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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-7-6il Giornale

2005-7-6

6/7/2005

Richiamo all’ordine

Parliamoci chiaro. L’euro è stato costruito in modi sbagliati, ha un effetto impoverente indiretto, ma sarebbe catastrofico per tutti gli europei il ritorno a monete nazionali. Ipotesi che la Lega vagheggia rumorosamente, ma che è più silenziosamente e pericolosamente considerata da politici e tecnocrati sia in Francia sia in Germania. Vorrei richiamare all’ordine più questi che la Lega, i cui comportamenti sono più saggi  delle parole urlate. Ed anche tutti quelli che magnificarono sui giornali italiani l’euro ed ora tacciono imbarazzati dal suo fallimento o ne negano l’evidenza. E’ sconcertante che chi fece una campagna quasi solitaria, a penna tratta, per mostrare l’inconsistenza dei modi con cui si stava progettando la moneta unica,  debba ora avvertire che dall’euro non si può tornare indietro e che bisogna contrastare con forza chi lo invoca o non lo esclude.

Trovo pericolosa, in particolare, la posizione di Christian Noyer, governatore della Banca centrale francese. Ha dichiarato – se vere le cronache – che una nazione può tornare indietro dall’euro perché è sovrana. Come è possibile che un personaggio del genere faccia finta di non sapere che il Trattato della moneta unica si basa proprio sull’esclusione assoluta – al punto di non essere nemmeno menzionata come clausola -  del diritto di secessione di una nazione dall’euro? Puzza. Non voglio derivare scenari da battute, ma mi colpisce un punto. In un momento come questo, di crisi di credibilità al riguardo della sostenibilità dell’eurosistema, un banchiere centrale dovrebbe dire due cose fiducianti: che non si può tornare indietro e che quello che non funziona verrà riparato. I governanti dovrebbero fare lo stesso. Ma quelli dell’eurozona, con l’eccezione di Berlusconi –  presunto euroscettico che, alla fine, si dimostra più euroresponsabile degli euroentusiasti - sono silenziosi, tedeschi e francesi muti. Parla solo chi dovrebbe star zitto. I ciechi che difendono l’euro non ammettendone i difetti e quindi nemmeno cercano i modi per ripararlo. E gli scalmanati che ne invocano l’abolizione senza aver valutato quanti morti per strada ciò comporti. Tanti. Se, nel complesso, questa è la qualità dell’establishment europeo che dovrebbe reggere la credibilità della nostra moneta, allora comincio ad avere paura. Tanta. Ed è per questo che lancio un richiamo all’ordine. Per l’Italia sarebbe inevitabile una grave svalutazione da crisi di credibilità ed inflazione (la peggior tassa) nel caso di ritorno alla lira. La si potrebbe evitare solo dimezzando il debito e portando a zero assoluto il deficit. Andrebbe fatto, intendiamoci, ma il riuscirci in brevissimo tempo per consolidare la nuova lira in modo che il mercato non la consideri carta straccia è impossibile. Per i tedeschi e i francesi il problema sarebbe simile, pur meno intenso. E se riuscissero a ricreare un franco e marco forti le loro economie verrebbero massacrate dalla competitività valutaria intraeuropea e i loro già molti disoccupati raddoppierebbero di colpo, con conseguenze di destabilizzazione strutturale che vi lascio immaginare. Se vogliamo una nuova guerra civile in Europa il miglior modo per accenderla è quella di far saltare l’euro. Quindi, per favore, basta fesserie. Impegniamoci, invece, per la riparazione dei suoi difetti, due in particolare. Il modello economico delle nazioni principali non è competitivo perché irriformato. L’euro è impoverente in modo indiretto perché blocca il finanziamento, tipicamente in deficit, delle riforme di efficienza. Come si risolve? Lasciando ad una nazione 5-10 anni di flessibilità di bilancio in cambio del suo impegno, controllato, per la riforma competitiva. Certificato dalla Ue in modo tale da garantire il mercato che quella nazione limiterà il disordine finanziario e poi godrà delle riforme fatte in forma di più crescita. La seconda misura dovrà riguardare la modifica dello statuto della Bce: non solo combattere l’inflazione rigidamente, ma anche la facoltà, ora assente, di stimolare con la politica monetaria (e di cambio) l’economia reale. Non è poi così difficile, torniamo tutti con i piedi sulla terra.   

(c) 2005 Carlo Pelanda
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