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Carlo Pelanda: 2014-6-8Libero

2014-6-8

8/6/2014

L’Italia merita ottimismo

Nella comunicazione prevale un’immagine pessimistica dell’Italia non aderente alla realtà. L’economia è stagnante dagli anni ’70, sta uscendo troppo lentamente dalla crisi, ma – qui il punto - ha mantenuto il potenziale per restare un sistema industriale forte ed un mercato vitale. Il mio gruppo di ricerca assegna all’Italia una probabilità elevata di andare in boom, attorno al 2018, a date condizioni. Ora bisogna decidere se dare più peso al dato che mostra una sistema economico bloccato oppure a quello che indica un forte potenziale di rilancio se il sistema fosse sbloccato. La decisione di far prevalere i dati correnti e del recente passato, proiettando linearmente l’impotenza riformatrice, renderebbe razionale l’opzione di poter solo rallentare il declino in modi difensivi senza speranza di invertirlo. Nei primi anni ’90 fui testimone di una decisione del genere da parte delle élite di allora: erano frastornate dal disordine politico interno, si erano convinte che fosse impossibile governare il sistema e cambiarlo, e quindi scelsero la soluzione di farlo governare dall’esterno invece che tentare un progetto nazionale di rilancio. In particolare, scelsero di solo limare il modello nella speranza di renderne sostenibile l’inefficienza grazie all’inserimento nell’eurosistema, per esempio puntando a ridurre i costi del debito invece di ridurlo. Ricordo colloqui e seminari dove mi opposi a tale scelta, dati in mano, in cui insistevo che l’Italia poteva reggere e reagire come nessun altro al mondo a riforme forti di efficienza. Ma la loro risposta fu una dichiarazione di impotenza politica che tolse attenzione al dato più importante: il potenziale industriale e di capacità della società italiana che avrebbe giustificato un progetto nazionale ottimistico. Il successo di Berlusconi nel 1994, con un pur vago progetto nazionale, dimostrò che la nazione c’era e percepiva il potenziale. Il fallimento di questo leader nei due decenni successivi mostrò che il realismo pessimistico delle èlite dette sopra era motivato: la nazione c’era, ma lo Stato come strumento riformatore no. Nel 2014 siamo tornati alla stessa questione e vorrei che non si ripetesse l’errore della scelta pessimistica. Posso contribuire indicando, con gli strumenti della scenaristica (simulazioni previsive) non-lineare e condizionale, che la forza industriale dell’Italia, se liberata dai fattori che ne bloccano lo sviluppo potenziale, porterebbe la nazione in boom. Il Regno Unito, scegliendo un progetto nazionale ottimistico ha tagliato 100 miliardi equivalenti di spesa e tasse: dopo tre anni è in boom, pur con potenziale industriale inferiore a quello italiano. L’Italia, che ha molta più industria, ci riuscirebbe in due. Ma, considerando che il successo inglese è anche dovuto alla sovranità monetaria e di bilancio, l’Italia che ne è priva ci metterebbe più tempo a creare le condizioni, motivo per cui i miei ricercatori hanno indicato il 2018 come caso migliore. Troppo ottimismo, pur inserendo un biennio di tempo per creare condizioni politiche per il cambiamento? Non scriverei così se ci fosse una nazione senza capacità industriali e con un mercato meno vitale. Il potenziale è stato intaccato, ma non distrutto, dall’olocausto economico 2011-2013. Ovviamente la trasformazione del potenziale in crescita reale è condizionata alla riduzione delle tasse, al ripristino del credito, alla rimozione dei rallentamenti burocratici, a modelli più flessibili di lavoro dipendente nonché ad un miglioramento dell’affidabilità internazionale dell’Italia. Ma tali condizioni sono realizzabili anche considerando la gabbia dell’euro: riduce il potenziale di crescita, ma non la impedisce. Pertanto l’Italia va guardata come potrebbe essere, ottimisticamente, e non come è, pessimisticamente, per stimolare un progetto nazionale che poi realizzi il potenziale. A sinistra Renzi lo ha capito e sta prendendo consenso a destra per questo. Ma la sinistra mai potrà sostenere un cambiamento sostanziale di modello. Quindi tocca alla destra uscire dall’immobilismo e produrre il progetto voluto dal popolo del mercato, la vera forza della nazione ora sottovalutata perché senza rappresentanza politica. In conclusione, ritengo che l’analisi ottimistica sul potenziale dell’Italia trovi conseguenza politica nel processo di formazione di un nuovo partito popolare-liberale dove gli interessi del popolo del mercato, maggioritario, possano essere rappresentati sul serio, cosa che da decenni non succede e che ha creato la falsa immagine di una nazione debole.

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