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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-6-23il Giornale

2005-6-23

23/6/2005

Missione fiducia

C’è un fenomeno nuovo. Lo si nota in alcune indagini recentissime che scandagliano gli umori profondi, e non solo le opinioni su questo o quello, della società. La gente chiede certezze in modi ed intensità che non si erano mai visti negli ultimi decenni. Lo segnalo a chi sta costruendo il movimento unitario delle libertà affinché incorpori la risposta a tale domanda sociale come missione prioritaria del nuovo soggetto politico in costruzione.   

 La maggioranza delle persone, in questi mesi, vede sciogliersi uno dietro l’altro tutti i modelli a cui aveva affidato le proprie certezze. In particolare, quello dello Stato sociale che protegge, dell’euro che porta ricchezza e dell’Europa ordinatrice. Nel 1995, in un libro che scrissi con Tremonti, e che questi volle titolare profeticamente “Il fantasma della povertà”, si individuò il futuro impatto della competizione globale sulle società con elevate tutele: non sarebbero state più possibili e si annunciava una nuova età dell’ansia. Ora è arrivata. In quel libro suggerii che la politica sarebbe diventata “più importante” perché chiamata dalle popolazioni in crescente incertezza a creare politiche capaci di rinnovare la fiducia. Ho speso l’ultimo decennio a fare ricerche sulla riforma dei modelli di welfare e – con il Prof. Paolo Savona –  delle regole globali. Il risultato è che tali modelli, se uno li cerca, esistono nel dominio della fattibilità. Non potranno essere quelli protezionisti o neosocialisti perché, esagerando le tutele, distruggeranno la creazione della ricchezza. Non potranno nemmeno essere quelli totalmente liberisti  perché le società nazionali nella globalizzazione dovranno subire continue tensioni competitive che lasceranno in difficoltà parte della popolazione, bisognosa quindi di garanzie. Dovranno essere, infatti, quelli che si ispirano al “liberismo sociale”: elevata (più di adesso) libertà del mercato per favorire la creazione della ricchezza, ma con regole che assicurino ad ogni individuo di poter accedere alla ricchezza stessa. Questa la nuova missione della politica: rassicurare ogni cittadino che non sarà lasciato solo nell’arena competitiva. Il punto: la gente sente che la politica dovrebbe fare una cosa del genere, un cambiamento sostanziale non solo di politiche specifiche, ma di modello generale che ricostruisca, credibilmente, la fiducia nel futuro. E voterà nel 2006 in base a questa attenzione e priorità. Con questo in mente ho trovato che il centrodestra ha molte più probabilità del centrosinistra di riuscire a tirar fuori il modello giusto. La sua varietà fatta di liberisti e sociali ha finora provocato frammentazioni ed un blocco relativo nell’azione di governo. Ma se si analizza la distanza tra destra sociale e liberisti si trova che non è poi molta perché ambedue non sono estremizzati: la Casa delle libertà ha già generato negli anni passati un modello di liberismo sociale di fatto perché luogo dove liberismo e statalismo hanno dovuto convivere politicamente. Se, invece, si guarda al centrosinistra si trova che la distanza tra correnti socialiste estreme e liberal-riformiste (blairiane) è enorme ed inconciliabile, infatti composta solo attraverso artifizi elettoralistici. Questo è un grande vantaggio potenziale per il centrodestra: è più credibile nel proporre un nuovo modello di liberismo sociale. Ma come mai ciò non è ancora percepito? Forse perché si è pensato che la gente avesse una crisi di fiducia nel centrodestra e si è voluto enfatizzare che questo sa ricompattarsi. Ma la realtà è diversa, più concreta e meno politichese o valoriale: la gente, in maggioranza, ha paura; non gliene importa molto di destra o sinistra, vuole sentirsi offrire un modello politico che la ricarichi di fiducia. Quindi la costruzione del movimento unitario liberal-sociale va comunicata come strumento di creazione di un modello politico migliore sul piano delle certezze e della ricchezza e non come unità che risponde ad una crisi di coesione di uno schieramento politico. E’ la differenza tra il fare politica o la storia, i tempi richiedono la seconda. E di capirlo.

(c) 2005 Carlo Pelanda
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