In questo numero
· Confessioni italiane di un latitante a Parigi
· Faccetta vera?
· O Mr. Antico Regime?
· Porte aperte ad Est
· Last week, next week 43
· Lezione americana: il liberalismo è più sociale del socialismo
· Femministe? No, libertarian
· Tremate, tremate le streghe mascherate
· Qua la mano
· Quel che resta dei catto-comunisti. E affittopoli in carcere
· Il momento giusto di Rutelli
· Le vecchie osterie, gli sguardi e i silenzi
· Leggere i Salmi per "toccare" Dio. Parola di Bono
· Il Grand Tour di Queen Elisabeth
· La settimana internazionale 43
· Progressisti niente male…
· Il (quasi) Presidente G.W.
· Bella scoperta (ma non é una Rivelazione)
Sezione: Esteri
Rubrica: Politica
Numero: 43 - 27 Ottobre 2000
Lezione americana: il liberalismo è più sociale del socialismo
Negli Usa le politiche economiche liberiste hanno abbattuto la disoccupazione, aumentato la ricchezza media e diminuito il numero dei poveri: lo dicono le statistiche del Census Bureau e lo confermano anche gli oppositori di sinistra. In Europa invece…
La sinistra europea, da sempre, usa il caso statunitense come prova del paradigma che un sistema liberalizzato, dove si può assumere e licenziare con facilità e lo Stato sociale è fiscalmente leggero, produce un eccessivo e moralmente inaccettabile squilibrio: il ricco diventa più ricco ed il povero più povero. E ciò giustifica, per questi signori, la demonizzazione del liberalismo economico. Per loro sfortuna, i dati recentemente rilasciati dall’ufficio statistico del governo americano (Census Bureau) mostrano con chiarezza l’esatto contrario. La crescita economica della nazione, oltre ad essere robusta da anni grazie all’efficienza del mercato non vincolato da pesi eccessivi, ha creato la piena occupazione, aumentato la ricchezza media, e – qui sta il punto – l’ha anche spalmata su tutta la popolazione. Vediamo i dati.

La povertà è scesa in tutti i gruppi sociali
In America, nel 1999, il reddito mediano delle famiglie – cioè il punto da dove metà della popolazione guadagna di più e l’altra di meno - è stato di $ 40.816 (quasi 90 milioni di lire). Salito di ben il 2,7% dal 1998. Altri dati mostrano che gli incrementi di reddito, in media, hanno superato l’inflazione o comunque non sono andati sotto. E, soprattutto, si sono diffusi con buona omogeneità: in tutti i 50 stati dell’unione la ricchezza è cresciuta. E’ una prova solida della diffusività sociale e territoriale della crescita. La mediana dei redditi delle famiglie nere, area etnica tra le piu’ storicamente svantaggiate in America, ha raggiunto il record storico (in alto) di $ 27.910 (circa 60 milioni di lire equivalenti). La povertà è scesa in tutti i gruppi sociali che vi erano intrappolati. Dei 32,2 milioni di persone (la popolazione totale supera i 270) che nel 1998 vivevano con un reddito inferiore alla metà di quello nazionale, nel solo 1999 ben 2,2 milioni sono passati alla classe media. Il tasso di povertà, infatti, è diminuito per il terzo anno consecutivo: nel 1999 è sceso all’11,8% mentre nel 1998 era al 12,7%. Il gap di ricchezza tra i bianchi ed i neri e gli ispanici ancora esiste, ma si sta riducendo di molto. Questo dato è moderato da un altro meno buono: il 20% piu’ ricco della popolazione ha incassato il 49,4% dell’intero reddito nazionale (49,2% nel 1998) mentre il 20% più povero ne ha preso solo il 3,6%, lo stesso dell’anno precedente. Ma perfino uno tra i più critici istituti di ricerca della sinistra americana, il “Center on Budget and Policy Priorities”, ha dovuto ammettere, a denti stretti, che da anni il gap tra ricchissimi e poverissimi, almeno, non aumenta. Grazie, appunto, ad una crescita che riesce a diffondersi dappertutto, anche se da qualche parte solo in piccoli rivoli.

Il merito di Clinton: non aver toccato nulla
Va subito detto che la crescita elevata, continua e diffusa dell’ultimo decennio non va accreditata all’Amministrazione Clinton ed alla sinistra. Questi, saggiamente o furbescamente, non ha osato toccare neanche con mezzo dito l’economia o alzare le tasse o cose del genere. Anche perché la Camera dei deputati, a maggioranza repubblicana pro-mercato, mai glielo avrebbe lasciato fare. Ma va riconosciuto alla sinistra centrista statunitense il merito di aver capito che le idee populiste, stataliste, tassiste, distruggono la crescita. Infatti Clinton le ha gettate nel cestino. Mi piacerebbe poter fare questo riconoscimento anche alla sinistra europea. Ma al momento non ce ne sono i motivi. In Italia, poi, è notte con luna rossa. Nell’Europa dello Stato protezionista, governato dalle sinistre o da loro e dai sindacati pesantemente influenzato, c’è, fondamentalmente, stagnazione da almeno 10 anni. La disoccupazione resta sul 10% (eurozona). Per sfangare po’ di crescita malsana, quest’anno, i governi sono dovuti ricorrere alla svalutazione competitiva dell’euro, risoltasi in un boomerang. In particolare, la quantità di poveri è aumentata, la classe media si è appiattita verso il basso (del potere di spesa), il ricco è diventato meno ricco ed il povero molto più povero. I fatti sono chiari e limpidi: l’Europa sociale crea poveri, l’America oltre che a produrre una grande crescita, riesce a diffonderla socialmente. Con questo non si vuol dire che bisogna importare in Europa il modello americano pari pari per risolvere i problemi della prima. Il risultato eccezionale detto sopra ha avuto anche motivi contingenti e fortunati. Per esempio, i redditi sono saliti molto più dei salari. Ciò indica che parecchia ricchezza, soprattuto nella classe media, è venuta da un ciclo finanziario (Borsa ed altro) e dalla grande forza attrattiva del superdollaro, fattori non necessariamente duraturi. Tuttavia, anche con questa considerazione cautelativa risulta evidente che tra statalismo e liberalismo è il secondo che vince in termini di maggiore capacità di creare e diffondere ricchezza. E’ ora che anche in Europa si valutino i fatti della realtà e da essi si impari.
www.carlopelanda.com
di Pelanda Carlo

(c) 2000 - Editoriale Tempi duri s.r.l.
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# 1 di 1 inviato da Carlo martedì 31 ottobre 2000 08:22

Cari amici, solo una nota per il titolista (siccome la cosa mi irrita ogni volta che la leggo sui giornali di carta - e in quesl caso non posso intervenire - approfitto qui dell'opportunità assicurata dalle nuove tecnologie).
L'espressione "liberal", in America, designa l'estrema sinistra: tanto che i candidati democratici passano metà del loro tempo a dire che no, non sono proprio "liberal". Sartori ha scritto una volta che i liberal sono i socialisti di un paese senza socialismo.
In casi come questo dell'articolo di "Tempi" meglio dire allora (a scelta): liberali, libertari, conservatori, antistatalisti, liberisti, ecc. Ognuno di questi termini sarebbe stato più corretto.

Grazie e complimenti per il vostro lavoro. c


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