che operi una "naturale" resistenza ad accettare l'immagine di completo indeterminismo (macroscopico) del mondo. Una paura di trovarsi senza la possibilita di ancorare ad un punt il senso dell'esistere.

La visione non-necessitista, infatti non ammette alcun punto fermo macroscopici. Implica, in altri termini, l'indecibilita macroscopica dei processi dell'evoluzione (a livello "eonico" come del quotidiano) e ne deriva che ogni livello di realta antropica locale, oltre ad essere solo "locale", e frutto di una decisione realizzativa, autovalidantesi che riesce a fissare - appunto - un livello di realta autoesistente, generandolo. A tale immagine molti resistono perche puo implicare che ogni (autoteoria) morale, scientifica, politica, ecc.,pur a diversi livelli di frizione con i fatti, ha natura autolegittimata, origine indeterministica, ovvero è solo valida in se, il che da molti è considerato agghiacciante.

 Altri ritengono che ci sia realmente un ordine fondamentale meta-antropico nelle cose che bisogna catturare con un metodo che espella la decisione antropica dai processi di individuazione, composizione e controllo della verita riferita a quell'ordine stesso (per esempio, i positivisti logici che cercavano di sostituire la decisione del ricercatore - considerata per definizione fallibile - con un algoritmo logico-simbolico che, in quanto meta-antropico, cioè meta-antropizzato, era considerato, per assunto, vero). E via così. A noi sembra che tali posizioni non siano altro che intolleranza nei confronti dell'ambiguità. La cosa non è solo un problema caratteriale. I fondamenti remoti della nostra cultura giacciono sull'angoscia dell'immagine di sè entro una grande corrente cosmica che se ne infischia di noi. Forse tale angoscia è uno dei motivi fondamentali perchè, pur nell'immenso variare della storia dell'Uomo, non c'è passo che non sia stato condotto alla ricerca di un ordine attraverso un ordine?

Può essere basata su di ciò la furia codificatrice e certificante di chi pretende l'esistenza di un metodo unico e vero e lo prescrive come confine tra

non scienza, intesa questa come ultima spiaggia della verità e della conoscenza contro l'oscurantismo? (Non è forse in Orwell che la libertà è definita come la possibilità di dire che due più due fa quattro? E non paradossale, se si sta al di fuori del concetto di autoepistemologia, che tale proposizione sia vera in quanto dedotta da assiomi nè veri nè falsi?). Lasciamo allo studente piena libertà nel rispondere a ciò.

 

5.6. - Conclusione

 

Al riguardo della codificazione ortodossa (data nella scheda) del metodo scientifico tlivello procedurale. Non abbiamo toccato qui il livello delle regole e delle tecniche) la nostra posizione è neutrale. E' l'autoteoria della scienza empirica. Ma lo è in sede dichiarativa e formale. Come se fosse un linguaggio di riconoscimento tra scienziati il cui contenuto reale e condiviso sembra essere solo la prescrizione di cercare la "frizione" con la realtà, comunque definita, senza mai desumerne. Pertanto un codice d'onore, un linguaggio distintivo, sul cui status di verità non si indaga tanto nella pratica in quanto ne vale più la componente di legame ideologico ovvero l'ideale della scienza che noi, pur così teoricamente ed epistemologicamente irrispettosi, dopotutto condividiamo.

Al riguardo degli aspetti "sostanziali" lo status epistemologico del "metodo scientifico", in quanto autoteoria, consiste nel suo essere uno statuto di segni ed operazioni nè vero nè falso attraverso il quale vengono generati livelli di realtà peculiarmente atti a forzare altre realtà a disporsi, sia in forma rappresentata che concreta, in essi. E', in altre parole, uno statuto autoepistemologico ordinatore della realtà. E', in sintesi, una decisione realizzativa autoreferenziale.

 

6. NOTE

 

1. Per una sintetica ed interessante panoramica relativo ai modelli di storiografia ed analisi della scienza, qui usata piu volte, vedi Richards, 1981.

2. Infatti, ancora alla metà del nostro secolo, Sarton scriveva "La storia della scienza è una esplicitazione di un progresso definito, il solo progresso chiaramente discernibile chiaramente e senza tema d'errori verso la pienezza della verità, progresso che può essere solo momentaneamente rallentato da forze ritardanti (Sarton, 1962- 21).

