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Carlo Pelanda: 2012-5-15Libero

2012-5-15

15/5/2012

O condono o rivolta fiscale

Il governo ribadisce a parole la lotta dura contro l’evasione fiscale, ma nei fatti tenta di attutirne le punte più acuminate, per esempio il sistema di riscossione di Equitalia, perché ha colto che la (re)pressione eccessiva induce reazioni di rivolta. Ma l’ammorbidimento sarà minimo e difficilmente potrà evitare una escalation delle proteste. Infatti c’è una situazione pre-rivoluzionaria. Per esempio, nel Veneto, avanguardia dell’autonomismo con una densità elevata di micro-imprenditori, tira aria di mobilitazione anche per la violenza e rigidità particolari del fisco locale. Ma l’interesse nazionale è che non scoppino rivolte fiscali di massa perché tale evidenza peggiorerebbe la valutazione di affidabilità dell’Italia da parte dei mercati che ne assorbono il debito. Ritengo utile, pertanto, ricapitolare qui i punti principali della “questione fiscale” per suggerire al governo variazioni rapide e più incisive che riducano l’intensità dell’azione repressiva e le conseguenti reazioni conflittuali. I punti: (a) il peso delle tasse è diventato insostenibile; (b) in cambio delle tasse il cittadino non riceve servizi equivalenti che le giustifichino in termini di costi/benefici; (c) i carichi fiscali non sono ripartiti in modo equo in quanto penalizzano la parte meno abbiente della popolazione, creando situazioni di impoverimento; (d) le procedure di accertamento (Agenzia delle entrate) sono viziate da leggi platealmente incostituzionali, per esempio l’onere della prova a carico del contribuente e la presunzione di evasione per qualsiasi cosa non possa documentare, nonché da un ambiguo premio percentuale ai funzionari in base al recupero del gettito evaso; (e) le procedure di riscossione coattiva (Equitalia) non sono sufficientemente flessibili per adeguarsi alla situazione reale del contribuente, spesso portandolo al fallimento di impresa o personale, nell’ambito della medesima ambiguità premiale detta sopra che pone dubbi sull’azione dei funzionari, esponendoli al rischio di imputazione. Da dove cominciare a riparare una situazione così compromessa, tenendo conto che nel breve termine lo Stato ha un bisogno assoluto di più entrate? La soluzione dei primi due problemi riguarda il “contratto fiscale” generale e deve essere rimandata inevitabilmente alle elezioni del 2013. Ma il terzo difetto può essere corretto subito rivedendo l’Imu ed altre tasse non selettive sostituendole con altre che calibrino i pesi in base al reddito, alleggerendoli per i meno facoltosi e, soprattutto, per gli anziani. Le procedure di accertamento andrebbero velocemente riviste in relazione alla loro congruità costituzionale. Quelle di riscossione andrebbero affidate ad un ente supervisore con potere di adattarle. In ambedue dovrebbero essere aboliti i premi ai funzionari. Ma l’azione più risolutiva prima delle elezioni sarebbe un condono fiscale oneroso, fino al 2010, che permetterebbe a chi ha evaso nel passato di redimersi, pagando, ed allo Stato di incassare subito almeno 80 salvifici miliardi di extragettito. I moralisti respingeranno questa proposta, ma dovrebbero riflettere. In poco tempo lo Stato è passato da un regime fiscale bonario ad uno repressivo senza dare agli evasori la possibilità di redenzione. Ciò ha creato milioni di colpevoli che, però, si sentono innocenti. Il contratto fiscale implicito vigente da decenni, infatti, è così semplificabile: i dipendenti pagano tutte le tasse ed in cambio hanno una garanzia contro il licenziamento, mentre chi opera con il rischio di impresa non riceve sconti formali che lo compensino, ma un permesso informale, confermato da una applicazione degli studi di settore che rende meno probabile l’accertamento fiscale a chi ne rispetta i parametri, a non pagare tutto il dovuto. Questo pasticcio, fonte primaria della rivolta fiscale, è sanabile solo con un condono che crei un confine netto tra passato e futuro.

(c) 2012 Carlo Pelanda
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