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Carlo Pelanda: 1999-5-21Il Foglio

1999-5-21

21/5/1999

Il buon senso dei saggi ha evitato l'errore del dirigismo globale

Circa un anno fa i leader del gruppo G7 cominciarono ad invocare rumorosamente la costruzione di un'architettura del mercato globale che curasse preventivamente e meglio - in fase di terapia d'urgenza- le crisi finanziarie. Blair, in particolare, annunciò che entro il giugno del 1999 ci sarebbe stata una riforma sostanziale del Fondo monetario internazionale, e di tutto il sistema collegato, per rendere meno anarchico e più stabile il circuito planetario dei capitali. Siamo a fine maggio e quindi é utile vedere cosa stia succedendo in materia.

Niente. Tempo fa, alla casa Bianca, Clinton e Rubin erano seduti di fronte mentre Blair era in linea telefonica. Questi incalzava Clinton per dare l'avvio ad una forte politica interventntista per la regolazione della finanza globale. Clinton annuiva convinto ribadendo che bisognava dare un forte segnale di leadership. I suoi assistenti si stringevano a coro. Ad un certo punto Rubin, che era rimasto silenzioso a fissare negli occhi il presidente, salvò con una sola battuta - e gliene siamo grati- la libertà del mercato globale: " se dici una sola cosa sbagliata in questa materia farai un casino irrecuperabile". E Clinton stette zitto. Da allora non si parlò più, lì, della questione. C'é da dire che Giappone, Germania e Francia hanno fatto un tentativo, nel gennaio 1999, per creare un sistema di cambi fissi tra dollaro, yen ed euro in modo da ancorare tutte le monete mondiali a tale pilastro di stabilità. Ma tale offensiva dirigista, ispirata ad una antistorica ricostruzione dell'accordo di Bretton Woods (1944-1971), tanto fu strombazzata quanto finì velocemente nel nulla dopo l'irridente rifiuto perfino a considerare l'idea da parte delle autorità monetarie sia americana che europea. In sintesi, é successo che i più saggi custodi dell'economia mondiale (Greenspan, Rubin e altri banchieri centrali) in due occasioni critiche hanno impedito che il nervosismo dovuto all'instabilità finanziaria globale diventasse occasione, per politici superficiali o vecchie volpi protezioniste, di imbrigliarla entro un modello dirigista. Così il dibattito sulla "grande riforma" é cessato al livello superiore, ma é continuato a quello inferiore. Con picchi umoristici in occasione della prestigiosa World Economic Conference a Davos, pochi mesi fa. Influenti personaggi richiedettero la creazione di un sistema di allarme anticipato per le crisi finaziarie, tipo i satelliti che danno il preavviso in caso di uragano. Ma nessuno seppe dire "come" o rispondere alla domanda cruciale: come distinguere tra un allarme ed una dichiarazione di crisi? E lì finì. Attualmente il dibattito sulla "grande riforma" continua ad un livello più silenzioso, tecnico e con un metodo pragmatico di attenzione alle "piccole riforme", più orientate alla trasparenza ed efficienza dei sistemi finanziari nazionali che non a qualche grande e roboante architettura mondiale ("chiacchericcio preccupante" la definì Jurgen Stark della Bundesbank). Il G-22 ha individuato 44 di queste iniziative puntuali. Alcune di queste, tipo il miglioramento della contabilità internazionale al riguardo dei flussi di capitale, sono già in fase di realizzazione. Ma la misura più seria é quella rimasta più segreta. Un sistema informale di consultazione attraverso il quale le autorità monetarie occidentali cercano riservatamente di calmierare gli eccessi del mondo finanziario, sia sul piano dell'euforia che su quello della paura.

Infatti qui sta il punto di fondo. Ce lo spiega Greenspan, con sue parole riportate da Laura D'Andrea Tyson, ex consigliere economico di Clinton": le antiche emozioni di euforia e paura ancora prevalgono". Su che cosa? Sulla razionalità dell'economia tecnica. Quando c'é molta crescita gli impieghi di capitale perdono prudenza per eccitazione. Quando ci sono problemi c'é la reazione opposta, altrettanto eccessiva. Il mercato ha una sua psicologia che lo porta sempre a squlibrarsi o in alto (dentro) o in basso (fuori). E ciò spiega il perché della crisi in Asia (crescita, euforia autoamplificantesi, sbilanciamento, crisi, fuga dei capitali) e di altre. Se i motivi sistemici sia delle crisi sia delle crescite a "bolla" che creano i presupposti delle prime sono facilmente spiegabili da questo fattore psicologico o di "economia qualitativa", d'altra parte la cura regolativa non é altrettanto semplice. Si sa solo che se si esagera nel controllare l'ottimismo euforico si rischia di deprimere la crescita, ma anche che se non si tenta nulla per regolarlo poi la crisi é inevitabile. Morale? Non si sa abbastanza per tentare un'architettura regolativa globale e quindi é meglio lasciare il compito a mezzi più informali e ad hoc, salva la necessità di migliorare le istituzione finanziarie delle singole nazioni. Per fortuna lo si é capito e non avremo alcuna "grande riforma". Anche perché il mercato globale, nella crisi del 1998, ha eletto esplicitamente il suo governatore: Greenspan e il dollaro. Quindi la riforma, di fatto, c'é già stata. Quanto duri é un'altra storia e spero che Rubin, con le sue recenti dimissioni, non abbia già cominciato a scriverla.

(c) 1999 Carlo Pelanda
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