3. In Kant, al riguardo della storia della scienza, era centrale l'idea di "rivoluzione intellettuale", come evento singolare ed improvviso che caratterizza l'emergere di una dottrina o di una visione scientifica. Lo stesso è un'idea guida nei recenti modelli di storia della scienza di, per es., Koiré (1968) e - con variazioni fondamentali di sfondo concettuale - di Kuhn (1970).

4. Nel modello gestaltico di filosofia e storia della scienza e utile distinguere due aspetti. Il primo riguarda, parlando rozzamente, un tipico problema metodologico-procedurale dell'agire scientifico ovvero la natura induttivista o deduttivista di quest'ultimo. Hanson, per un verso, Kuhn per un altro, applicano a tale problema, invece dei tradizionali ragionamenti esclusivamente filosofici, (o psicologicistici) la teoria psicologica della Gestalt. Essa, con linguaggio - si badi bene - improprio, puo essre resa come teoria per cui i fatti e le entita vengono percepiti in modo pre-organizzato dalla mente. In altre parole la mente percepisce il mondo non in modo svincolato - che sarebbe assimilabile alla posizione induttivista - ma percepisce attraverso un ordine. In tal senso, con parole di Hanson, "le teorie forniscono modelli entro i quali i dati appaiono intelligibili. Esse costituiscono una "Gestalt concettuale". Una teoria non è messa insieme componendo i singoli fenomeni osservati, essa, piuttosto, è ciò che rende possibile l'osservazione relazionale (Hanson, 1970

90, dello stesso tenore le notazioni di Kuhn, 1970, in particolare intorno a p. 50).

In termini di storiografia della scienza, il modello di Hanson e Kuhn (con particolare esplicitazione da parte del secondo) implica due requisiti il primo riguarda la necessità, in ogni analisi di storia della scienza, di contestualizzare il processo specificatamente scientifico nell'ambito dei fattori storici, sociali, psicologici che influenzano o hanno influenzato le concettualizzazioni prodotte dagli scienziati. Il secondo riguarda l'indicazione ad analizzare la storia della scienza non in termini di evoluzione lenta e graduale di un corpo di teorie linearmente e continuisticamente collegate temporalmente per successioni cumulative, ma, piuttosto, in termini di sequenza discontinuistica caratterizzata dall'emergere improvviso di diverse visioni del mondo, connesse per mera contiguità spazio temporale (o, diremmo noi, connesse sulla bse di una mera retrospezione arbitrariamente ordinatrice).

E' interessante notare - qui in inciso - che tale seconda prescrizione ricalca nello spirito essenziale, la polemica, nell'ambito dei modelli dell'evoluzione naturale, da parte dei portatori della Teoria degli equilibri puntuati (vedi Gould, 1984) nei confronti della teoria classica di Darwin. La polemica riguarda soprattutto l'assunzione di gradualismo dell'evoluzione delle speci nella teoria darwiniana (evoluzione come processo lineare di cumulazione di nuova varietà). A quest'ultima viene contrapposto un modello per cui le speci si formano all'improvviso, percorrono una traiettoria replicativa (più o meno variata) fino ad un evento di selezione negativa l'emergere delle speci è discontinuistico il che implica anche che non esiste alcuna connessione continuisticamente evolutiva tra una specie e l'altra. In un altro inciso, è utile segnalare che la cosa ha un immediato risvolto metodologico. Infatti, per la teoria dell'evoluzione attraverso equilibri puntuati (ovvero "singolari") non esistono necessariamente anelli di connessione evolutiva tra una specie ed un'altra successiva. Tale impostazione rende preventivamente nullo il significato della ricerca "darwiniana" di storia naturale al riguardo degli "anelli mancanti".

a rassegna sintetica vedi Popper 1972 e 1984; Campbell 1960, 1977, 1981; Toulmin 1961, 1972, 1981.

Per una rassegna delle definizioni di "sistema" vedi Lanzara e Pardi 1980.

7. Il modello di "sociosistemica evolutiva" di Gallino (1980) è quello da cui prendiamo maggior spunto, pur variandone il tenore generale nonchè come l'unità d'analisi centrale, ecc. Il punto centrale dell'integrazione tra teoria dei sistemi e dell'evoluzione, come formulata da Gallino, si basa sul postulato della composizione e convergenza evolutiva dei processi, orientati verso la formazione di un sistema di sistemi (non nel senso scatolare dato da Parsons). Così messa, tale integrazione risulta, tuttavia, parziale perchè vincolata ad una logica generalizzata di composizione sistemico-evolutiva.

