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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2002-11-3il Giornale

2002-11-3

3/11/2002

Parliamo più seriamente di prevenzione

Un modo serio per partecipare al lutto delle famiglie che hanno perso quei bambini è dare un significato alla loro morte. Resti nella memoria affinché altri non si trovino nel futuro così vulnerabili di fronte al mondo. Tale impegno lo interpreto, nei miei limiti, così: cominciamo a parlare in modo più approfondito e realistico di prevenzione e sicurezza civile.

In questi giorni molti recitano la seguente formula: “è ovvio che se spendo 10 per prevenire un danno risparmio 100 dopo ed evito vittime”. Perfetto sulla carta, ma la realtà mostra che tale principio non riesce ad essere applicato. Quindi invece di ripetere come un mantra tale ricetta sarebbe il caso di capire cosa e perché non funziona allo scopo di trovare soluzioni reali e non solo nominali. E per farlo dobbiamo ricorrere alla ricerca scientifica in materia, raramente citata, ma fortunatamente tanta da darci qualche lume. Dal 1998 al 90 lavorai in un gruppo di ricerca che doveva fornire al Segretario generale dell’Onu (X. Perez De Cuellar) le basi tecniche per lanciare il “Decennio internazionale per la riduzione delle catastrofi naturali” (UN-IDNDR). Il geofisico Frank Press, allora presidente dell’Accademia nazionale delle scienze (Usa) e del gruppo stesso, mi diede la seguente missione: costruisci un modello economico costi/benefici che mostri con chiarezza quanto l’investimento in prevenzione sia razionale. La sua ipotesi era: sarà sufficiente comunicare bene questo concetto, farlo diventare standard globale, e poi tutti i governi lo seguiranno data la sua indiscutibile efficienza ed efficacia logica. Mi misi all’opera, attivai via Onu molte ricerche in giro per il mondo per inquadrare fattualmente la materia, ma alla fine trovammo un risultato che smentiva l’ipotesi. Esempi. La geofisica mi dice che entro un decennio in quell’area vi potrà essere un terribile sisma. Logica vorrebbe che iniziassimo subito a rendere antisismico il sistema urbano e viario e comunicare il pericolo alle comunità per facilitare comportamenti di autocautela. I casi studiati al riguardo mostrano che: la comunicazione del rischio modifica i valori dei terreni e distorce l’economia; le autorità locali tendono a minimizzare il pericolo per non pagarne il prezzo politico; la pianificazione istituzionale utile a rafforzare un territorio contro alluvioni, sismi ed altro tende a confliggere con gli interessi locali, per esempio la destinazione d’uso dei terreni, e il più delle volte a perdere; le popolazioni tendono a negare il pericolo - fenomeno studiato a fondo dalla psicologia sociale - e reagiscono con dissenso a costi o vincoli prodotti da politiche di prevenzione. La lista dei casi e fenomeni è lunghissima, ma l’insieme porta a concludere che quello che ci sembra razionale in teoria non è facilmente applicabile in realtà. Solo in casi particolari (Giappone, California, ecc) e solo di fronte a pericoli ricorrenti la logica di prevenzione riesce a passare. In caso di rischi a bassa frequenza (eventi rari la cui memoria si dissolve) e nella maggior parte del pianeta, invece, non passa. Molti  studi in materia  possono essere consultati presso la biblioteca specializzata del Disaster Research Center, University of Delaware. La sintesi è: la prevenzione non si riesce a fare – ed è il motivo per cui ne vedete poca in giro – perché vi è un costo economico e politico nascosto che compromette il beneficio. E ciò porta ad un paradosso, terribile: l’assenza di prevenzione è motivata da un calcolo costi/benefici razionale. Se non capiamo questo punto – tecnicamente, il costo nascosto delle politiche preventive – non riusciremo a trovare soluzioni realistiche.

Vorrei essere più chiaro. Pensate allo spostamento di milioni di persone perché abitano troppo vicino ad un vulcano pericoloso. Il principio di razionalità preventiva consiglierebbe di spendere subito una cifra per ricollocarli allo scopo di evitare costi maggiori nel futuro. Ma tale cifra sarebbe di miliardi di euro. E chi li ha adesso? Chi convince la gente ad andarsene? Chi spinge il sindaco a provvedere? Ecco dove si blocca la razionalità preventiva pura. E lo stesso succede anche per casi di scala minore, per esempio la ricostruzione di tutti gli edifici scolastici non sicuri dove mandiamo i figli. Il problema tecnico è che il vantaggio preventivo del dopo viene annullato dall’irreperibilità delle risorse nel presente. Come si risolve? Attraverso la selezione delle priorità. Ma ci vuole un’istituzione specializzata capace di farlo che ora non c’è. Poi quello che sul piano della sicurezza territoriale non si può fare al primo livello (riduzione basica della vulnerabilità) lo si può ottenere rafforzando il secondo, quello della gestione delle emergenze. Il disastro mi arriva addosso perché la casa non è antisismica, ma ho imparato a salvarmi e c’è qualcuno che in tre minuti interviene per aiutarmi. Negli ultimi 20 anni la protezione civile in Italia è molto evoluta (secondo me non abbiamo ringraziato abbastanza Zamberletti), ma siamo ancora lontani da prestazioni capaci di supplire con funzioni di soccorso al gap sul piano della prevenzione primaria. In conclusione, se approfondiamo la materia troveremo limiti formidabili, ma anche spiragli per aumentare la sicurezza civile. Qui il punto: se ne parli più seriamente sui media, si studi un po’ di più, si smetta con le formulette superficiali inapplicabili. Lo dobbiamo a quei bimbi.

(c) 2002 Carlo Pelanda
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