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Carlo Pelanda: 2016-7-17Libero

2016-7-17

17/7/2016

L’instabilità turca continuerà

Erdogan è stato rinforzato o indebolito dal fallito tentativo di rimuoverlo? La maggior parte dei commenti propende per un rafforzamento. Per inciso, alcuni ipotizzano che Erdogan stesso abbia montato un finto colpo contro se stesso per avere la scusa di inasprire il suo autoritarismo, la revisione islamista della Costituzione laica, e, soprattutto, per occupare con lealisti le istituzioni più rilevanti, in particolare le Forze Armate con le quali è in crescente frizione. Non credo a questa ipotesi, pur non escludibile perché negli ultimi mesi Erdogan ha avuto un problema vero di tenuta del suo potere. E ho anche dubbi sul fatto che si sia rafforzato. Erdogan, più che dalla popolazione scesa in piazza contro i golpisti dopo il suo appello, è stato salvato proprio dai militari in base ad una valutazione di contingenza combinata con una presa di posizione di Stati Uniti ed europei. Non perché i vertici militari, a parte qualcuno, siano lealisti. Inizialmente le Forze Armate, infatti, hanno favorito, non ostacolandoli, i reparti ribelli sapendo e vedendo bene quello che stavano facendo. Quando è fallito l’obiettivo di inabilitare Erdogan, il grosso delle Forze Armate in attesa degli eventi si è trovato di fronte al problema di una molto probabile guerra civile in una Turchia divisa a metà tra secolarizzati e islamisti (e tra decine di etnie in quella nazione, tra cui quella curda abita circa1/4 del territorio) a cui sarebbe seguita una destabilizzazione incontrollabile della regione e un colpo pesantissimo all’economia globale, già anticipato nelle ultime ore di apertura dei mercati in America. Tradizionalmente, dopo la fondazione laica e liberale del nuovo Stato turco da parte di Kemal Ataturk, l’esercito è un difensore, istituzionalizzato, della Costituzione secolarizzata: infatti nei quattro golpe degli ultimi decenni ha sempre ripristinato dopo pochi mesi il processo democratico. Ma i militari difendono di più il fondamento concreto della nuova Turchia: l’integrità della nazione e la dominanza etnica turca nel perimetro territoriale dell’Anatolia. Se i reparti ribelli – dovremo capire da chi attivati - avessero inabilitato Erdogan, probabilmente il grosso delle Forze Armate si sarebbe ingaggiato con la capacità di sedare qualsiasi rivolta popolare. Ma di fronte al rischio di una guerra civile suicida, hanno preferito trattare con Erdogan per evitarla, salvandolo. Probabilmente tale decisione è avvenuta anche per pressione degli Stati Uniti terrorizzati, come gli europei, dalle conseguenze di una destabilizzazione della Turchia. Ma si tratta di una tregua tra militari ed Erdogan, non di un accordo o di una convergenza. Così come il salvataggio americano di Erdogan è stato molto riluttante. Erdogan, infatti, ha chiesto alla popolazione islamista di restare a presidio delle strade, così facendo intendere – vedremo nel prossimo futuro se strumentalmente o sinceramente - che non sente di avere il pieno controllo delle Forze Armate. Inoltre, teme che l’America non abbia rinunciato del tutto a favorirne la rimozione, motivo della sua polemica con Washington perché ospita Gulem, sospettato di aver ispirato i golpisti. In sintesi, i militari, pur frenandosi per i motivi detti, hanno comunque tolto la sicura alle armi, restando con il dito sul grilletto. Inoltre il “golpino” ha mostrato che Erdogan è una figura politica divisiva e destabilizzante. Per questo Erdogan si è indebolito e non rafforzato. La conseguenza di questa ipotesi è che l’instabilità turca continuerà e che non finirà con un suo trionfo definitivo. Chi analizza i comportamenti di Erdogan riferisce che tenterà di ottenere tale trionfo aumentando la violenza, invece di attutirla e tentare una riconciliazione nazionale, esponendosi a controreazioni altrettanto violente, sia popolari sia da parte del “grosso” delle Forze Armate. L’interesse occidentale e italiano è che la Turchia resti un mercato stabile e che riprenda una postura nella regione mediterranea compatibile con gli interessi della Nato. Pur in attesa di precisazioni, va segnalato che questo nostro interesse è più a rischio ora dopo il golpe fallito che prima. L’Occidente – poco coeso, ma abbastanza unito in materia di sicurezza – dovrà decidere se condizionare Erdogan per costringerlo a stabilizzare la Turchia in modi positivi oppure predisporre un cordone di salvaguardia in caso di sua implosione contagiante. Oppure sostenere la sua rimozione, al momento solo sospesa.

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