Ciò che ci sentiamo di mettere particolarmente in discussione dello schema di Gallino è il concetto di "convergenza evolutiva", cioè il cappello posto al vertice dei mutamenti, ovvero la fase "funzionalista" del suo evoluzionismo sistemico. Vediamo meglio il punto aiutandoci con il più recente lavoro di questo autore- "Nella prospettiva di una teoria generale dell'evoluzione...., la replicazione di copie identiche costituisce uno studio successivo alla replicazione di copie non identiche. Tale stadio è seguito da un altro stadio, quello della convergenza dei sistemi isoreplicanti in un sovrasistema. Ciò significa che una volta giunti allo stadio della replicazione identica, i sistemi replicanti stabiliscono tra loro forme di cooperazione che gradualmente li collegano sino a formare stabilmente un sistema di ordine superiore. Quelli che erano sistemi indipendenti, diventano in tal modo elementi o sottosistemi di un singolo sistema di un nuovo tipo. Tale triplice passaggio - replicazione non identica, replicazione identica, convergenza sovrasistemica - è sicuramente avvenuto più volte fra i sistemi biologici. Da quando esistono sistemi culturali complessi è presumibile sia avvenuto regolarmente, oltre che nella cultura, anche nella mente" (Gallino, 1983 3).

Di questo abbozzo di modello condividiamo solo le prime due fasi - replicazione non identica, replicazione identica - e l'idea che il punto cruciale per l'analisi macroscopica dell'organizzazione eco- e socio-sistemica sta nel tipo di relazioni e processi che intercorrono tra sistemi che raggiungono la fase isoreplicante. Al contrario di Gallino tuttavia non postuliamo una tendenza generalizzata alla composizione cooperativa iscritta entro ogni sistema isoreplicante.

Ed è proprio nell'ambito del problema di definire quali siano la caratteristiche dei sistemi in quanto unità d'analisi centrale dell' evoluzione che trova profilo il nostro impianto teorico. A Gallino, ulteriormente, siamo debitori di molti altri spunti per esempio quelli relativi alla configurazione dei processi della mente. Il nostro modello di mente come ordine di sistemi - nel seguito - va inteso infatti come variazione (pur radicale) del modello di individuo come "intreccio di sistemi" prodotto da tale autore (vedi Gallino 1983).

 

8. Uno dei precursori (e competitori) affini della visione di sistemica evoluzionistica qui data è la teoria dei sistemi autorefereziali di Niklas Luhmann. In realtà ce ne scostiamo di molto per livello di linguaggio teorico, definizione dell'unità d'analisi, esiti, ecc. Vediamo tuttavia i punti fondamentali di comunanza con la teoria dei sistemi autoreferenziali di Luhmann, come ottimamente sintetizzati da Danilo Zolo. Ma la differenza fondamentale è che nella nostra visione il concetto di “sistema” è trattato come puro costrutto cognitivo che non necessariamente rappresenta un sistema esistente nella realtà. Mentre per Luhmann:

"1. I sistemi autoreferenziali "esistono nella realtà e sono rappresentati da molecole, cellule, nervosi"

2. L'autoreferenza non è soltanto una struttura della coscienza soggettiva e non è nemmeno soltanto una struttura della conoscenza sia la realtà organica che la realtà sociale sono costituite di sistemi autoreferenziali.

3. I sistemi dell'osservazione e della conoscenza sono essi stessi sistemi autoreferenziali 4. ... L'autoreferenza è condizione della materia...

5. Il "fatto" dell'autoriferimento presenta la struttura logica della "tautologia" e la conoscenza in generale è dunque un'operazione attraverso la costruzione di asimmetrie- questo è il compito conoscitivo fondamentale della nuova teoria dei sistemi consapevole dei limiti della ricerca normale, ancora legata agli schemi tradizionali dell'empirismo, come le ipotesi causali, le generalizzazioni statistiche, la schematizzazione binaria della logica classica (Zolo,1983 9-10)" (vedi Luhmann, 1981; 1982, vedi anche 1983).

