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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1997-8-29il Giornale

1997-8-29

29/8/1997

VELTRONYWOOD

Non abbiamo primati culturali, ma forse potremmo competere nel cinema comico-farsesco. Basta filmare le riforme proposte da comunisti. Visco ha tolto la bolla e ne ha inventato subito un'altra ("preview" di una riforma fiscale che cambierà i nomi ed i luoghi delle tasse senza modificarne la sostanza). Bassanini vuole riformare l'amministrazione pubblica solo spostando di sede gli impiegati. Cosmetici e trucchi? Li forniranno i sindaci comunisti e dell'Ulivo. Per esempio, Bassolino ha ridipinto Napoli senza modificare la sostanza della città più disastrata d'Europa. Bianco ha riempito una Catania urbanisticamente devastata con migliaia di alberelli che danno una fioritura viola-celeste, senza fare altro. Ma il capolavoro viene da Veltronywood.

Il Governo ha annunciato la privatizzazione della Biennale di Venezia, ente pubblico tanto costoso quanto irrilevante sul piano commerciale e culturale. Privatizzazione? Il disegno di legge dice che la nuova Biennale ("Società di cultura") non potrà avere più del 40% di capitale privato e che gli organi esecutivi saranno nominati dal Governo. La natura di "ente pubblico" viene formalmente cambiata, ma ai dipndenti viene assicurato lo stesso trattamento di prima. Ma che roba é questa? Uno "snellimento", dice Veltroni. Grande. Tra il pubblico ed il privato adesso c'é lo "smilzo". Non sta in piedi. Perché un privato dovrebbe essere incentivato a mettere i propri capitali in una struttura che resta esattamente come era, inefficiente ed irrilevante, per lo più in minoranza di fronte a dirigenti di nomina politica? Non c'é logica economica. Ma una misura prevista dalla legge di riforma fa nascere un sospetto. Permette un trattamento fiscale agevolato a coloro che entreranno in società con la nuova Biennale. Non é che Veltroni chieda agli industriali dello spettacolo di mettere i soldi nel suo carrozzone in cambio di finanziamenti pubblici e di corsie privilegiate alle loro iniziative di produzione? Il sospetto é cattivo, ma legittimo. Veltroni, infatti, si é dato strumenti molto forti per una direzione politica diretta (ed egemonica) del mercato cinematografico, con due misure recenti: (a) costruzione di un pacchetto pubblico destinato a finanziare autori; (b) quota obbligatoria di produzioni italiane ed europee nel circuito dei film mostrati in televsione. Fate due conti, informatevi su chi decide e chiudete il cerchio. Quello che preoccupa non é solo il tentativo di imporre l'egemonia della sinistra sulla cultura, ma la perdita di qualità del cinema e cultura italiani.

Il cinema e l'arte sono sempre più strumenti di competizione commerciale nell'economia globale. I puristi potrebbero scandalizzarsi di fronte a questa affermazione, ma é così. Un film che gira il mondo ed ha successo pubblicizza e favorisce la diffusione di un modello di vita, di un'ideologia, di un prodotto. Se Indiana Jones beve il vino italiano "wyz" per salvarsi dal maleficio, almeno due miliardi di consumatori ne saranno incuriosti. Ma ciò accade perché il veicolo é Indiana Jones, un grande prodotto di industria cinematografica. Se lo stesso vino è bevuto da un attore bolso che interpreta un intellettuale che si interroga sulle sorti della sinistra nella campagna toscana, lentamente, lentamente, non credo che la curiosità possa essere la stessa. In sintesi, il mercato globale è un grande sistema di comunicazione. Chi riesce a mettersi al centro di esso ha un vantaggio comunicativo che si trasforma direttamente in vantaggio competitivo. Ma mettersi al centro del sistema significa saper fare prodotti di altissima qualità mondializzabile. Il cinema italiano dovrebbe superare i successi di Guerre stellari o 007 con un suo modo di inventare arte ed internazionalizzarla. E ci vogliono grandi impianti, tanta tecnologia, enormi capitali. E queste cose le può dare solo il mercato liberalizzato. Si desficalizzi totalmente l'industria cinematografica italiana, si regali il marchio della Biennale a Venezia affinché se lo rivenda a chi le pare, si facciano le cose sul serio. I film comunisti lasciano sempre un riso amaro.

(c) 1997 Carlo Pelanda
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