Anche se non coincidente con il contenuto di questa nota, lo studente dovrebbe trovare estremamente interessante Schmeikal 1981.

9. Per "microvariazione" si intende una variazione, non importa quanto piccola o grande, che risulti compatibile ai vincoli di autocoerenza di un sistema in traiettoria autoevolutiva. Ciò che si vuol rendere con tale idea è il processo di variazione (indeterministica) nell'isoreplica di un sistema. Facciamo un esempio. Si pensi all'automa teorico lingua italiana. Poniamo che vengano generate per ricombinazione individuale varianti nuove. Poniamo, poi, che esse si fissino variando, nel processo di replica dell'automa da parte dei suoi portatori, una parte - piccola o arande - ~11IA11 ~

modificarne il contenuto sostanziale. Allora si dirà che il sistema "lingua italiana" si è isoreplicato in forma microvariata attraverso processi ricombinanti attuati dai suoi portatori.

Ciò serve anche a dire - il concetto di isoreplica microvariata - che un sistema autoevolve attraverso variazioni generate indeterministicamente, contenute entro i vincoli di autocoerenza (in caso contrario, ovvero quello di un automa teorico che si dissolve in frammenti non più autocoerenti, si dirà che il sistema è stato replicato in forma macrovariata, ovvero la sua tendenza autoevolutiva è stata selezionata nega-tivamente in qualche ambito di spazio tempo. Poi tali frammenti possono essere base per nuove sistemogenesi, per esempio la lingua "Pidgin" caratterizzata dall'essere una mescolanza di molte lingue diverse, ognuna di queste replicata in modo macrovariato).

10. Riportiamo qui la descrizione relativa agli aspetti di cronaca del Circolo di Vienna così come scritta da uno dei suoi protagonisti, H. Feigl (1947: 406-8) è riportata in Joergensen 1973 92.

"Il circolo di Vienna si sviluppò nel 1923 da un seminario diretto da Moritz Schlick e frequentato, fra altri studenti da F. Waismann e da H. Feigl. L'insegnamento di Schlick a Vienna era cominciato nel 1922, e verso il 1925 da questo nucleo si era formato un gruppo di discussione che si riuniva il giovedì sera. E' interessante notare che parecchi partecipanti non erano filosofi di professione. Anche se alcuni di loro insegnavano filosofia, il loro campo originario di ricerca riguardava altre materie. Schlick, per esempio, era specializzato in fisica e la sua tesi di dottorato, scritta sotto la guida di Max Planck a Berlino, trattava un problema di ottica teorica. Fra gli altri membri attivi possiamo ricordare Hans Hahn, matematico, Otto Neurath, sociologo, Victor Kraft, storico, Felix Kaufmann, avvocato, e Kurt Reidemeister, matematico. Partecipava di tanto in tanto alle riunioni, recandovi un fattivo contributo, il fisico di Praga Philipp Frank, ora a Harvard. Nel 1927 e nel 1932 portò il suo attivo contributo critico al gruppo il brillante psicologo e filosofo finlandese E. Kaila. Un altro visitatore scandinavo fu A. Petzaell, di Goeteborg. Fra i più giovani partecipanti ricordiamo K. Godel, ora a Princeton, T. Radakovic, G. Bergmann, M. Natkin, J. Schaechter, W. Hollitscher e Rose Rand; e, tra i visitatori, C.G. Hempel, da Berlino; A.E. Blumberg, da Baltimora e A.J. Ayer, da Oxford. Erano fra gli studiosi meno strettamente affiliati al gruppo K. Menger, E. Zilsel, K. Popper, H. Kelsen, L. von Bertalanffy, Heinrich Gomperz, B. von Juhos.

Lo sviluppo più rapido e decisivo di nuove idee comincio nel 1926 dopo la chiamata di Carnap all'Universita di Vienna. I suoi contributi all'assiomatica del movimento e specialmente la sua teoria sulla costituzione dei concetti empirici (contenuta in Der logische Aufbau der Welt) costituirono una fonte di discussione molto feconda. Nello stesso anno venne pure studiato dal circolo il Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein. La posizione filosofica del positivismo logico nella sua forma originale fu il risultato di queste influenze decisive. Sebbene parecchie idee basilari fossero già state enunciate genericamente da Schlick, esse erano formulate con maggiore esattezza e sostenute con maggior completezza e conseguenza di Carnap e Wittgenstein, per vie assolutamente indipendenti. Questi due uomini esercitarono una enorme influenza su Schlick, che era di circa dieci anni più anziano.

A differenza di Carnap, che divenne un membro regolare e molto influente del gruppo, Wittgenstein, che allora si interessava di architettura, si trovava solo occasionalmente con alcuni membri del circolo. Nonostante questo, si riuscirono ad ottenere maggiori chiarimenti su alcuni passi piuttosto oscuri del suo Tractatus, così denso e profondo. Alcuni anni dopo, Wittgenstein tornò agli studi filosofici e fu chiamato a Cambridge in Inghilterra, dove in seguito prese il posto di G.E. Moore. Schlick andò in California come visiting Professor nel 1929 e nel 1932. Carnap nel 1930 fu chiamato a Praga (e nel 1936 a Chicago), e Feigl nel 1930 negli Stati Uniti. Hans Hahn, che era un esperto nei Principia Mathematica, e in generale un discepolo entusiasta di Russell, morì immaturamente nel 1934. Le discussioni del circolo tuttavia continuarono sotto la guida di Schlick e Waismann, fino alla tragica morte nel 1936... .

Le discussioni del circolo vertevano intorno ai fondamenti della logica e della matematica, alla logica della conoscenza empirica e solo incidentalmente entravano nel campo della filosofia delle scienze sociali e dell'etica. Nonostante le molte divergenze di opinioni, c'era nel circolo un vivo spirito di amichevole cooperazione.

11. Per dirla in parole povere ed improprie, uno dei punti di partenza di Wittgenstein è la domanda (come formulata dal suo maestro Russell) che relazione ci deve essere fra un fatto ed un altro fatto affinchè il primo possa essere considerato un simbolo del secondo? Wittgenstein risponde che il fatto simbolizzante deve essere un'immagine del simbolizzato, ovvero deve avvicinare una relazione di identità morfologica con il simbolizzato. Cioè una relazione del tipo esistente tra una figura e la sua proiezione. Wittgenstein nel suo "Tractatus" crea uno scenario in cui, definiti i fatti elementari come entità indipendenti l'una dall'altra, ne e possibile una rappresentazione mentale corrispondente ai fatti stessi. Tale possibilità, nel linguaggio comune e sottoposta ad un regime di ambiguità che, con opportuni vincoli, è possibile riportare a certezza là dove quest'ultima sia ottenuta ripulendo l'immagine di un fatto da tutto ciò che non sia l'esatta rappresentazione del fatto stesso. Dato un fatto elementare vero, data un'immagine "pulita", e per questo vera, di essa e individuabile quel punto di certezza fattuale che poi puo essere, secondo i positivisti e (alcuni) empiristi logici composto da una sintassi logica-simbolica (quella estensionale logicista appunto) che estende la verita del fatto attraverso uno statuto di segni per definizione vero.

Per la cronaca, viene riportato da alcuni storici che Wittgenstein abbia modificato tale visione dopo un incontro casuale in treno con Sraffa. Quest'ultimo ha fatto il gesto, tipico dei napoletani, di portare il dorso della mano a contatto con il sotto-mento per poi proiettarlo verso l'esterno con azione decisa (il gesto volgarotto di indicare una qualche indifferenza verso un oggetto). Poi Sraffa ha chiesto a Wittgenstein come era possibile riprodurre una rappresentazione propria, non ambigua e solo in se significante, di tale gesto. Viene riportato che Wittgenstein, illuminato dallo scoprire l'impossibilità di rappresentare tale gesto nell'ambito delle visioni da egli stesso prodotte, abbia deciso di abbandonare quest'ultime, ovvero l'idea della rappresentabilità perfetta di un fatto da parte di un simbolo, e relativo valore di verità. La storiella sembra quella della mela di Newton e non ci crediamo molto. Resti, tuttavia, allo studente l'informazione relativa all'abbandono da parte di Wittgenstein, nella seconda fase dei suoi lavori, dell'impianto qui sommariamente, e impropriamente, riportato.

E’ di carattere illustrativo la seguente frase di Hempel (1945) "Si ha l'impressione che debba essere possibile approntare dei criteri puramente formali di conferma, in una maniera simile a quella in cui la logica deduttiva fornisce dei criteri puramente formali per la validità dell'inferenzza deduttiva".

13. Per una vasta argomentazione sul fatto che la "Statistica" sia il metodo della scienza, vedi Boldrini et al. 1965. Consigliamo vivamente allo studente, inoltre, di prendere visione del fascicolo speciale della rivista "Epistemologia" (VII, 1984) dedicato a "Probability Statistics and Inductive Logic". A ciò si accompagni, poi, la lettura di Daboni 1970 (vedi anche Daboni e Wedlin 1982), che è testo fondamentale sia per l'esplicitazione delle tecniche sia per la concettualizzazione di quest'ultime nell' ambito del metodo contemporaneo della Statistica. E' di preziosa lettura, ulteriormente, il volume su Statistica e previsione (Società Italiana di Statistica, 1982), da cui, tra l'altro, è stato tratto il saggio di I. Scardovi distribuito durante il ciclo di lezioni.

Per inciso, nel citato volume di Boldrini, tale è la definizione di statistica "Una specie di rigoroso involucro formale della sperimentazione, intesa nel senso più vasto, una precettistica e un sistema di tecniche, almeno in teoria non impegnate col tessuto fattuale dei singoli rami di

costituente una disciplina a se. La statistica e la struttura metodologica delle scienze naturali".

14. Tralasciando la posizione di formalismo matematico, e piu in generale quello del convenzionalismo,  individuiamo  lo  status  autoepistemologico della matematicaattraverso una interpretazione particolare del teorema di indimostrabilità di Godel. Questo, schematizzando, mostra come  esista  un numero infinito di proposizioni aritmetiche  vere  che  non  possono  essere  formalmente dedotte da alcun insieme di assiomi mediante un insieme chiuso di regole di inferenza (Nagel e Newman,  1974:            105). Nessun sistema deduttivo, in altre parole, satura o  esaurisce  il  dominio  della  verita  aritmetica.  I fondamenti  della matematica  sono metamatematici  (nel senso Hilbertiano del termine).

Soffermiamoci su questo punto. Il teorema dell'incompletezza mostra che qualsiasi sistema ricco abbastanza per parlare delle proprietà standard dell'artimetica ordinaria contiene teoremi che sono veri, ma non dimostrabili entro il sistema (Kauffman, 1983). Molti hanno interpretato questo risultato logico solo come indicazione che la matematica non può riferire a se stessa la propria verità e che, pertanto, i suoi fondamenti sono eteroreferenziali. A noi interessa il punto da una angolatura diversa. Se la verità matematica può essere vera e indimostrabile, cioè vera nonostante la sua indimostrabilità, allora basa propria verità su se stessa stando in relazione indipendenza con la prova di indimostrabilità. Ai nostri occhi laici (cioè non matematici) sembra, altre parole, che l'automa teorico "matematica" sia autoreferenziale proprio perchè può esistere ed autoevolvere come statuto di segni coerente in relazione di indipendenza con la prova di indimostrabilità. La matematica che riflette su se stessa trova di avere un ambiente di eteroreferenze metamatematiche grazie al quale essa puo indefinitivamente costruirsi su se stessa autoreferenzialmente.

Per il problema della realta degli enti matematici, nell'ambito di una posizione neo-nominalista, vedi Van Fraassen 1984.

15. Un precursore, ad esempio, del concetto di autoepistemologia è rilevabile nei fondamenti del pensiero sistemico-cibernetico.

Il pensiero sistemico classico (es. la prima cibernetica) e contemporaneo non è stato molto frequentemente oggetto di analisi epistemologica. Ad un primo livello ciò e dovuto ad una semplice indifferenza da parte della filosofia della scienza e dell'epistemologia tradizionali. Ad un secondo livello ciò e dovuto alla tendenza autoepistemologica - epistemologia autoreferenziale - che e una proprieta specifica (anche se non esplicitata a dovere) della sistemica nonche una vera e propria sfida alle epistemolgoie eteroreferenziali comprese tra gli opposti dell'induttivismo empirista (per esempio il lavoro dell'ultimo Rudolf Carnap) e del deduttivismo falsificazionista (es.

noti lavori di Popper; per lo status della sistemica come "sfidante epistemologico", vedi Bunge, 1977).

Vediamo il tipo di autoepistemologia proprio della sistemica classica - es. la teoria statistica dell'informazione, la teoria degli automi, ecc. Prendiamo il notissimo principio della varieta indispensabile formulato da Ashby (1956) che e coerente con il decimo teorema della teoria dei canali di comunicazione di Shannon (1949) a sua volta coerente con l'impianto generale della cibernetica. Di tale principio scegliamo l'espressione che segue l'entropia di emissione (in un omeostato cibernetico) è almeno tanto grande quanto l'eccesso di entropia nella varietà di disturbo esterna sopra l'entropia nel sistema di controllo interno all'automa teorico. Presentiamone immediatamente una versione iper-semplificata, ma sostanzialmente coerente (tale rappresentazione semplificata del principio della varietà indispensabile è reperibile in Casti 1979 e Pelanda 1984b).

Immaginiamo il problema di dover controllare un sistema che sia sottoposto a perturbazioni. Assumiamo che il regolatore del sistema abbia tre tipi di procedure di controllo a sua disposizione, A, B, C, mentre esistono tre tipi di disturbo possibile, 1,2,3. Assumiamo poi, che il comportamento del sistema cada entro una delle categorie a, b, c, in base al tipo di combinazione fra disturbo e controllo.

 

 

 

VARIETA' DI CONTROLLO

 

 

 

A

 

B

 

C

 

 

VARIETA' DI

1

 

b

 

a

 

c

 

DISTURBO

2

 

a

 

c

 

b

 

 

3

 

c

 

b

 

a

 

 

 

 

Per questo semplice problema sia l'insieme di controllo (A,B,C) che quello di disturbo (1,2,3) possiedono varietà 3. Osservando la matrice e facile vedere che è sempre possibile dirigere il sistema verso il comportamento desiderato, senza riguardo al tipo di disturbo. Una generalizzazione della teoria cibernetica stabilisce che la varietà complessiva nel comportamento del sistema è uguale al rapporto tra la varietà di disturbo e la varietà delle strategie di controllo (nel nostro esempio questo rapporto è 1). Il significato principale di tale espressione è che, se si vuole che un sistema produca un dato comportamento di fronte a perturbazioni, allora solo l'accrescimento della varietà dei modi di controllo può ridurre la varietà del sistema sotto perturbazione. In altre parole - quelle di Ashby - solo la varietà può distruggere la varietà.

Tale principio - e le restrizioni che pone -, fa notare Ashby (1956), non è sottoponibile nè a validazione nè a falsificazione empirica. E, cioè, indifferente ad un ambito d'esperienza. Se, per esempio, nel corso di un esperimento i dati dicono che il rapporto tra varietà di disturbo esterna e varietà di controllo interna all'automa (teorico) non si adegua al principio, allora non si modifica quest'ultimo ma, al contrario, vengono ridisegnati i confini interno/esterno dell'automa fino ad ottenre un accordo - un allineamento normalizzato - fra dati sperimentali e principio stesso. In generale, in tutto il campo della famiglia dei principi cibernetici, se un sistema non si adegua a questi principi

buttato e non la teoria. In altri termini la teoria risulta vera e valida in se stessa, cioè autoreferenzialmente vera, nonchè indipendente da qualsiasi procedura di validazione o confutazione empirica espressa in coerenza con le epistemologie eteroreferenziali. Una teoria cibernetica, delle macchine degli automi ecc. si fonda su un impianto autoepistemologico, ovvero un quadro di verità che si basa su se stesso in quanto "desiderabile".

La proprietà delle teorie cibernetiche è quella di desumere dalle proprieta della materia o dal campo di realta di questa definita. Se un sistema concreto si adatta alle teorie esso e definito come automa realizzato. Se no, esso non subisce alcuna qualificazione, cioe non esiste. In altri termini le teorie cibernetiche sono indifferenti nei confronti di automi concreti non compatibili agli automi teorici. Poi, se un automa teorico e irrealizzabile (es.- macchina di Turing) e plausibile che tale automa teorico sia una "buona" macchina possibile anche se non si puo o non si sa (ancora) come realizzarlo). Le teorie degli automi sono automi teorici autorerenzialmente validi e veri.

E' facile notare la rottura epistemologica della prima sistemica cibernetica nei confronti delle epistemologie e metodologie classiche di tipo eteroreferenziale. E' facile, anche, capire la potenza dell'autoepistemologia nel campo di teorie destinate ad alimentare i processi progettuali.

 

 

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